(NDR: a seguito del DCPM del 4 marzo in merito alle misure di sicurezza sul coronavirus, sono sospese fino al 3 aprile tutte le attività del teatro, e quindi tutti gli spettacoli per adulti e per ragazzi, i corsi di teatro, gli incontri con il pubblico e le conferenze. Lo spettacolo in oggetto verrà quindi riprogrammato in data successiva)
Venerdì 6 Marzo al Teatro Ciro Pinsuti di Sinalunga va in scena Oleanna, un testo di David Mamet del 1992, tornato celebre per essere l’anticipatore delle tematiche che hanno coinvolto gli scandali del MeToo negli Stati Uniti d’America. Sul palco l’attore perugino Francesco “Bolo” Rossini, già visto sul palco del teatro sinalunghese con Jubilaum nel 2013, e attualmente in tournée con grandi produzioni nazionali (come Un nemico del popolo, diretto da Massimo Popolizio, e insieme a Michele Riondino ne Il Maestro e Margherita, di Andrea Baracco). Al suo fianco Elisa Menchicchi, recentemente comparsa anche in serie tv come Catch 22, per la regia di George Clooney. Firma la regia di Oleanna Emiliano Bronzino, già attivo per strutture come il Piccolo Teatro di Milano e il Teatro Greco di Siracusa.
I lettori di Valdichiana Teatro si ricordano una produzione locale che riscosse molto successo: lo spettacolo Oleanna diretta da Roberto Carloncelli, con Gianni Poliziani e Benedetta Margheriti, presentato al Festival Orizzonti 2017 ci aveva già dato l’opportunità per approfondire questo testo così forte, caustico e attuale. Oleanna racconta la storia di John, un brillante professore universitario che riceve nel suo studio Carol, una studentessa scontenta, convinta della propria stupidità. L’insegnante cerca di essere comprensivo, di aiutarla; preso da problemi personali finisce col fare qualche affermazione potenzialmente ambigua. Una conversazione “normale” si trasforma in una vera e propria accusa: maschilismo, razzismo, molestie sessuali. Il professore, impotente, assiste al ribaltamento del proprio status, allo stravolgimento delle proprie certezze, di quelle sicurezze su cui ha costruito la propria vita: gli affetti, una certa agiatezza, il lavoro.
Avremo modo di assistere ad una performance con due attori straordinari, con una regia che ha seguito un metodo di allestimento molto particolare. Ne abbiamo parlato con l’attore protagonista, Francesco Bolo Rossini.
Oleanna è uno spettacolo è del 1992 e si svolge in un college statunitense. Le tematiche che affronta, almeno in Italia, sono state illuminate dai riflettori solo negli ultimi anni. Come è riuscito Mamet a precorrere così bene i tempi, per quanto riguarda i temi dei rapporti di potere legati all’affettività?
Francesco Bolo Rossini: “A mio parere la tematica centrale di Oleanna non è focalizzata esattamente nel sexual harassment, ma sul potere. Soprattutto sull’utilizzo del linguaggio di chi occupa una posizione di potere rispetto a un’altra persona. A livello strumentale, la grande accusa che viene mossa dalla ragazza nei confronti del professore, è per forza maggiore una situazione di approccio di tipo sessuale, ma questa è l’ultima carta che lei si gioca, in un crescendo di contrasti.”
Siamo in un contesto in cui è attraverso il linguaggio che viene esercitato un potere…
“In scena non vediamo approcci fisici. Vediamo semmai un abbraccio che il professore elargisce in un momento di disperazione della studentessa. A questo punto gli spettatori cominciano a riflettere sull’interpretazione della violenza: la soggezione di un uomo di potere nei confronti di una studentessa è di per se una violenza? Poi ci sono altri elementi dello spettacolo che vanno presi in considerazione. C’è un gruppo, alle spalle della ragazza. Un collettivo. In certi punti sembra che la ragazza sia destabilizzata da due polarità, che la opprimono: da una parte un professore che sta per assurgere a detentore di una cattedra, ma che allo stesso tempo vediamo come un personaggio vagamente meschino, anche fragile; dall’altra parte c’è questo gruppo di studenti, questo branco, che sembra utilizzare la ragazza come un’insider all’interno dei meccanismi accademici. Le richieste della ragazza, supportate da questo gruppo che la radicalizza, non sono mirate a mettere in galera il professore per molestie sessuali, ma vogliono proprio annullarlo come simbolo accademico.”
Il #metoo è esploso negli stati uniti ed è arrivato in Italia di riflesso. Quali sono le differenze del contesto che vivono i personaggi di Oleanna con la realtà italiana?
“Be’ c’è da dire che il mondo accademico americano è molto diverso dal nostro. In America un professore non può assolutamente dare confidenza a uno studente, figuriamoci toccare o abbracciare un allievo. In Italia essendo latini siamo più aperti, nelle nostre università e accademie è molto facile incontrare gli insegnanti, i professori, parlarci fuori dalle aule e dagli uffici, arrivare addirittura a dare loro del tu. In America è molto diverso.”
Lavorare in due, su un palco, è un’esperienza teatrale molto particolare, rispetto a quando si lavora in compagnie corali molto grandi: tu che hai un bagaglio di esperienza rilevante, che tipo di intimità si è creata con Elisa Menchicchi che impersona il ruolo della studentessa?
