Con 22 mostre diffuse, di cui 4 collettive e 18 individuali, Cortona on The Move 2024 indaga il tema del corpo nelle sue molteplici forme ed espressioni. Body of Evidence è il titolo scelto dagli organizzatori per questa edizione del festival internazionale di fotografia: un’edizione che ha rinnovato l’impegno culturale in un appuntamento estivo che prolunga sempre più la sua permanenza a Cortona, a dimostrazione del crescente successo. Anche quest’anno è stato possibile visitare le mostre, dall’11 luglio fino al 3 novembre, nella forma diffusa all’interno dell’ambiente cittadino, dalla Fortezza del Girifalco a Palazzo Baldelli, fino alla Stazione C di Camucia.
“Sin dalla nascita della fotografia, il corpo si è subito imposto come uno dei soggetti principali del nuovo mezzo. Il corpo da scoprire, da denudare, da osservare. Il luogo dei piaceri ma anche dei dolori, vulnerabile e potentissimo. Oggi più che mai il corpo è il territorio di tutte le battaglie: identitarie, di genere e politiche, individuali o collettive. – è il commento di Paolo Woods, direttore artistico del Cortona On The Move 2024 – Il corpo può essere mercificato o santificato. Il corpo perfetto e sano o perfettibile e malato. Il corpo è da celebrare in tutte le sue forme e contro tutti i diktat. È un luogo di libertà e uno spazio da liberare. Un inesauribile terreno di ricerca per la medicina e uno strumento da migliorare per la tecnologia che aspira a un corpo macchina. Ma soprattutto, il corpo è in una continua battaglia contro la sua fine, la morte. Se è vero che la fotografia è una prova, a Cortona 2024 sveleremo il “Corpo del Reato” attraverso mostre che ne indagheranno tutte le declinazioni. Scopriremo il corpo e con lui noi stessi.”
Il corpo quindi, al centro delle mostre fotografiche del festival. Un corpo che è sempre stato presente nell’arte fotografica, e che in quest’occasione è diventato ancora più presente, sia nella riflessione che nella scelta artistica. Un tema messo immediatamente in chiaro dalla mostra “The Body as a Canvas” a cura di Lars Lindemann & Paolo Woods, all’interno della Stazione C di Camucia: una serie di scatti dedicati al tema dei tatuaggi, mai così diffusi e accettati come oggi, nonostante le principali dottrine religiose monoteiste siano concordi nel proibirli. Dai tatuaggi più raffinati a quelli più volgari, dalle scarnificazioni rituali alle forme più estemporanee di street art, la mostra mette in luce quanto il nostro corpo possa diventare una tela su cui proiettare la nostra arte e la nostra visione del mondo, in modo che sia sempre presente, a noi e agli altri.
La libertà e il possesso del corpo, in chiave individuale e sociale, è un tema che attraversa molte mostre. Particolarmente dirompente l’introduzione di “The Last Safe Abortion” di Carmen Winant, che celebra la difesa dei diritti e la creazione di legami all’interno della comunità di operatori che praticano l’interruzione volontaria di gravidanza. La consapevolezza che il periodo raccontato dalle foto, così ordinarie e semplici, sono i 50 anni in cui l’aborto è stato legale negli Stati Uniti (1973-2022): un periodo che appartiene già al passato, e non più al presente.
La difesa dell’integrità del corpo come difesa della possibilità di vivere: questa è una delle sfide più grandi, soprattutto laddove i conflitti non sono ancora risolti. “From the Ashes, I Rose” di Rehab Eldalil è un viaggio nell’ospedale di Medici Senza Frontiere in Giordania. Fotografie di grande impatto mettono in mostra i pazienti dell’Ospedale di chirurgia ricostruttiva, con le loro storie drammatiche e le loro speranze per un futuro migliore. Un racconto della vita presente, delle loro amicizie nate durante la degenza, e soprattutto un racconto che diventa dialogo, nel momento in cui i pazienti stessi espongo le loro polaroid e partecipano al processo creativo, sfidando lo stile documentario tradizionale.
