Dal cortile delle carceri, a cui si accede da Palazzo del Capitano in Piazza Grande, il fazzoletto di cielo visibile sopra le teste degli spettatori nelle notti senza nuvole delle sere d’estate, privo di qualsiasi inquinamento luminoso, è di una bellezza stupefacente. Il perimetro murario che incornicia lo scenario celeste, anziché limitare, rafforza l’intensità estetica di ciò che contiene. Quasi viene da pensare che fossero “fortunati” i carcerati e i secondini, obbligati dalle magistrature dei Capitani di Popolo, secoli addietro, a passare le notti nelle celle con le finestre rivolte verso il cortile interno. Uno spazio la cui forza evocativa – specie nelle ore notturne – è stata in questi giorni acutizzata dalle formidabili esecuzioni musicali che vi hanno avuto luogo. La sensazione, dopo mesi claustrali, di teatri chiusi, di soffitti che hanno occluso la vista del cielo, è che la musica riverberi il suo essere verticale, il suo tendere verso l’alto, il suo assaltare il cielo.
Il cortile delle carceri è infatti uno degli spazi scelti dall’organizzazione del 45º Cantiere Internazionale d’Arte per gran parte degli spettacoli della rassegna a Montepulciano. Musica da camera, nella maggior parte dei casi, che affianca i grandi apparati sinfonici di Piazza Grande e i particolari allestimenti della terrazza di Palazzo Ricci. Un’edizione che – sottolineano gli organizzatori – non può essere considerata di emergenza, non è una rassegna forzata, ma è anzi un’occasione di ripensamento, sia della fruizione musicale, sia della messa in scena dei concerti dal vivo. Una riscoperta degli spazi che non coinvolge solo il Comune di Montepulciano, ma che si estende a tutti i comuni che partecipano alla rete del Cantiere Internazionale d’Arte. La formula voluta da Hans Werner Henze negli anni ’70, che vedeva la musica e l’arte come gesto collettivo di educazione alla convivenza tra esseri umani, educazione all’ascolto del prossimo, per la costituzione solidale delle comunità, coinvolge ormai gran parte dei comuni della Valdichiana senese.
Un festival che privilegia sempre di più la poliedricità della selezione musicale, l’intersezione tra le discipline, la complementarità tra le forme d’arte più distanti: c’è stato spazio per il cinema muto, con un percorso retrospettivo che ha visto corti muti e musicati dal vivo grazie alla collaborazione con il Conservatorio di Rovigo e la Cineteca di Bologna, nonché la première del film La grande festa, scritto e diretto da Alex Marchi con la sonorizzazione live di Davide Vannuccini; spazio per il light design, come in occasione dell’esecuzione in Piazza Grande del brano The Planets di Gustav Holst nella versione originale per due pianoforti, in cui i pianeti sono stati proiettati sulle mura dei palazzi; la sand artist Giulia Rubenni che ha accompagnato il concerto solista del violoncellista Luigi Piovano; la sperimentazione foto-sonica e drammaturgica dei Duo Alterno, di Tiziana Scandaletti e Riccardo Piacentini; e molte moltissime altre occasioni di multimedialità.
Un buon apporto, nel programma, anche per il teatro in prosa. Carlo Pasquini ha scritto e diretto il suo Propizio è sapere dove trovarsi, con la compagnia FUC, in cui attraverso l’esasperazione del concetto di lock-down si raggiunge una forma rinnovata di redenzione. Laura Fatini ha invece diretto META(A’) al Castello di Sarteano, che sul concetto di distanza e di unione ha costruito una rappresentazione supportata anche dalla musica di Giovanni Vannoni il quale ha diretto l’ensemble degli intrigati lungo tutte le repliche.
La natura henziana del Cantiere Internazionale d’Arte si esprime però soprattuto con la musica. Massiccia presenza di Beethoven, nel 250º dalla nascita. È stato protagonista dell’esecuzione dei Setteinsiemeperpiero, settimino nato in seno al progetto Farulli100, dedicato alla figura di Pietro Farulli, così come è stato persistente nella performance del Quartetto Fonè, poiché su alcune variazioni beethoveniane si è basata la composizione per quartetto di Giampaolo Testoni. Presentissimo poi nella serata che ha visto eseguita l’Ouverture del Prometeo e la Sinfonia n.3, Eroica, da parte dell’Orchestra della Toscana diretta da Markus Stenz. Il programma musicale ha visto poi sciorinare elementi classici come il concerto di sonate barocche di Giuseppe Tartini e la “Scuola delle Nazioni” con il Trio L’Astrée, o i bravissimi e giovanissimi Zeisig Trio, fino al jazz in piano solo proposto da Michele Franzini. Il Cantiere Internazionale d’Arte è stata anche l’occasione per sentire per la prima volta in Italia due composizioni di Detlev Glanert, figura storicamente vicina alla manifestazione poliziana, presente nei programmi dell’Orchestra della Toscana diretta da Stenz e dello Zesig Trio. Queste sono solo alcune delle proposte di questo Cantiere Internazionale d’Arte quanto mai necessario, per il momento storico che stiamo vivendo.
