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Il Bravìo degli spingitori: Alessandro Paganelli e Luca Benassi

Il Bravìo degli spingitori: Alessandro Paganelli e Luca Benassi

Piazza Grande, a Montepulciano, trasuda storia.

Nella sua perfetta geometria offre ai quattro lati il Palazzo Comunale, dirimpetto a palazzo Contucci, e il Palazzo del Capitano, con accanto il palazzo Nobili-Tarugi. I quattro edifici, sede di quello che nei libri di storia verrebbe definito il potere temporale, fanno quasi da conchiglia alla perla del potere spirituale, il maestoso Duomo, conosciuto anche come cattedrale di Santa Maria Assunta.

In tale suggestiva cornice, cràsi proprio di civiltà e sacralità, ogni ultima domenica di agosto queste due componenti si fondono sopra il sagrato del Duomo, dove arrivano esausti per la fatica gli spingitori delle botti del Bravìo.

E non è un caso che il Bravìo delle Botti sia un’idea nata proprio nella mente di un parroco, Don Marcello Del Balio, che per evitare problemi con la vecchia corsa dei cavalli decise che a sfidarsi sarebbero state le otto Contrade con altrettante botti, simbolo del Vino Nobile e dell’economia del paese. Una tradizione, quella del Bravìo, letteralmente secolare, se si pensa che già verso la fine del 1300 si possono leggere le prime disposizioni in tema negli statuti comunali dell’epoca.

L’evento che ha ricevuto l’etichetta di “Patrimonio d’Italia” dal Ministero del Turismo prende il nome di “Settimana degli eventi del Bravìo delle Botti”, perché naturalmente Bravìo non vuol dire solo gara tra le Contrade, che ne è il culmine, ma anche feste, cene, cerimonie che propiziano l’ultimo atto di una settimana che richiama migliaia di turisti da tutto il mondo.

Aspettative e speranze, fatiche ed emozioni, tuttavia, sono concentrate nei dieci minuti che separano l’inizio del Bravìo delle Botti, sotto la Colonna del Marzocco in via di Gracciano nel Corso, all’arrivo sul sagrato del Duomo, davanti ad un foltissimo pubblico assiepato sulle transenne di Piazza Grande. Il Bravìo, come tutti i palii e le rievocazioni storiche, è il momento in cui ogni Contrada ripone il proprio desiderio di prevalere sulle altre, sia per poter vantarsi della vittoria coi propri “rivali”, ma soprattutto per coronare la settimana di sacrifici che ha impegnato tutta la comunità.

Ovviamente, a caricarsi sulle spalle questo peso non da poco, sono gli spingitori, già impegnati a scalare le ripide salite di Montepulciano spingendo una botte di 80 kg.

Due dei protagonisti hanno così accettato di raccontare cosa significa la parola Bravìo quando si vestono i panni da spingitore. Cosa significano, cioè, quei dieci minuti di ripida scalata vissuti spingendo la botte fino al Duomo, in una Montepulciano che ogni ultima domenica di agosto si trasforma nell’ideale scalinata che porta la profanità sul Paradiso.

Una sorta di Stairway to Heaven, che vi invitiamo a mettere come sottofondo durante la lettura delle imprese che ci hanno raccontato due tra i protagonisti dell’ultimo Bravìo delle Botti: Alessandro Paganelli e Luca Benassi.

Partiamo con il vincitore, assieme ad Attilio “Attila” Niola, del Bravìo 2019, per la contrada di Voltaia.

Alessandro Paganelli quest’anno ha conquistato la sua prima vittoria in coppia con Attila, già trionfante invece in cinque occasioni. Con Attila, curiosamente, ha vinto il Bravìo nelle edizioni 2016 e 2017 anche Matteo Paganelli, che è il fratello gemello di Alessandro, e che in foto potrebbe tranquillamente essere scambiato per lui.

Paganelli, quindi, famiglia di spingitori: Matteo è detto White Kenyan, per la sua silhouette e l’innata capacità di corsa, ça va sans dire; Alessandro, invece, nella settimana del Bravìo è Digiuno, e non servono parole quando sono le immagini a parlare.

Il Bravìo delle Botti, per Alessandro, è una tradizione vissuta fin da giovanissimo, che grazie al padre è diventata poi voglia di spingere.

