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Sdirazzare – Il vecchietto dove lo metto?

Sdirazzare – Il vecchietto dove lo metto?

Se penso alla morte, quando sarà il mio turno (magari il più tardi possibile) vorrei passare da una me intera a non esserci più senza troppo tempo in mezzo. Di solito non va così: se tutto va bene, prima della morte c’è la vecchiaia, un lento (o veloce) declino delle capacità personali e una progressiva diminuzione dell’autosufficienza; e questo coinvolge e sconvolge non solo noi, ma anche chi ci sta intorno.

Oggi l’aspettativa di vita è (o era) aumentata, e in Italia abbiamo tantissime persone che superano baldanzosamente i novant’anni, grazie anche agli innumerevoli farmaci assunti ogni giorno (una utenza enorme per le case farmaceutiche, che ringraziano). Una tale longevità è bilanciata a livello mondiale dai morti per le varie guerre, vicine e lontane, ma qui, dove le bombe non cascano, i tanti nostri vecchi come se la passano?

Quando questi grandi vecchi (85 – 99 anni)1 stanno a casa loro, il lavoro di cura è per lo più affidato a badanti e familiari, donne nella maggior parte dei casi. Le badanti legalmente sottopagate per un lavoro fisicamente e psicologicamente usurante, le familiari non pagate affatto. Queste ultime, mediamente 50-60enni, si trovano a vorticare fra lavoro, figli ancora a casa e/o nipotini e un genitore o due da assistere. Né le badanti né le familiari saranno benedette con la stessa longevità dell’assistito.

Un aiuto prezioso ma limitato può venire dalle assistenti domiciliari ASL che, in base alla situazione economica e familiare, dedicano al vecchio – anziano una o più ore, una o più volte a settimana, con una compartecipazione di spesa della famiglia.

Ovviamente la propria casa è per tutti il posto auspicabile in cui invecchiare e morire in tranquillità; il luogo in cui si riesce più a lungo a mantenere vivace la mente e la memoria; il luogo in cui le abitudini e le cose usate meglio aiutano a vivere il quotidiano.

Talvolta, però, per l’impossibilità di una assistenza a casa o per altri fattori, si sceglie per i propri cari, o essi stessi scelgono, una Residenza per anziani, la cosiddetta “Casa di Riposo”, RA o RSA.

L’RA è una residenza assistita, per persone autosufficienti o semi-autosufficienti che non necessitano di assistenza infermieristica; l’RSA è una residenza sanitaria assistita, per persone non autosufficienti dove invece il servizio infermieristico è presente. Al giorno d’oggi i posti in RA restano piuttosto disattesi (Se sto abbastanza bene sto a casa mia. Sembra abbastanza logico, anche se non sempre vero), mentre quelli in RSA non bastano mai, c’è sempre una lunga lista d’attesa. A volte le due tipologie di assistenza sono separate, ma il più delle volte i posti e le persone autosufficienti e non autosufficienti si mescolano in un medesima struttura, dove il personale è adibito contemporaneamente a entrambe le utenze.

Soggiornare in queste residenze è piuttosto costoso (di più per i non autosufficienti), la pensione ovviamente non basta: per gli anziani che nella vita sono riusciti a comprarsi casa, spesso provvederanno i figli a venderla per pagare le rette; se la casa non c’è provvederanno i figli stessi ad integrare la quota; se non ci sono neppure i figli o se impossibilitati, provvederà la ASL per la quota sanitaria ed eventualmente interverrà il comune di residenza per la quota alberghiera.

Ed ecco quindi che il nostro vecchio, anzi la nostra vecchia (ché le donne sono più acciaccate, ma più longeve) si ritrova in “Casa di Riposo”. Una comunità fatta di persone che non si sono scelte, molto diverse per estrazione sociale, cultura, livello di competenze e capacità residue. Una comunità fatta di regole imposte da altri, che peraltro lì non vivono; in cui l’assistenza di tutto il personale è regolata da un minutaggio minimo decretato dalle Regioni (io questi signori li vorrei vedere in struttura a contarli, i minuti, ché si parla di persone mica di viti e bulloni in catena di montaggio!). Una comunità in cui non hai più libertà di scelta: altri decidono per te quando dormire, quando mangiare, quando fare i bisogni; dove la maggior parte del personale, ancorché di buon cuore e buona volontà, non è formato con quel minimo di psicologia spicciola necessaria a comprendere i bisogni, le paure, la tristezza delle/degli ospiti. E se anche lo fosse, spesso non avrebbe il tempo per dare retta.