«Dopo il cantiere del 2019 abbiamo subito cominciato a lavorare per preparare questa edizione» afferma Sonia Mazzini, presidente della Fondazione Cantiere Internazionale d’Arte «A Gennaio avevamo presentato una programmazione completa, dal 17 al 2 agosto, con più di 50 eventi, con artisti internazionali, ospiti da tutto il mondo. A Marzo però si è bloccato tutto, causa pandemia. Abbiamo ovviamente dovuto chiudere l’istituto di musica, ma abbiamo fatto di tutto per garantire il contatto tra insegnanti e allievi. Se non avessimo avuto una continuità didattica, il risultato sarebbe sicuramente stato quello della dispersione degli allievi, che non si sarebbero poi riscritti a settembre. Abbiamo quindi proposto di fare video lezioni a distanza a cui ha felicemente risposto l’ottanta per cento dei ragazzi. Per quanto riguarda il contatto con il pubblico, invece, abbiamo affinato nostre capacità nell’uso dei social e delle piattaforme digitali, con interviste alle personalità del Cantiere nel format Caffè Sospeso, o con pubblicazioni sul web di prezioso materiale di archivio. Poi l’amministrazione comunale di Montepulciano ci ha incoraggiati ad andare avanti: ha voluto garantire tutti gli eventi della stagione estiva poliziana. Abbiamo aspettato fino all’ultimo momento per disdire i voli prenotati per gli ospiti internazionali, ma a Maggio abbiamo dovuto azzerare il programma e ripensare, da capo, tutto il festival. Abbiamo contattato artisti a livello regionale e nazionale. Ricordiamo che il festival non prevede cachet, perché non è un festival commerciale, come diceva Henze, ma i musicisti contattati hanno comunque accettato con gioia, nonostante il difficile momento che stanno vivendo i professionisti dello spettacolo. Il palco del Cantiere ha la sua autorità ed ogni persona contattata ha accettato con gioia. Abbiamo percepito questa forte volontà, da parte degli artisti, di tornare a suonare, cantare, esibirsi il prima possibile. Con gioia e soddisfazione ci siamo rimessi in moto, con un programma ricostruito giorno per giorno».
«Non sono stati mesi semplici. Ognuno ha avuto un’esperienza particolare, ma la difficoltà che abbiamo vissuto è stata un momento per riflettere, riconsiderare, fermarsi a guardare le cose sotto un’ottica diversa» dichiara Giovanni Oliva, coordinatore artistico del Festival «Non la consideriamo un’edizione di emergenza, questa quarantacinquesima del Cantiere. Abbiamo semplicemente declinato, all’interno del nuovo paradigma dettato dalle contingenze, un’edizione con contenuti molto forti e una tematica fortissima – caos e creazione – scelta dal nostro direttore artistico Roland Böer. La soddisfazione è particolarmente grande e significativa proprio perché vederla realizzata è un modo per tornare a celebrare il rito laico della musica dal vivo e dello spettacolo»
«Quando mi è stato chiesto che cosa avremmo potuto realizzare, mesi fa, a me non poteva non tornare in mente Stravinskij che nel bel mezzo della prima guerra mondiale, si inventa l’Histoire du Soldat» Continua Oliva «Una forma in cui l’opera riesce ad essere viva e vitale indipendentemente dal contesto storico, o meglio dipendentemente dal contesto storico, ma non tradendo l’opportunità di raccontare l’uomo e le sue storie».
Musica che, secondo Oliva, può e deve trovare spazio sempre maggiore anche nei processi educativi e formativi della scuola: «c’è bisogno di un’umanità che sappia di musica, perché sembra che sempre meno si sappia ascoltare. Sapere di musica significa avere una consapevolezza diversa di approccio con le cose, significa innanzi tutto – non sono il solo a dirlo – avere l’opportunità di sapere ascoltare cosa gli altri dicono, suonano o cantano. Essere reattivi rispetto a ciò che succede. Riccardo Piacentini del Duo Alterno ha ripetuto una frase meravigliosa “in un dialogo io non so cosa ti dirò perché non so cosa tu dirai a me”. La capacità che dà la musica di pensiero ed elaborazione è un fattore fondamentale. Oltre al fatto – banale nell’enunciarsi ma sempre rilevante – che essendo quello musicale un linguaggio che arriva a quella parte del cervello che non necessità di decodifica linguistica, riesce davvero ad essere unico e affratellante, al di là delle etnie, delle modalità diverse di approccio, delle culture. La musica arriva comunque».