“Il Bravìo è una tradizione e una passione tramandata da mio padre, che dal 1984 al 1986 ha fatto prima lo spingitore e poi l’allenatore per la contrada di Gracciano. Ho iniziato nel 2012, con l’amico Stefano Chiezzi sotto la guida di Gino Emili, per la contrada di Talosa. Sono stato riserva per due anni, e poi dopo un altro anno in riserva con la contrada di Gracciano mi richiamò Gino. Voleva, stavolta, che corressi il mio primo Bravìo, con Talosa, e non potei dire di no”.

Alessandro, nella sua prima scalata verso Piazza Grande, si è piazzato in sesta posizione, in coppia con Andrea Rosati.

“Fin da subito, dal primo Bravìo corso, ho sentito la necessità di arrivare all’obiettivo. Vincere – lo vedevo da fuori – significava tanto. Significava l’affetto sconfinato della gente della tua contrada, l’abbraccio sul Sagrato, le lacrime di gioia. Fin da subito ho lottato per raggiungere questo traguardo, e per vivere sulla mia pelle queste emozioni”.

E quel momento, il 25 agosto 2019, è arrivato.

“Vincere il Bravìo è il coronamento di un sogno che ho fin da piccolo, con negli occhi l’immagine di mio padre che spinge la botte. Ho rivisto lui in me, anche dopo essermi riguardato nei video e nelle foto. È normale che la prima cosa a cui pensi sono le persone che ti hanno ispirato, oltre a quelle che ti hanno supportato per arrivare dove sei arrivato: la mia ragazza, ovviamente, e mio fratello, che ha sempre avuto grandissima fiducia in me”.

Ovviamente, non c’è solo la famiglia tra i segreti delle vittorie.

“Durante la gara sei tu, il tuo compagno e la botte, ma anche tutta la contrada che ripone in te la speranza di un Bravìo portato dal Sagrato in contrada. Quindi devo ringraziare proprio la contrada di Voltaia per tutto quanto ha fatto per me in quelle delicate settimane prima della gara, e specialmente il mio compagno di spinta Attilio Niola, vero campione, senza il quale non avrei di certo potuto realizzare il sogno. Vincere il Bravìo significa veder festeggiare il proprio popolo: è stato come averli ripagati per il lavoro che sapientemente svolgono non solo durante la settimana della gara, ma durante tutto l’anno contradaiolo”.

Luca Benassi, pur non trionfando, è stato uno dei protagonisti indiscussi di quest’ultimo Bravìo delle Botti. Il Cittino, non solo a livello anagrafico ma anche per quei tratti del viso delicati che lo caratterizzano, è una delle “nuove leve” tra gli spingitori, ma gli addetti ai lavori parlano di lui come uno dei sicuri prossimi dominatori della competizione sportiva.

La sua passione per il ruolo di spingitore viene da lontano, dalle gare viste da giovane spettatore, ed è incrementata anche grazie – o, per meglio dire, a causa – di un record decisamente negativo per la sua contrada: Collazzi, infatti, non ha mai vinto un Bravìo.

“Il mio primo ricordo legato al Bravìo? Difficile dirlo, perché l’ho vissuto da sempre e ormai gli episodi si accavallano nella mia mente. Ho un ricordo abbastanza triste comunque, perché la mia contrada non ha mai vinto e io, piccolo com’ero, volevo che vincesse a tutti i costi. Crescendo ho sempre di più vissuto la contrada, fino a fare il piccolo spingitore col mio migliore amico”.

Luca, cresciuto coi miti degli storici spingitori Piero Bondi e Giacomo Valentini, è stato da sempre uno sportivo. Dopo aver giocato a calcio a ottimi livelli, nonostante la rottura del crociato, Luca ha deciso di dedicare anima e corpo alla corsa, da sempre la sua caratteristica migliore. E, ovviamente, ha iniziato a lavorare quotidianamente per conquistarsi il posto da spingitore.

Allenarsi in vista di un Bravìo, tuttavia, non è certo una passeggiata.

