Conoscere la politica contemporanea di una Nazione può essere difficile se non si conoscono i processi storici precedenti. Poiché Chiara & Civica si pone come obiettivo quello di fornire pillole di educazione civica ai più giovani, così da potersi orientare nel mondo in cui vivono, abbiamo pensato di parlare di partiti politici.
È probabilmente uno dei mille modi possibili per comprendere la politica italiana e per potersi orientare al momento del voto, ma partire dal passato spesso ci rende più consapevoli del presente.
I PARTITI POLITICI IN ITALIA
Per comprendere la storia dei partiti politici italiani possiamo iniziare ad analizzare l’articolo 49 della Costituzione:
“Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”
Analizziamo: dall’articolo si comprende che i partiti rispondono alla democrazia, infatti tutti i cittadini hanno il diritto di associarsi liberamente i partiti possono essere creati autonomamente, senza limite di numero o di idea (tranne alcune eccezioni di cui parleremo più avanti).
Sappiamo che i partiti sono società private, ma allora perché vengono citati nella Costituzione?
I partiti vengono creati al fine di determinare la politica nazionale e internazionale, hanno quindi un ruolo di importanza all’interno dello Stato e all’interno della sua vita politica. Possiamo dire che i partiti svolgono funzioni pubbliche fondamentali: l’inquadramento degli elettori, comprendendo la loro formazione ideologica e politica, la distinzione della popolazione in vari gruppi a seconda delle varie ideologie, la selezione dei candidati alle elezioni, l’inquadramento degli eletti nell’intervallo fra le elezioni e la composizione della classe dirigente.
In definitiva i partiti sono sì delle associazioni private, ma in realtà determinano gran parte della vita pubblica del nostro paese.
Nell’articolo 49 stesso è evidenziata l’importanza che hanno i Partiti nel determinare la politica nazionale, ma in contraltare si evidenzia l’importanza di non fare prevalere un partito sugli altri e quindi la necessità di un’opposizione. Opposizione necessaria che nasce dal terrore per il periodo fascista, concluso poco prima della nascita della nostra Costituzione. Ma dobbiamo ricordarci che nonostante i partiti vengano citati nella carta costituzionale, questa non ne sancisce né delinea alcune personalità politica.
Quando si inizia a parlare di partiti in Italia?
La prima organizzazione moderna nacque nel 1892 coinvolgendo contadini e operai: era il Partito Socialista (PS).
Fino a quel momento vigevano la destra storica e la sinistra storica, che più che partiti erano denominazioni ideologiche che facevano riferimento a due distinte teorie. La destra si rifaceva alle teorie perseguite dai liberali e ricollegate ad Adam Smith, David Ricardo e Keynes. La sinistra prendeva spunto da Marx e dalla sua ideologia.
Insieme ai Socialisti, c’erano poi i Repubblicani che rappresentavano l’estrema sinistra e i Liberali che rappresentavano la destra. Nello specifico questi tre movimenti italiani si rifacevano: i liberali a Cavour, i repubblicani a Mazzini e i socialisti a Garibaldi.
Anche il secondo Partito moderno nacque con una rivoluzione: questa volta furono i cattolici, che si presentarono con il Partito Popolare Italiano (PPI) di Don Sturzo.
Nel 1921, da una scissione del PS nacque il Partito Comunista italiano fondato da Antonio Gramsci.
Nel 1914 viene fondato da Benito Mussolini, Alceste de Ambris e Angelo Oliviero Olivetti il Fascio d’azione rivoluzionaria, il quali esaurì la propria azione con l’entrata dell’Italia in guerra. Ma tutti i 9.000 iscritti si ritroveranno nel 1921 per formare e fondare il Partito Nazionale Fascista (PNF).
Questi ultimi tre partiti, i comunisti, i cattolici e i fascisti, saranno considerati la seconda generazione dei partiti italiani e verranno contraddistinti rispettivamente dai colori: rosso, bianco e nero che determineranno le azioni e le ideologie perseguite.
Nel secondo dopoguerra con la fine del partito fascista i partiti di massa furono la Democrazia Cristiana (DC) e il Partito Comunista Italiano (PCI), una contrapposizione andata avanti per più di quaranta anni. Nonostante la presenza di un partito come il PCI il sistema politico italiano non ha mai visto un’alternanza al potere, in parte anche per via dei pregiudizi verso il comunismo e la parte sovietica da cui discendeva. Tutto ciò spiega la permanenza al potere da parte della DC, erede del PPI di Don Sturzo, che tuttavia ha sempre necessitato la presenza di altri partiti al suo fianco per ottenere la maggioranza di governo (come il Partito Liberale Italiano o il Partito Socialista Democratico Italiano).