È l’ultimo Cantiere che vede Roland Böer come direttore artistico. Dopo dodici anni – come dodici sono i semitoni in un’ottava – passa il testimone, e saluta il Cantiere con uno spettacolo di “tastiere e luci” in programma domenica 2 luglio alle 23:30. È il Promethée le poème du feu di Aleksandr Nikolaevič Skrjabin, spettacolo alla memoria del disegnatore di luci, per molti anni cantierista, Guido Levi. Nel catalogo introduttivo all’edizione, c’è una foto esemplificativa del maestro Roland Böer, ritratto con una mano sul petto poco prima di un inchino, gli occhi chiusi e un’espressione di affetto e riconoscenza. «Di questi 12 anni porterò con me soprattutto una profonda gratitudine per tutto ciò che ho potuto realizzare, qui a Montepulciano» ci dice il Maestro Böer «ho personalmente realizzato sogni professionali e artistici, ma anche umani e sociali. Ho avuto l’opportunità di creare collaborazioni tra artisti che stimavo e che non si conoscevano tra loro, ma che si sono incontrati qui al Cantiere ed hanno sviluppato da subito una sinergia, hanno condiviso uno spirito comune. Ho visto realizzato quello spirito che è tipico, e veramente unico, per il Cantiere, e cioè la collaborazione tra i grandi professionisti internazionali e la popolazione di Montepulciano. Ho avuto il piacere di creare progetti con realtà locali straordinarie come la corale poliziana, l’orchestra poliziana, i gruppi teatrali, in un’atmosfera così genuinamente umana. Quello che ho avuto modo di sperimentare è una cosa che non si può fare sotto condizioni professionistiche. Nelle grandi produzioni manca sempre tempo, non c’è mai possibilità, tutti si aspettano alto professionismo con cachet straordinari. Qui invece si lavora per l’arte e per l’amore umano che scaturisce tra noi nel momento in cui vediamo i progetti crescere e realizzarsi. Non basta la parola solidarietà per esprimere quello che ho ricevuto. Sono grato per aver avuto la possibilità di realizzare opere liriche e opere sinfoniche, grato di tutte le esperienze umane, di tutta la trasparenza e l’onestà dei collaboratori. Ho avuto la possibilità di discutere, anche in modo molto radicale, ma amichevole, su ogni cosa: tutto quello che volevamo dire o fare era possibile. Tutti hanno messo la parte migliore di loro stessi. Ognuno con le sue capacità, con passione e con follia».
Come il Prometeo di Beethoven, anche quello di Skrjabin viene punito per aver portato il fuoco agli uomini, per averli dotati di conoscenza e responsabilità. È quasi una metafora, questa, del ruolo del direttore d’orchestra. «Il mio mestiere consiste nel far suonare e cantare le persone insieme, stimolare le relazioni, le collaborazioni, la creatività degli individui» continua infatti il maestro Böer «Come diceva Henze, suonare insieme ci insegna non solo musica e sensibilità artistica, ma ci forma come individui, ci lascia crescere anche come esseri umani: questo è il modo in cui vedo la mia professione di direttore di orchestra. Ho basato il mio modo di lavorare su un’atmosfera amichevole di rispetto, di grande stima per il lavoro di ognuno. Da direttore è importante prendere le iniziative individuali dei musicisti, ora del violinista ora dell’oboista et cetera, e provare sempre ad unire tutto sotto l’idea superiore dell’interpretazione di ciò che stiamo realizzando. La cosa più bella, nella mia esperienza di direttore, è notare la sinergia crescente tra i musicisti dell’orchestra, mano a mano che si procede con la prove. Quando vedo le iniziative che prendono loro, i musicisti, quando percepisco che loro stanno reagendo agli stimoli, capiscono la musica e l’interpretazione durante le prove. A me piace da morire provare nel dettaglio e raffinare le cose sul livello architettonico dell’esecuzione, perché voglio sempre che tutti gli elementi dell’orchestra capiscano veramente la sostanza di ciò che stanno suonando: una volta compreso e introiettato il senso della musica che si sta eseguendo, i componenti dell’orchestra si sentono a loro agio nell’esecuzione e non hanno paura. Acquisiscono il sentimento della libertà, la possibilità della creatività individuale. Raggiungere tutte queste cose messe assieme, ci regala esperienze musicali veramente uniche. Cose che è stato possibile realizzare soprattutto qui, al Cantiere Internazionale d’Arte».
Queste esperienze musicali di cui parla il maestro Böer, nel modulo di esecuzione sinfonica e orchestrale, trovano nel palco di Piazza Grande l’habitat perfetto per riempire di bellezza tutto il circostante. Esattamente come il ritaglio di cielo sul cortile delle carceri, anche il cielo di Piazza Grande ha un contorno che ne rafforza la portata estetica. Dalle merlature del palazzo comunale, alla cuspide in laterizi e travertino del duomo, dalla torre campanaria che prorompe sullo skyline circolare, alle geometrie lineari di Palazzo Contucci, di Palazzo del Capitano e Palazzo Nobili-Tarugi. Esattamente come quello del cortile delle carceri, il cielo su Piazza Grande, nelle sere d’estate di Cantiere, che pure sono sovente investite dal vento freddo di ponente o di maestrale, diventa un grande quadro vivo, di luce accesa anche a tarda sera, quasi rispondesse con lo stesso apporto di bellezza alla qualità fonica sprigionata dagli strumenti. Non a caso il logo stesso del Cantiere Internazionale d’Arte non è che la riproduzione di una fotografia scattata al cielo spalancato sulle architetture poliziane. Un cielo verso cui si tende ogni volta che un suono generato dalla creatività degli individui coinvolge tutta l’aria intorno.