Il corpo come racconto: un tema che prosegue nella mostra “They Don’t Look Like Me” di Niccolò Rastrelli, creata in collaborazione tra Cortona on The Move 2024 con Autolinee Toscane e Lucca Comics. Le fotografie mostrano il fenomeno del cosplay in un contesto a cui il nostro sguardo non è abituato: i cosplayer sono ritratti insieme alle loro famiglie, mescolando case e persone in Italia, Giappone e Kenya. Il travestimento del cosplay è visto come un gioco, ma anche come la possibilità di cambiare identità e di partecipare a qualcosa di più grande di noi, che fa parte di un’immaginazione condivisa: dalle comunità di appartenenza originarie (le nostre famiglie, i nostri villaggi) a quelle di “immigrazione” nelle fantasie che condividiamo con i nostri simili (sia online che offline), in un mondo sempre più globale, che contamina ormai anche il reame dell’immaginazione. E quindi il corpo di un ragazzo keniota può diventare l’espressione di un personaggio di un anime contemporaneo come Demon Slayer, o una signora giapponese può diventare la cosplayer di un franchise statunitense come Star Wars.
Il tema della famiglia è anche al centro della mostra “Father and Son” di Valery Poshtarov, l’artista bulgaro che ha vinto la seconda edizione del COTM Award e che ha messo al centro delle sue fotografie corpi di padri e figli che si stringono la mano. Il progetto ha coinvolto famiglie di nove Paesi diversi, ritratti in questo gesto intimo avvenuto di fronte alla fotocamera per la prima volta dopo anni, talvolta decenni. E mette in luce anche la somiglianza dei corpi, come se fossero la versione passata e futura delle stesse persone: nel presente, c’è la loro stretta di mano.
Il progetto “Sexual Fantasies” di Myriam Boulos si concentra invece sulla liberazione dei corpi femminili e delle loro fantasie sessuali, particolarmente travolgente se pensiamo al contesto della cultura libanese da cui è stato originato. La fotografa mette in discussioni le modalità convenzionali, coloniali e patriarcali in cui sono rappresentate le donne e i loro corpi, cercando di umanizzare i corpi arabi e di sottrarli allo sguardo maschile, restituendo dignità alle fantasie sessuali e alla possibilità di parlare dei propri desideri.
Per finire, la mostra che più di tutte mi ha colpito, all’ultimo piano della Fortezza del Girifalco: “This is the End”, a cura di Paolo Woods & Irene Opezzo. Una selezione di opere, archivi e fotografie che ruotano attorno al tema della morte, vista da molteplici punti di vista. Viene restituita presenza al “corpo morto”, laddove è stato gradualmente reso invisibile. La mostra esplora il modo in cui la morte è stata affrontata da tutti i tipi di fotografia, attraverso arte, storia e antropologia.
Le opere esposte spaziano dall’archivio documentario delle scene del crimine scattate nella New York di inizio ‘900, con i corpi cristallizzati in un eterno presente al momento del loro omicidio; passano per le fotografie dei briganti e fuorilegge uccisi ed esposti come trofeo, fino al celebre scatto del defunto Che Guevara. E poi gli ultimi pasti dei condannati a morte, gli ossari costruiti come opere d’arte, i teschi dei defunti adornati e venerati in casa dai parenti. Fino alle bare dalle forme più bizzarre, che celebrano con gioia il momento del trapasso, o l’usanza indonesiana di esumare e ripulire i cadaveri mummificati dei parenti per un ultimo rito di saluto collettivo. Le fotografie rappresentano anche una rassegna etnografica che spazia tra diversi popoli e culture, su modi diversi di affrontare il fine vita e di trattare i cadaveri, superando i tabù e aprendosi a differenti modalità di concepire i corpi.
Tutto questo viaggio, questi scatti, questi corpi, sono uniti da una riflessione che mi appare così fondamentale al termine del Cortona On The Move 2024: tutte le forme che può assumere il nostro corpo non sono altro che le forme del presente, un presente sempre più mutevole e aperto a molteplici possibilità.
Noi siamo il nostro corpo, non siamo una mente che lo abita: l’ormai superato dualismo mente/corpo di una parte della filosofia antica ha lasciato spazio alla consapevolezza che il nostro corpo è l’unico modo che abbiamo di esperire la realtà, ma attraverso di esso la realtà può assumere forme diverse. Il nostro corpo è l’unica casa che abitiamo, ma attraverso di esso possiamo esplorare tutto il mondo, invece di rimanere fermi. Sia che parliamo di identità, che di potere, che di vita: il nostro corpo può anche sopravviverci, e diventare forma di spiritualità, venerazione o forma di rafforzamento comunitario per chi ha vissuto insieme a noi.
Noi siamo il nostro corpo, che ci fa sentire presenti. Come lo scatto di una fotografia, che ci ricorda chi siamo e dove siamo, in quel momento del tempo.
Sia in senso spaziale che temporale, niente è più presente del nostro corpo.