La bellezza carezzevole di danza, disegno e musica, si è consumata sul palco del Teatro Poliziano, la sera del 2 ottobre 2014. Afshin Varjavandi, coreografo della INC Collective, Massimo Ottoni, sand artist, e Andrea “Atreio” Marcucci allo Stick di Emmett Chapman, hanno coordinato un polimorfema compositivo affascinante e magico, coinvolgendo spiritualmente il pur nutrito pubblico che ha riempito il teatro di Montepulciano.
La INC INN Progress Collective Dance è un gruppo indipendente che si occupa di danze urbane, visual art e creazioni performative. Nasce nel 2006 a seguito del successo di “HEIM”, coreografia di Afshin Varjavandi che ha sancito il connubio tra l’artista iraniano, naturalizzato italiano, e il collettivo. Sul palco del Poliziano, Jenny Mattioli, Luca Calderini, Mattia Maiotti e Elia Pangaro, hanno dimostrato le potenzialità dinamiche e la totale versatilità plastica dei loro corpi, disegnando con la danza figure provenienti dalle più diverse ispirazioni e tradizioni; dalla contemporanea all’hip hop, dal jazz e dalla moderna allo swing e al be-bop.
Massimo Ottoni ha creato disegni e figure in tempo reale usando le mani come pennello e la sabbia come colore, distesa su un piano luminoso. La peculiarità meravigliosa è che i disegni finiti non vengono cancellati, lasciando fasi in blank page di transizione, ma granello dopo granello, i vecchi disegni si trasformano in nuovi, in un continuum figurativo, legato inscindibilmente allo Stick di “Atreio” Marcucci, ormai consacrato aedo luminare dello strumento a dieci corde, i cui fraseggi hanno instaurato una composizione polimorfa tra note e granelli di sabbia. Quando due artisti, appartenenti a due discipline così diverse, entrano in osmosi in modo così diretto – e soprattutto sorridono, mentre creano la loro Opera – la magia dell’arte compie le sue procedure spirituali.
La sabbia fornisce ai sentimenti rappresentati un tocco di sogno desertico, più vivido e fermentato dei gesti reali, come le torce usate dai ballerini, che emanano più luce se circondate dal buio. Massimo Ottoni porta elementi di subconscio surrealista in uno stream of consciousness figurativo, che va a colorare il fondale del palco, sul quale i ballerini compongono i loro nodi figurativi.
Jazz, street culture, hip hop e disegno su sabbia; tradizioni solidificate da una partenza liquida di improvvisazione. La performance, compatta nella sua varietà, ha coperto luccichii referenziali da Magritte alle sfide freestyle, dal free jazz alla danza metropolitana. La coltre omogeneizzante, che ha definito la coerenza dello spettacolo, è stata la sua percezione assoluta del contemporaneo, la quale – del resto – è la chiave di volta per la comprensione integrale dei percorsi del riuscitissimo Pass Key Festival.
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