Per inciso, anche il lavoro delle OSS è sottopagato, considerato il lavoro che svolgono.

E a ben vedere tutti i lavori legati alla cura e al benessere della persona sono grandemente sottostimati e di conseguenza sottopagati, se non, come già sopra detto, ritenuti dovuti e quindi gratuiti. E a svolgerli sono soprattutto donne.

Ma torniamo alla nostra vecchia, ospite in “Casa di Riposo”.

Come animatrice in RSA, prevedo conversazioni di gruppo e ogni giorno dedico del tempo all’ascolto individuale delle e degli ospiti, il che mi permette di avere il loro diretto punto di vista, la loro verità. Eccola.

La vecchia – anziana, il vecchio – anziano ospite in RSA in nome della sicurezza perde quasi ogni diritto, quasi ogni possibilità di scelta e, di conseguenza, la dignità propria dell’essere umano. Entrando in RSA si perdono le relazioni sociali e si sfilacciano quelle amicali e familiari. Non si è più parte di nulla se non di questo, più o meno grande, gruppo non scelto. Si diventa invisibili e inesistenti per chi sta fuori. I familiari tacitano i loro sensi di colpa (che non necessariamente dovrebbero esserci, ma effettivamente ci sono) dicendosi che “lì è assistita/o, curata/o, guardata/o, mai sola/o”.

Che ne sanno di quella della camera accanto che urla e bestemmia o anche solamente nenia notte e giorno? Che ne sanno che io oggi volevo rimanere a letto e invece mi fanno alzare, per il mio bene? Che ne sanno dell’umiliazione nel sentirsi dire: Tanto c’hai il pannolone, falla lì che dopo ti cambiamo? Che ne sanno che ogni giorno sono costretta a incontrare quella persona che mi infastidisce, mi fa arrabbiare o mi spaventa? Che ne sanno della malinconia al calar del sole, quando vorrei tornare a casa mia? Che ne sanno che è estate e volevo restare fuori a guardare le stelle e invece alle 8 sono già a letto? Che ne sanno di queste cinghie, consentite e prescritte, che mi tengono stretta alla sedia per la mia sicurezza e invece io vorrei muovermi e camminare, e magari lo so che poi casco, ma solo così posso, potrei calmare l’ansia e la paura, e invece poi mi calmano con le medicine? Che ne sanno se io preferisca vivere più a lungo in sicurezza o anche meno ma in libertà? Che ne sanno di questo Miglio Verde in attesa della morte? Quale pena sconto? Che ne sanno che io qui mi sono reinventata un circondario di parenti e amici? E quella è mia cugina, quell’altra la mia vicina; mì, a te t’ho vista cresce! E la tu’ mamma la conoscevo bene, sì! Che ne sanno che quel po’ di illusione e speranza mi serve per sopravvivere?

Le parole che seguono sono state scritte da una signora di 89 anni ospite in RSA, cognitivamente ben orientata, di cultura medio-alta, fisicamente non del tutto autosufficiente.

“I NONNI DEVONO RESTARE IN FAMIGLIA” (Papa Francesco)

La società odierna per un verso sa allungare la vita dell’uomo, ma per l’altro la riempie di solitudine e di abbandono. Tante sono le carenze dell’assistenza che si dimostrano squilibrate ed ingiuste. Il numero degli anziani è aumentato in maniera esponenziale, però per loro non c’è né un pensiero politico né sociale. Quando essi sono in grado di farlo, vengono impegnati nell’assistenza, nella cura, nell’educazione dei nipoti o nell’espletamento di altre attività. Se le condizioni di salute però non lo permettono più bisogna disfarsene: diventano un peso, non producono più, vengono considerati lo scarto. Si viene privati della libertà di scelta: l’unica soluzione è la R.S.A. nonché Casa di Riposo, la quale spesso e volentieri non va considerata tale per la promiscuità degli ospiti. La ragione di questo espediente: la mancanza dell’assistenza domiciliare o l’impossibilità di assumere una badante per ragioni economiche. Nonostante Papa Francesco ripeta: “I nonni devono restare in famiglia”.

