Me ne stavo tranquillamente seduta in macchina, diretta verso il lavoro. Strada dritta e musica nelle orecchie. Tempo decente, finalmente. Il sole caldo sulle mani sul volante. Come sempre quando queste sono le condizioni, la mente parte e veleggia nei meandri delle anse dei recessi più remoti della mente. Sensazione vagamente familiare? Così ho cominciato a pensare a quanto fosse vicina la ricorrenza del mio anniversario di matrimonio. Il secondo! (Anniversario, mica matrimonio… che pensavate???)
E sempre così, sul momento, ho avuto la certezza che la parola della mia uscita della settimana seguente (o quella dopo ancora, come poi è stato) sarebbe stata proprio quella. Perché, almeno nel momento topico della mia elucubrazione automobilistica, mi appariva come una parola ‘a due facce’.
Da una parte pensavo al matrimonio sul piano personale – insomma, al mio – e a quello che comporta in termini di pazienza, sacrifici, comprensione. Gestione delle personalità. Rischi. Ma, ovviamente, anche gioie, passione, follie. Lettura nel pensiero. Sogni.
Dall’altra, invece, mi è venuto subito in mente il matrimonio come ‘tema sociale’ (se così si può dire, anche se “un mi garba punto”), il matrimonio come diritto di qualunque coppia di essere riconosciuta dalla legge…
Che poi si chiami in un altro modo – pinzimonio, comprendonio, nitrato d’ammonio – chissenefrega! Abbiamo già detto, mi pare, che le parole sono solo delle etichette che usiamo per capirci meglio (sicurisicuri?) tra di noi.
E allora mi spiegate perché c’è gente che continua a dire: “Il matrimonio vuol dire l’unione dell’uomo con la donna”? Gnè-gnè-gnè!
‘Matrimonio’ è una parola come un’altra, siamo noi a riempirla del suo significato, perciò “X vuol dire Y” è chiaramente un’affermazione del cazzo.
Anche ‘idiosincrasia’, come ho sottilmente suggerito in una precedente uscita, voleva dire – o meglio, significava – una peculiarità di temperamento dell’individuo, un’inclinazione dello spirito, mentre oggi significa – comunemente – avversione, insofferenza per qualcuno o qualcosa ed è addirittura segnalata come sinonimo di fobia. Non solo la modifica del significato, ma la connotazione che da neutro-positiva diventa addirittura negativa. Eppure non è sempre la stessa parola?
La verità è che le cose cambiano, si evolvono, si allargano, si approfondiscono e mentre tutto questo ci accade intorno, dovremmo ricordarci che le parole non sono altro che uno strumento dell’uomo. Non siamo noi a doverci adattare a loro, ma loro che devono adattarsi a noi.