Ho fatto dodici chiacchiere con gli España Circo Este, nel loro (tutt’altro che) lussuosissimo back-stage, dopo uno dei loro folli concerti. C’era tutto il necessario per un’intervista: birre, sedie bagnate dalla guazza della notte, tavoli con gravi problemi di menomazione alle gambe e quattro ragazzi maleducati con la testa piena di buchi.
Leggenda vuole che gli Espana Circo Este si siano formati nel 2013, in Argentina. Il loro sound, originale e inaudito, mescola melodie latine con il reggae, cumbia dei quartieri più poveri di Buenos Aires con il punk spaccatimpani transeuropeo: un crossover di generi musicali, una cornucopia ricchissima. Ecco perché viene naturale descriverli come una band che suona Tango-punk.
In 4 anni di attività hanno suonato sui palcoscenici di tutta Italia e di tutta Europa, in festival che sono il paradiso degli eventi live. Oltre 450 concerti e migliaia di km macinati per strade e autostrade del continente. La forza degli ECE sta proprio nei live: esplosivi, folli, simili a riti pagani dove movimenti convulsi, urla, rumori e fischi acuti trascinano il pubblico in un’irresistibile danza tribale. La parola energia trova sul palco degli Espana il suo significato più completo, la sua rappresentazione massima.
A gennaio 2017 è uscito il loro secondo album “Scienze della maleducazione” per la Garrincha Dischi e il tour che lo presenta si sta alternando tra concerti in Italia e festival europei.
Siete pazzi o è tutto normale così?
Siamo pazzi. Non puoi essere normale se vuoi fare un lavoro del genere. La vediamo come una cosa naturale: siamo pazzi di natura. Essere pazzi non vuol dire non essere normali, alla fine siamo tutti un po’ pazzi. Diciamo che noi abbiamo trovato un modo costruttivo per dare sfogo alla nostra pazzia. È più pazzo chi va a fare l’avvocato o studia Economia (Jimmy – alla batteria – si è laureato in economia, ma ha abbandonato per fare tango-punk bestiale).
Tango-punk, come vi è venuto in mente?
Siamo quattro personalità con influenze completamente diverse (dal Death-metal a Manu Chao). Abbiamo unito la patchanka con un basso distorto, ritmi sudamericani con una batteria punk ed è venuto fuori quello che suoniamo oggi. In realtà all’inizio non abbiamo saputo dire cosa facessimo, poi, un giorno, un giornalista ha recensito il nostro disco e da lì abbiamo detto «Tango-punk… È nostro!!». È stata una cosa non voluta. Per la prima volta ci siamo sentiti compresi. È stato bello.
Marcello… quante volte fischi in un concerto?
Si sente tanto? Da fastidio? Carica la situazione dai! Comunque tante: ogni 7 secondi un fischio che ne dura 8. Forse devo un po’ regolarmi. Metteremo i fischi di Marcello nel prossimo disco! (Ridono).
Il fischio è identificativo: il fischio è “Marcello degli Espana Circo Este”. Se non avete mai visto un loro live non potete comprendere la bellezza del fischio. Il fischio è sacro.
Voi fate tour in tutta Italia e in Europa, ogni anno. Quanto è importante muoversi, viaggiare, spostarsi da un paese all’altro, attraversare frontiere in un mondo che cerca di alzarne sempre di nuove?
Noi, come tutti gli occidentali, viviamo questi fenomeni in maniera più facile, distaccata. Abbiamo molta più libertà di quanta possa averne un libico, un africano, un siriano. Questo ti mette nella condizione di gioire di quello che hai e di quello che fai, ma ci fa anche capire in modo diretto che c’è gente che fa il “viaggio” sì, ma perché scappa dalla fame. Diciamo che si diventa più consapevoli stando vicino alla realtà.
Vi sentite di rompere queste barriere?
È difficile. È una cosa molto grande. Noi abbiamo la possibilità di osservare molti dei fenomeni che caratterizzano la società contemporanea. Possiamo provare a capire cosa vuol dire essere un migrante. Nel nostro piccolo cerchiamo di mandare messaggi, ovvio, sempre. Ma non siamo paladini di niente, ci sentiamo solo in dovere di rompere i coglioni a chi non ha un briciolo di umanità.
Gli Espana Circo Este hanno un sogno?
Suonare in America Latina. Fare un tour mondiale. Suonare ovunque, in tutto il mondo. Sarebbe bello poter vivere questi posti tutti assieme.