Una situazione durata fino al crollo del Muro di Berlino del 1989 e soprattutto all’inchiesta di “Mani Pulite” del 1992, che colpì duramente la DC, il PSI e altri partiti, portando alla fine di un’epoca politica. Con la disgregazione dei partiti storici agli inizi degli anni ’90 si apre una nuova fase, fatta principalmente di partiti personali e non più partiti di massa collegati a forti ideologie politiche.
Per raccontare i principali partiti della storia italiana, andiamo adesso ad analizzare come arrivarono al potere due tra i principali: la Democrazia Cristiana e il Partito Nazionale Fascista.
La Democrazia Cristiana (DC)
Fondata nel 1943 da De Gasperi, Gronchi, La Mira e Mattei è stato il partito di maggioranza relativa per decenni. Il nucleo centrale dei fondatori è stato sostenuto da gruppi di cattolici antifascisti, ex esponenti del Partito Popolare e da giovani proveniente dall’azione cattolica. Ddivenne la maggiore forza politica dell’Italia del dopoguerra.
Come mai ebbe così tanta importanza per gli italiani?
-La lotta partigiana
La Democrazia Cristiana (fondata clandestinamente nel 1942) fece parte del movimento organizzato della Resistenza a partire dal 1943. Costituì un suo corpo di brigate partigiane come le “Brigate Fiamme Verdi” o le “Brigate del Popolo”: si calcola infatti che sui circa 200.000 partigiani armati nei giorni intorno al 25 Aprile, circa 30.000 fossero legate alla DC. L’atteggiamento delle formazioni partigiane collegate alla DC avevano un atteggiamento prudente sia nei confronti della popolazione che trattavano umanamente sia nei confronti degli avversari, per evitare rappresaglie.
-Il ruolo nell’Assemblea Costituente
La DC partecipò alle stesura della Costituzione della Repubblica Italiana impegnandosi a evitare il ritorno dittatoriale, sia allontanandosi dall’ideologia fascista sia da quella marxista. Grazie alla base sociale del partito ampiamente interclassista riuscì a instaurare un dialogo proficuo all’interno dell’Assemblea.
–Il Comitato di Liberazione Nazionale (CLN)
Nei mesi finali della liberazione si era aperto un dibattito fra i diversi partiti sul ruolo che avrebbe assunto il CLN, i democristiani e i liberali ritenevano che sarebbe dovuto cessare, mentre i comunisti e gli azionisti che sarebbe dovuto continuare anche nel dopoguerra. La tesi portata avanti da democristiani e che poi fu vittoriosa era che a causa della mancanza di sovranità del popolo nel CLN si potesse instaurare una dittatura comunista, spinta dal potere della sinistra.
La Democrazia Cristiana deve però parte del suo successo elettorale, e la sua permanenza in campo politico, a una grande capacità di marketing. Supportata dalla Chiesa e dall’azione benevola nei confronti del popolo, riuscì a demonizzare gli avversari anche grazie al rischio di ripetere la dittatura da poco cessata. Gli italiani non vedevano di buon occhio ciò che era successo con il comunismo nei Paesi dell’est, e la sfiducia della DC nei confronti di PSI e PCI portò il popolo italiano a riprovare la sensazione di terrore da poco cessata. La Democrazia Cristiana era del popolo italiano, era formata da cattolici e soprattutto non aveva legami con partiti politici o ideologie straniere.
La vittoria della DC per gli italiani segnava un punto di svolta lontano dai regimi dittatoriali, “una diga anticomunista”: era la migliore garanzia per evitare la rivoluzione comunista o il ritorno di una dittatura “di sinistra”, dopo quella fascista da cui l’Italia era uscita con la Seconda Guerra Mondiale.
Il Partito Nazionale Fascista (PNF)
Nel 1919 nasce un altro movimento insieme a quello del “PPI” di Don Luigi Sturzo e il PCI di Antonio Gramsci e Amedeo Bordighera: i “Fasci Italiani di Combattimento”di Benito Mussolini. Alla sua fondazione, di carattere elitario e non di massa, nel 23 marzo del 1919 a Milano, sono presenti nazionalisti reduci della grande guerra, ex sindacalisti, rivoluzionari repubblicani, dannunziani e alcuni futuristi.
