Olanda, Novembre 2018.
Fare le valigie e partire per un Paese con storia, cultura, usanze e costumi diversi dalle nostre, è una scelta di grande coraggio e un’esperienza di vita molto affascinante. Uscire dalla propria ‘zona di conforto’ per essere un ‘cittadino del mondo’, però, non è mai una scelta semplice, e chi ha il coraggio di farla, difficilmente se ne pente, indipendentemente che si tratti di un’esperienza bella o brutta, perché quello che è stato vissuto farà sempre parte di noi.
“Quando si fa un’esperienza all’estero, si ha la possibilità di conoscere persone che non dimenticheremo mai: ci sono quelle con cui si passa più tempo e che diventano parte del tua vita quotidiana, quelle che diventano la tua ‘famiglia’ quando la tua ‘vera famiglia’ è lontana chilometri e chilometri da te, e infine ci sono quelle persone che ti fanno crescere e che ti insegnano nuove cose, un po’ come dei fratelli o sorelle maggiori”.
Ti manca l’Italia?
“Se mi manca l’Italia?. Beh, un po’ sì, ma poi quando torno e rimango lì per più di una settimana inizia a mancarmi la mia casa…che in questo momento è l’Olanda. Casa è dove trovi le persone che ti fanno stare bene, dove riesci ad esprimere al meglio te stesso e ti senti fortunato a fare quello che più ti piace fare”.
Questo racconto di vita ci arriva in redazione direttamente dall’Olanda, Paese europeo, in cui Marta Scali ha trovato, da quattro anni a questa parte, la sua casa, dopo aver abitato in Norvegia e a Monaco di Baviera. Marta è partita con la sua valigia pieni di sogni e di speranze da Trequanda.
Chi è Marta Scali?
“Sono cresciuta in una grande e unica famiglia. Ho frequentato le scuole elementari e medie del paese e il Liceo Scientifico a Montepulciano. E poi una nuova scelta. Mi sono trasferita a Pisa per frequentare Ingegneria Biomedica all’Università degli Studi di Pisa, un nuovo indirizzo nella Facoltà di Ingegneria dove la tecnologia incontra la medicina. Dopo la mia Laurea breve ho continuato a studiare per la Laurea Magistrale. È stato un lungo cammino ma allo stesso tempo stimolante. Alla fine del quinto anno grazie alla borsa di studio Erasmus Placement ho avuto la possibilità di vivere in un’altra nazione a mia scelta per 6 mesi per lavorare al mio progetto di tesi Magistrale. La mia scelta della Nazione non è stata molto scontata. Ho scelto di partire per la Norvegia, in specifico Trondheim”
Di solito chi parte per fare la prima esperienza all’estero sceglie Paesi a noi ‘amici’ come la Germania, la Francia o l’Inghilterra, tu perché hai scelto proprio la Norvegia?
“Fin da piccola ho visto la Norvegia e i suoi fiordi come un posto irraggiungibile e non mi sarei mai immaginata di vivere là un giorno. Invece in un freddo gennaio del 2012 ho preso le mie valige cariche di golf, scarponi, sciarpe e cappelli e sono partita. Il primo impatto è stato migliore di quanto pensassi. I miei primi mesi sono stati caratterizzati da neve, ghiaccio, aurore boreali e tanto calore da parte di ogni persona che incontravo. Il mio inglese non era dei migliori quando sono arrivata, avevo il livello che tutti gli italiani mai usciti dall’Italia hanno, riuscivo a capire abbastanza bene quello che mi dicevano ma le mie risposte erano sempre molto limitate. Ho sofferto molto all’inizio perché non riuscivo ad esprimere me stessa al meglio. Nella mia testa avrei volute dire tante cose ma poi di tutto quello che avevo dentro usciva solo una minima parte. Poi una mattina mi sono svegliata e mi ero accorta di aver fatto un sogno in cui tutti parlavano inglese inclusa me. E da lì tutto è cambiato”.
Parlaci del progetto che ti ha portato in Norvegia.
“Il mio progetto di tesi si è svolto al SINTEF Medical Technology dove ho lavorato al design di un nuovo strumento per biopsia durante una procedura di broncoscopia (analisi e diagnosi di problemi ai polmoni). Mi è piaciuto molto lavorare a contatto con i medici interessati a nuove tecnologie e pieni di idee e voglia di miglioramento nelle procedure mediche. Finito il mio progetto in Norvegia sono tornata in Italia per laurearmi e subito dopo ho continuato a lavorare come ricercatrice al SINTEF Medical Technology con un progetto di ricerca europeo Marie Curie. Questo progetto è durato per 8 mesi dopo di che sono tornata in Italia”.
Finita questa esperienza sei tornata in Italia, ma dopo poco tempo hai deciso di ripartire. Cos’è che ti ha fatto decidere di ripartire di nuovo?
“Mi sono trovata ad un bivio in cui non sapevo bene cosa fare, andare a lavorare in un’azienda o continuare nel mondo accademico. Ho iniziato a mandare cv in Italia ma non ho ricevuto molte risposte ed entusiasmo. Ho contattato università all’estero, inclusa l’Australia, ma nel frattempo ho ricevuto un’offerta di un dottorato a Monaco di Baviera e ho deciso di accettarlo. E sono ripartita. Valige in mano mi sono trasferita a Monaco di Baviera con un’altra lingua da imparare. In Germania parlare il tedesco è molto importante per il processo di integrazione. Mi sono trovata a condividere le mie esperienze lavorative e non con un gruppo alquanto internazionale, Iran, Spagna, Cina, Repubblica Ceca, Francia, Turchia, India, Messico…Quando ti ritrovi circondato da tutte queste nazionalità e culture diverse in un certo senso è un po’ come viaggiare senza spostarsi fisicamente. E poi capita che in un attimo sei invitato ad un matrimonio in Colombia e il giorno dopo sei a mangiare tapas a Madrid”.