“II testo Oleanna è difficilissimo dal punto di vista recitativo. Il tipo di scrittura è molto frammentario all’inizio. Per lavorarci è necessario un forte esercizio di ascolto tra gli attori. C’è la fase iniziale della costruzione dello spettacolo che io chiamo lavoro di sezione, tipo quello delle orchestre, che cominciano il lavoro sui brani prendendo singolarmente le varie sezioni sinfoniche. Ecco anche gli attori procedono nello stesso modo, lavorando inizialmente sulle singole parti, su porzioni di testo. In questa fase è importante tenere presente tutto il ritmo che coinvolge lo spettacolo nella sua interezza. Quando si lavora in due – ma anche quando si è in scena con un monologo – bisogna avere grande concentrazione lavorare per l’altro, per il tuo prossimo, per il tuo avversario, non per te. Auspicando che anche l’altro si appoggi a te.”
Un esercizio di contact energetico e verbale, oltre che fisico…
“Esatto. Per contatto tra le parti, questo rapporto si innalza, sale e lievita. Con Elisa abbiamo stabilito una fase di acquisizione della memoria quasi muscolare direi, piena di puntini di sospensione, per cercare di dare continuità e ritmo a una scrittura che altrimenti metterebbe in crisi qualsiasi attore, dai fini dicitori ai performer. Il testo è scritto con una tale violenza che alla prima lettura non appare, ma è in questo continuo scambio che si fonda tutto. Nella prima fase ci siamo attenuti alla grammatica del testo. Appresi questi primi rudimenti, poi, abbiamo gestito noi il ritmo. È stato l’auspicio che Emiliano Bronzini aveva. Voleva arrivare alla nostra totale consapevolezza dei personaggi e delle frequenze della scena, in modo fosse liberamente gestibile il modo di esporla di volta in volta. Cambiando l’ordine degli addendi il risultato drammaturgia non cambia ma ogni volta, ci sono delle nuances particolari, in questo spettacolo molto più che in tanti altri, che rendono ogni replica un pezzo unico.”
Sembra che il pubblico italiano si sia disabituato alla complessità e ricerchi solo cose leggere, invece se si guardano nel tuo recente curriculum – oltre a Oleanna, anche Il Maestro e Margherita di Bulgakov, o Un nemico del Popolo di Ibsen – di complessità ce n’è tanta. Cosa pensi che ricerchi oggi il pubblico, in uno spettacolo teatrale?
“Viviamo in tempi di grande semplificazione, per non dire banalizzazione. Ci stiamo abituando a pagine di Wikipedia per ogni tipo di concetto, che lo rendano elementare per chiunque. C’è da dire che questo testo è stato scritto in tempi in cui una certa attenzione al lessico e alle parole veniva supportata dal pubblico. Considera che io ho lavorato con Luca Ronconi che è stato uno dei massimi esponenti della corrente strutturalista del linguaggio teatrale. Anche testi pi complessi si confrontano con questa abitudine del pubblico, ma cerchiamo di equilibrare le cose. Ne Il Maestro e Margherita, ad esempio, la semplificazione è stata portata avanti attraverso l’uso dell’immagine, ne Il Nemico del Popolo, invece, la tensione è stata spostata dall’aspetto verbale, lessicale, di parola, ai rapporti e i conflitti tra i personaggi. Il tipo di attenzione può essere ancora molto carica e densa di significati, sia per gli attori che per il pubblico, se viene spostata sulle vibrazioni di rapporto tra i personaggi. Tutto cioè si concentra nel modo in cui avvengono gli scambi, il tipo di intensità, la chiarezza di intenzione. In questo modo si può mantenere un alto livello nel linguaggio, senza scendere in semplificazioni, insistendo sulla pressione di attenzione dei personaggi in scena. Parlo di personaggi, ma parlo più verosimilmente di attori. Attori abituati a fare i personaggi, che non portino semplicemente loro stessi in scena.”
Sei molto presente nel territorio umbro, Nel 2009 hai fondato la Compagnia Horovitz-Paciotto, sei autore e regista delle produzioni di teatro musicale della Fondazione Perugia Musica Classica, del Conservatorio F.Morlacchi e collabori regolarmente con il Teatro Stabile dell’Umbria. La Valdichiana è in Toscana, ma è prossima al contesto perugino: come ti sembra il tessuto teatrale del territorio, quali sono le sue potenzialità o come queste potrebbero essere valorizzate?
“Ho la fortuna di aver attraversato tutte le possibilità che l’Umbria riserva a livello di tessuto teatrale. Ho iniziato con Fontemaggiore, una compagnia d’Arte vera e propria che oggi si occupa prevalentemente di teatro ragazzi, ma al tempo era gestita da Giampiero Frondini, che è il decano di tutti noi attori umbri. Ancora oggi mi aiuta con la Fondazione Perugia Musica Classica: tra poco metteremo in scena un Don Chisciotte ambientato in un riformatorio psichiatrico per ragazzi. A cascata dalle prime esperienze, ho poi fondato una compagnia che si chiama Area Piccola, che vinse da subito dei premi nazionali molto importanti. Dopo quell’esperienza mi spostai a Milano per lavorare con Paolo Rossi al Piccolo Teatro. Ho lavorato più volte col Teatro Stabile dell’Umbria con il già citato Ronconi, ma anche con Michele Placido e Fabrizio Bentivoglio. Ho sempre mantenuto vivi i contatti con la realtà di Spoleto. Adesso sto attivando una situazione congeniale e bellissima ad Assisi, con il Piccolo Teatro degli Instabili, con cui nel 2019 abbiamo prodotto una trilogia dedicata e ispirata all’opera di Pier Paolo Pasolini, che ha riscosso molto successo e stiamo per replicarla di nuovo. Non è un caso poi che Fulvia Angeletti, direttrice artistica del Teatro degli Instabili, porti in anteprima spettacoli che poi l’anno successivo vincono un sacco di premi e girano l’Italia. Assisi sta diventando un polo molto interessante per tutto il territorio regionale.”
(Foto di Federica di Benedetto)