Il fascismo Sansepolcrista nasce qui e si organizza come un’avanguardia politica capace di portare le masse in politica nazionalizzandole.
Ma cos’è che accomuna i vari esponenti e cosa vogliono dal Partito?
I vari esponenti sono accomunati dal rifiuto dell’ordine liberale tradizionale e dalla volontà di imporre uno nuovo. Si distaccano dagli ordini dei programmi del Partito Comunista d’Italia di Gramsci o del Partito Popolare di Don Luigi Sturzo e cercano di trovare una via nuova completamente propria.
Dobbiamo però tenere a mente che Mussolini è un ex socialista, tant’è che il primo programma che esce sul “Popolo d’Italia” è un un riassunto di rivendicazioni socialiste e democratiche con qualche richiesta repubblicana e risorgimentale. E sarà proprio contro i socialisti e i comunisti che i fascisti riusciranno a uscire vincitori e a farsi conoscere in Italia.
-Le azioni squadriste
Con la difficile situazione che si era creata dopo le lezioni del 1919, Giolitti ritorna al potere per gestire il caos generato da quello che viene comunemente chiamato “il biennio rosso”: due anni di rivolte da parte di contadini e lavoratori in Italia. Giolitti però decide di non intervenire e cerca di far operare il partito socialista che però decide di rimanere su posizioni innocue. I ceti medi a causa della decisione di Giolitti necessitano quindi un modo per rispondere alla violenza armata patriottica che si era diffusa all’interno del Paese e proprio a questa richiesta risponderà il partito fascista.
Con un clima da guerra civile che si era diffusa in tutta la penisola, il fenomeno fascista riesce a diffondersi con la stessa velocità: lo squadrismo diventa un punto centrale nel panorama politico sociale italiano per combattere il socialismo nelle campagne e nelle fabbriche del Nord Italia.
I fasci italiani di combattimento nel 1921 diventano il Partito Nazionale Fascista, la loro sede si sposta da Milano a Roma e Mussolini diventa Primus Inter pares.
-L’azione propagandistica e la marcia su Roma
Come fasci di combattimento il partito aveva stabilito due premesse il repubblicanesimo e l’anticlericalismo, ma Mussolini nel 1922 decide di presentare il fascismo come unica alternativa valida sia sul piano politico che su quello ideologico.
Accanto alle azioni squadriste, il 24 ottobre del ’22, Mussolini raduna a Napoli migliaia di camicie nere e ha luogo la marcia su Roma. Al presidente del consiglio Luigi Facta viene consegnato il decreto per la proclamazione dello stato d’assedio, ma il Re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmarlo, per paura di una guerra civile. Ciò lascia il via libera ai fascisti che entrano a Roma il 28 ottobre.
-La composizione del nuovo governo e la conquista del potere
Una volta conquistata Roma, il Re affida l’incarico di formare un nuovo governo al partito nazionale fascista. Mussolini decide di presentare un programma che possa sciogliere le amministrazioni comunali e le province guidate dalla sinistra, la liquidazione delle cooperative, la limitazione delle libertà sindacali.
La prima iniziativa da prendere era però la legalizzazione delle squadre fasciste che ancora stavano operando. La maggior parte dei politici infatti non insorgeva contro il Partito Nazionale Fascista, perché speranzosa di un regime legalizzato vista la carica pubblica concessa. Ma la corrente interna guidata da Farinacci si opponeva al tentativo di moderazione. Per mantenere la leadership Mussolini fu costretto a usare uno stratagemma: le squadre vennero trasformate in: Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale. Successivamente venne data vita a un nuovo organo statale, il Gran Consiglio del Fascismo, e viene modificata la legge elettorale per garantire al fascismo una solida maggioranza parlamentare (legge Acerbo).
Il 6 Aprile 1924 si svolsero le nuove elezioni e la Lista Nazionale ottenne il 65% dei voti. La vittoria alle elezioni politiche italiane fu la prima e ultima legittimazione costituzionale del fascismo. Le due successive elezioni del 1929 e del 1934, infatti, furono dei semplici plebisciti per ratificare la lista dei deputati designati dal regime fascista.
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