“Purtroppo il tipo di dottorato e l’ambiente di lavoro non mi convincevano e non riuscivo a vedere niente di positivo nel rimanere nella mia condizione, l’unico motivo sarebbe stato quello di restare per le persone che avevo conosciuto al di fuori, persone veramente uniche che mi hanno aiutato in un momento difficile mi sentivo persa e senza una soluzione. Poi ho visto una nuova opportunità per un dottorato in Olanda con il gruppo di Minimally invasive Instrument all’Università Tecnologica di Delft e ho deciso di fare domanda. Sono stata presa per questo lavoro e ho lasciato il mio dottorato a Monaco di Baviera per iniziarne uno nuovo in Olanda. Ed è qui che mi trovo dal 2015. Lavoro nel Dipartimento di Biomechanical Engineering, nel Bio-inspired technology group. Nel nostro gruppo ci guardiamo intorno e prendiamo inspirazione dal mondo animale e vegetale per sviluppare nuovi strumenti medici per chirurgia minimamente invasive”.
Parlami meglio di questo progetto.
“Nel mio progetto, lavoriamo allo sviluppo di nuovi aghi, con diametro inferiori ad 1 mm, che possono curvare e penetrare all’interno del corpo per, per esempio, prendere un campione di tessuto o iniettare liquidi. L’inspirazione del mio progetto è arrivata da l’ovipositor di una vespa parassita. L’ovipositor è delle dimensioni di un capello umano (o anche più piccolo) che la vespa può inserire all’interno di un frutto o tronco di albero utilizzando un semplice meccanismo. Ora sono al quarto anno di dottorato e a Marzo 2019 anche questa avventura finirà. Al momento sto cercando attivamente un nuovo lavoro al di fuori dell’Accademia”
Al di là dei limitazioni linguistiche, come sono state con te le persone che hai conosciuto o incontrato durante queste esperienze?
“In Italia sappiamo che le persone del Nord Europa sono ‘fredde’, ma quello che noi non riusciamo a capire è che quello che per noi è ‘freddezza’ per loro è puro ‘rispetto dell’altro’, il nostro ‘vivi e lascia vivere’. Ed è proprio vero, io non mi sono mai sentita così libera di essere quello che voglio essere come adesso. Il mio carattere è cambiato, è maturato grazie alle esperienze di vita in Paesi diversi che mi hanno fatto conoscere e comprendere che non esiste un solo modo di vedere le cose e che non si finisce mai di imparare. Nel mio primo anno fuori dall’Italia ho scoperto e imparato così tanto di me stessa e del mondo, che una volta tornata a casa, 6 mesi mi sono sembrati anni”.
“Mi fa strano pensare che sono fidanzata con un ragazzo non italiano. Quello che ci rende forti è che ci complementiamo, un po’ come le nostre due culture. Anche se siamo cresciuti in modi differenti riusciamo a capirci e ad amarci per quello che siamo. In più il caso ha voluto che trovassi un ragazzo olandese che parla italiano! Mi ricordo ancora quando pensavo che la mia vita da grande sarebbe stata lavoro, casa e famiglia nei confini della Valdichiana. Direi che i miei piani sono cambiati un pochino. Questo mi fa sorridere, perché chissà dove sarò e cosa farò tra qui a 5 anni? Non nego che una parte di me dice che la mia vita prima o poi mi riporterà in Italia, ma al momento mi godo questa sensazione di libertà, voglia di conoscere e scoprire il mondo perché come si dice ‘Non si finisce mai di imparare!’”
Hai detto che casa è ‘dove trovi le persone che ti fanno stare bene’, però dì la verità, c’è qualcosa che ti manca dell’Italia?
“Mi mancano le nostre colline e i nostri tramonti mozzafiato. Questo perchè sono 4 anni che vivo in Olanda, una nazione prevalentemente piatta. Mi manca il cibo, come penso un po’ a tutti gli italiani che vivono all’estero e soprattutto mi manca una bel piatto di tagliata e di pici al sugo! Mi manca l’estate Italiana con gli aperitivi, le serate passate semplicemente a parlare in piazza con le persone del paese, alzare gli occhi al cielo e vedere le stelle o meglio ancora le stelle cadenti.”
Ma a Marta, la cosa che le manca di più della sua Toscana, e che forse non ha mai veramente apprezzato ma che l’Olanda le ha fatto riscoprire, sono le semplici battute che si scambiano quando si incontra per strada qualcuno che si conosce, un amico, un conoscente o un semplice passante:
“C’è una cosa, in particolare, che mi fa sorridere e mi rende sempre un po’ nostalgica: quando incontro una nuova persona e mi presento mi viene sempre chiesto “Da dove vieni?” e appena rispondo “Italia” gli occhi di quella persona cambiano immediatamente espressione e mi sento dire “Wow, che bello! Italia da dove?” – “Toscana” – “Oh, che posti meravigliosi. Sono geloso/a, e perché hai deciso di lasciare l’Italia?”. E da qui rinizia la mia storia”.
Marta, nonostante essere ‘cittadina del mondo’, è e rimarrà sempre italiana e sicuramente, questa esperienza le sarà servità per aprire un pò di più gli occhi e la mente, consegnandole gli strumenti per non giudicare senza prima conoscere. E questo le è stato possibile grazie alle diverse e differenti culture, da quella norvegese e a quella olandese, con cui è entrata in contatto, quelle culture che adesso Marta riconosce come ‘casa’.
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