Sono rivoluzioni. Ognuno di noi ha una sua piccola rivoluzione da fare, qualcosa da combattere, da cambiare e se tutti quanti uniamo queste piccole rivoluzioni si può creare qualcosa di grande e bellissimo. Una cosa che sto facendo io (Marcello – voce e chitarra) da un po’ di tempo è coltivare un orto, e da aprile a settembre non spendo soldi, non mangio cose zozze: con il mio pomodoro decido di combattere i pesticidi. Jimmy invece, ha detto no ai soldi, sì alla passione: non apre mutui a tassi svantaggiosi, non pignora case ecc. (Ridono) Quello che notiamo è che molti giovani mettono da parte sogni e passioni per dare priorità alla carriera e ai soldi. Noi cerchiamo di incrinare questo meccanismo. Servirebbe forse credere di più in sé stessi e nelle proprie idee. Non bisogna cadere nella trappola che ci fa credere che la società sia solo quella che vediamo. E comunque la società si può cambiare. Seguire la propria passione è anche serietà e rispetto, per sé stessi e per gli altri. Ci hai mai visto prendere anche un solo concerto sotto gamba? Anche quelli con poca gente! Insomma ne hai visti un sacco! Siamo sempre incazzati e carichi a bestia! Passione è la parola che più descrive quello che facciamo.
Le parole di Marcello quando mi viene a salutare prima di un concerto sono sempre «Bella raga. Stasera si spacca! Dai! A dopo».
Avete fatto una Revolution del amor e adesso, insieme alla disubbidienza, la state insegnando a scuola. Come va la vostra nuova Facoltà di Scienze della maleducazione? (Che poi sarebbe il vostro ultimo album).
Sorprendentemente bene. Ci siamo un po’ “induriti” rispetto all’ultimo disco e la gente la sta prendendo bene questa cosa, perciò siamo contentissimi che ci stia seguendo in questa fase. I nostri tour in Europa ci hanno dato tanta cattiveria. Volevamo fare un disco più forte. Le ultime 50 date fuori dall’Italia, in festival strafighi, ci hanno dato l’opportunità di vedere che la musica live ancora funziona bene e i musicisti picchiano forte. È tutto molto anni ’90. Là funziona così: quegli anni non sono mai finiti. In 4 mesi abbiamo ereditato molto di quella cultura. E poi, dopo che ti fai 6000 chilometri in autostrada lo fai per forza un CD un po’ incazzato. In Italia molte delle cose che abbiamo visto sono scomparse, ma noi ne abbiamo troppo bisogno. La musica ne ha bisogno. Ecco che il tour in Europa ci ha dato la carica per sperimentare e registrare questo nuovo album. Ci siamo estraniati completamente dall’Italia: le cose che stanno uscendo adesso sono molto patinate, molto pop. Noi non ci siamo adattati, non abbiamo seguito questa corrente, perché ci trovavamo lontani, in paesi dove ti costringono a lanciare via la chitarra acustica per stringere forte e violentare quella elettrica.
Facciamo un gioco. Avete un super-potere: potete far ascoltare i vostri album in loop nella mente di 3 persone. Chi scegliete?
(Marcello) Il mio Prof. di lettere del liceo, perché mi ha fatto venir fuori un sacco di passioni, vorrei ringraziarlo così.
Comunque ci pensiamo tutta la notte a questa cosa qua perché è una domanda troppo difficile e troppo figa. Ti rispondo per messaggio su Facebook, perché ora non saprei davvero cosa dirti.
Però Zanetti ha ascoltato il nostro album! Per la rubrica “Personaggi improbabili”.
Chi ascolta, secondo voi, gli Espana Circo Este?
Le persone felici. Le persone fiduciose, le persone positive.
Chi dovrebbe ascoltarli?
Gli infelici, i negativi. È una missione. Piano, piano… Il prossimo disco sarà un po’ più per gli infelici: ci avvicineremo a loro.
Il prossimo disco…?
Stiamo andando fuori di testa con le drum-machine. Sarà molto diverso: un’evoluzione degli Espana. Una figata! Fino ad ora abbiamo sempre cercato di rincorrere ed emulare il live per riproporlo nei nostri CD, ma abbiamo capito che è la cosa più sbagliata. Vogliamo che siano due realtà completamente diverse, due anime della stessa persona.
Sarà una bella sorpresa…
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