“Quando ci si allena per il Bravìo non conta solo il ‘quanto’, ma soprattutto il ‘perché’, la motivazione che spinge alla fatica. Conta il sacrificio immane che si fa durante l’anno, perché ci si allena sempre. D’altronde, il livello di competitività è altissimo, per cui l’allenamento è settimanale, e non c’è condizione atmosferica che lo impedisca. Il Bravìo, sento dire giustamente, non è la vita, ma ci si dimentica che chi lo prepara ci basa davvero la propria vita”.

Non sono poche le cose a cui si deve rinunciare quindi, soprattutto se si parla di un ragazzo di appena venticinque anni. Aperitivi ridotti al minimo, poche serate e regime alimentare ferreo: la vita dello spingitore è quanto di più lontano ci sia da quello che oggi è considerato godersi la vita.

Il Bravìo di Luca è passato alla storia, tuttavia, per un episodio che ancora lui stesso non riesce a ripercorrere con serenità.

Luca infatti, ad agosto, non è mai arrivato sul Sagrato di Piazza Grande. Si è fermato poco prima, allo stremo delle forze, soccorso dalla tempestività degli altri contradaioli e della Misericordia. Nel video della gara si nota chiaramente che qualcosa lo ha tradito proprio al termine dell’ultima salita prima di Piazza; poi la botte lasciata al compagno, le mani sulle ginocchia, e il vuoto.

“Non è facile riaffrontare certe emozioni. Prima della gara si percepiva di essere migliorati rispetto all’anno precedente, e anche il cronometro oltre le sensazioni ci dava ragione. Lo spirito era differente, insomma c’era grande fiducia, eravamo convinti di poter competere contro Voltaia, un’altra volta favorita”.

Ma i veri atleti percepiscono tutto, e Luca aveva notato qualcosa di diverso rispetto all’anno del suo primo Bravìo.

“Io avevo sognato tutta l’estate di vincere, mi ero fatto un po’ di film come capita a tutti, ma rispetto ad anno scorso non sentivo la tensione, e questo stonava decisamente; poi, quando tutti appena ti vedono dicono che sei il favorito, inizi anche a crederci davvero”.

La domenica, però, il tracollo.

“Il problema vero è stato la domenica mattina, appena sveglio, quando ho provato un’ansia fuori dal comune, accumulata, che non avevo scaricato nei periodi precedenti. Non stavo bene, e anche durante la corsetta che si fa prima della gara mi sentivo pesante, avevo il voltastomaco. Questo Bravìo, da sogno, si è trasformato in un incubo. Avevamo impostato la gara su Voltaia, e invece sono loro che si sono messi dietro di noi, e così ci siamo ritrovati primi dopo trenta secondi e dentro di me sono iniziate le paranoie: pensare alla contrada, agli amici, a chi avrei potuto deludere. Ho sbagliato in quello”.

In effetti la gara di Collazzi, fino al culmine di via Ricci, era stata perfetta, condotta sapientemente e sempre in testa. Durante la gara, però, Luca si è sentito quasi schiacciato dal peso delle aspettative, da quanti credevano in lui, dalle voci che durante il tragitto si levavano per sostenerlo.

“Gli avversari aspettavano un crollo da parte nostra, e hanno avuto ragione. Passando davanti alla mia contrada, invece di caricarmi, mi è successo esattamente l’opposto. Da un passo all’altro ho sentito freddo alle gambe e mi sono reso conto che mi stava succedendo qualcosa, poi le braccia si sono bloccate ma ho continuato a spingere per inerzia, mentre il mio compagno continuava a dirmi di fermarmi”.

La botte di Collazzi è arrivata ugualmente sul Sagrato del Duomo, mentre Luca è stato soccorso all’istante.

“E stata una bella botta a livello di mentalità, visto che ci tengo così tanto. Tutti mi chiedevano come stavo, mentre a me importava solo di non aver vinto”.

Questo è il manifesto di Luca Benassi, un ragazzo destinato a grandi cose per la propria contrada e per il Bravìo in generale. Un giovane spingitore che ha perso conoscenza pur di raggiungere il Sagrato, quel Paradiso che sicuramente lo attenderà nelle prossime edizioni.

Innamorato della botte, del suono che fa picchiando sui sampietrini, e ammaliato dalla sensazione di fatica che lo avvolge ogni qualvolta la spinge.

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