Tale è il desiderio di tutti gli anziani. La casa è il luogo dei propri affetti, della memoria, della storia e del vissuto. Si ricordano i tanti sacrifici compiuti, e ora perderla vuol dire abbandonare le proprie radici e infine se stessi.

La vita nella Casa d Riposo comporta la completa perdita della libertà: la scelta e la qualità del cibo e il cambiamento di alimentazione; i diversi ritmi del sonno, la povertà delle attività da voler svolgere, l’isolamento sociale. La costrizione di vivere con persone che non si conoscono. La differenza di educazione, di cultura, di ambiente limitano il rapporto personale, poiché mancano il dialogo e lo scambio di idee. Ci si rifugia nella lettura, nella soluzione delle parole crociate, nella visione di programmi televisivi.

Se la politica e la società realizzassero un’adeguata e completa assistenza domiciliare, dopo le cure di transizione nella Casa di Riposo, si potrebbe tornare a casa.

L’allontanamento dalla propria abitazione comporta l’assenza dalla vita in famiglia, presso i parenti, gli amici, i conoscenti. Si perdono i contatti con il mondo esterno: manca la partecipazione alle celebrazioni, agli eventi, alle feste familiari. Non suppliscono a tutto ciò né l’uso del telefono né quello della lettura. Si avverte la mancanza degli oggetti, degli arredi della propria casa, delle attività da non poter più svolgere, delle sensazioni provate in giro per i negozi e nelle occasioni particolari. Prendono posto la tristezza, la nostalgia, la malinconia e allora spesso si è anche di cattivo umore. Si pensa a coloro che, pur trovandosi in condizioni fisiche precarie, hanno la fortuna di vivere in famiglia con i propri cari. Talvolta si avverte verso di loro un senso di invidia. Non si dovrebbe, però…

La VECCHIEZZA dovrebbe essere il tempo della tranquillità, della serenità, della gioia, invece in Casa di Riposo non è così. Non ci sono più le relazioni tra le generazioni: la vicinanza ai bambini, ai ragazzi, ai giovani per poter veramente riconoscere il ruolo insostituibile degli anziani. Non si può negare che nella Casa di Riposo i rapporti tra i presenti non sono dei migliori in quanto, come già detto, non coincidono vari fattori: educazione, cultura, ambiente.

Anche se il personale è premuroso e sorridente, in questi luoghi le giornate sono lunghe, tutte uguali, senza interesse e la lontananza dai propri cari si sente maggiormente.

La VECCHIAIA comunque è un problema di vita tanto importante quanto trascurato.


Dopo avere riletto insieme il brano e aver fatto altre considerazioni, osservazioni e confidenze, l’ospite – che vuole restare anonima – ha chiuso dicendo: “Mi piego, ma non mi rassegno”.

Il bello e il buono in RSA ci sono: portati soprattutto da coloro che lavorano in questo ambiente. Sono loro che fanno la differenza, tessendo comunque rete sociale intorno alle e agli ospiti. A mio avviso però va pensato un modo diverso ed efficace di prendersi cura di tutti questi vecchi con tanti anni sulle spalle, strutturare in altro modo le residenze a loro dedicate e soprattutto aiutare le famiglie a prendersene cura a casa.

Mi pare che con le attuali misure di assistenza alla vecchiaia ci rimettano tutti: vecchi, badanti, assistenti familiari, operatrici sanitarie, noi tutti per le rette da integrare coi soldi pubblici (ergo anche nostri); pare ci rimettano anche le piccole cooperative del settore. Dunque il guadagno a chi va?

Non so dare soluzioni, non ho formule risolutive, ma mi azzardo a dire che alzare la soglia dell’età pensionabile senz’altro non aiuta. O meglio, potrebbe aiutare a sfiancare e sfoltire il numero dei futuri anziani, evitando ulteriori salassi per lo stato. Misure preventive. Forse è questo il piano?

AnnaMaria Venturini

Note

1. 64 – 74 anni: giovani anziani
75 – 84 anni: anziani
85 – 99 anni: grandi vecchi
100 e più: centenari

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