Da questa settimana la mostra “Crocevia sulla Chiana” è aperta al pubblico, in Piazza Garibaldi a Bettolle. I curatori siamo io, Tommaso Ghezzi, e Mattia Bianchi. Un primo assaggio è già stato configurato in occasione della manifestazione “La Valle del Gigante Bianco”, il 1° Giugno. Il resto della mostra “open source” – che tutti possono arricchire con propri materiali durante la settimana del Palio della Rivalsa e per tutto il mese Giugno – è da adesso visitabile.
Quello che vi propongo di seguito è un mio testo che accompagna le immagini della mostra, un viaggio che racconta luoghi, persone, vita, colori, pensieri e riflessioni dei tempi andati nella nostra terra: la Valdichiana.
“Ci sono tempi senza suono, in Valdichiana. Brevi segmenti esistenziali in cui non si sente. Niente. Non c’è altro da fare se non restare. Altro se non esistere, invaghiti dei colori dei tramonti, dei casolari in lontananza, le strade srotolate sulle curve femminee delle colline coperte di grano. Silenzi, che non sono silenzi: c’è il suono dei polmoni, la rigida scansione ritmica delle valvole cardiache, brutture foniche, biologie umane che si fondono con la terra, le nuvole, il perimetro dell’orizzonte. E poi i covoni, le rotoballe, ferme e silenziose ma che non sono silenziose. C’è un battito che sembra provenga da loro, e non da te, il sussulto di un petto indomito, bestiale, che è il loro petto. Il resto è tutto silenzio. Il silenzio dei canali della bonifica, scorrono come graal di quiete. E c’è tutto anche se non c’è niente. E le anime sono soffi di spuma aerea, lanugini passeggere come l’infruttescenza del soffione. Dagli altopiani lo scorrere di queste maschere nella vita di provincia è un dono di semplicità. Ci sono già i lampi d’estate, e sono sipari che si alzano sulle forme primitive nel bel mezzo della modernità del mondo occidentale.
Lo sapevano i nostri padri di tutto quel rumore che si sarebbero trovati a creare. Lo avevano letto, il nostro futuro. Lo avevano letto negli occhi dei buoi, nel caldo afoso delle vigne a metà estate, nel rossore del frumento che a giugno riempie le strade. Sentivano anche loro i battiti. Il battito degli animali, così vicino come fosse quello del proprio cuore. Nel silenzio della campagna che non è mai silenzio, nelle albe di luglio, il sole che trafigge le pareti e viola il tempo, con l’incisione ineluttabile di un altro giorno che viene, e poi un altro e un altro ancora.
È domenica. Tardo giugno. Già si iniziava a dividere il grano dalla lolla. Ma la domenica mattina, all’uscita della messa, la produzione nei campi si ferma. Alla camiciola sporca da lavoro sostituiamo l’abito buono. Si va in piazza, a piedi, prima al bar, si aspetta che arrivino le ragazze, anche loro con il vestito buono. Le mani sudano, il fervore lascia trasalire. È un momento lisergico, tra la calura e l’amore che soffia per le strade di un’estate in divenire.
Era la prima metà degli anni ’60, l’Italia passava dal contado all’industrializzazione ad una velocità esponenziale, fin troppo esponenziale, impossibile da controllare.Anche dove non sembra, il boom economico ha agito, si è insinuato nella morfologia delle aree agricole e le ha trasformate. Se nel 1950 il 25% delle strade statali nel paese non erano asfaltate, nel 1960 la percentuale scende al 4%. Alle biciclette si sostituisce l’auto, con la FIAT 600 e la 500 prima e la 1100 e l’Alfa Giulietta poi, la motorizzazione di massa invade tutti quei piccoli mondi rurali, vestiti di dolce incoscienza e placido isolamento. Nel 1964 la lingua d’asfalto che aveva iniziato a colare da Milano verso il Sud Italia tocca anche l’antico crocevia che acquista nuovo motivo d’essere, divenendo così lo snodo tra l’Autostrada del Sole e i raccordi che collegano Siena e Perugia. Amintore Fanfani, segretario DC e presidente del consiglio, corresse il progetto originario, che avrebbe dovuto varcare lo stivale più centralmente in territorio umbro, spostando verso Arezzo – si dice per favorire la logistica della sua città natale – il percorso dell’Autosole. La “curva Fanfani”, come venne ribattezzata di lì a poco, fece sì che l’A1 toccasse il piccolo centro in Valdichiana e lo riportasse ad essere un punto di intersezione.
Si ritorna in paese. E dal finestrino si stagliano i frammenti di una storia del tempo presente. O forse è passato. Chi può dirlo. Sono immagini eterne, come simboli sacri. Tutte le figure celano una religiosità laica. Come statue marmoree, eterne nella loro imponenza. C’è ferma eleganza nel loro prestigio, indubitabile grazia anche nelle sozzure, crismi di tangibilità”.