Intervista ad Alessio Biancucci, direttore artistico del Live Rock Festival
Fare domande ad Alessio Biancucci per me è difficile. Ho davanti un vecchio amico, e una delle menti più argute in circolazione, rimaste intrappolate – chissà come – in provincia. Dietro allo sguardo sfuggente, si annidano buone letture, idee taglienti e una lingua a volte impudente che sferza l’interlocutore.
Con questa sviolinata (che spero mi valga la prossima bevuta), iniziamo una lunga chiacchierata, mai banale, dalla quale tirerei fuori almeno una decina di #hashtag, un paio di spunti per le prossime amministrative (“abbiamo dimostrato che ogni piccolo centro può raccogliere le energie del volontariato per costruire progetti ambiziosi”), qualche slogan da murales (“meglio sbagliare per una scelta audace piuttosto che accontentarsi di una soluzione pavida”), persino una frase romantica degna del miglior Battiato (“le alchimie si manifestano e basta: è inutile spiegarle con parole”). Vamos.
Siete un festival anomalo, totalitario e cannibale. Al Live Rock ci sono tutti e c’è di tutto. Musica, fumetto (la collaborazione decennale con Danjiel Zezelj), ambiente, vino nobile, acqua pubblica, birra, libri, mercatino. La sera a tavola ci sono i genitori e i nonni che mangiano i pici o lo stinco di maiale. Mentre all’una si balla come in un club berlinese. Come ci siete arrivati? E quanto è cambiato il Collettivo Piranha, il motore del Festival, in questi anni?
Siamo arrivati a tutto questo eludendo l’ansia da prestazione, con un po’ di incoscienza e tanta professionalità. Ogni anno siamo sempre più spaventati, perché sono sempre più diversi i nostri pubblici e sempre più articolate le loro aspettative. I ragazzi che ora acclamano i djset elettronici erano in fasce quando abbiamo iniziato; i loro genitori ci guardavano dubbiosi quando Acquaviva doveva ancora abituarsi alle migliaia di giovani che destabilizzavano il metabolismo provinciale del paesello. Ora anche quelle famiglie hanno affinato l’orecchio e sono pronte a giudicare le scelte artistiche e le proposte gastronomiche. Ogni anno devi dare il massimo, cercando di coltivare quella spontaneità che i più giovani piranhas ci aiutano a mantenere. In fondo la nostra è pur sempre una scellerata brigata di volontari: non dobbiamo dimenticarcelo noi e non deve dimenticarselo il nostro pubblico.
Come ha fatto una piccola frazione di Montepulciano, come Acquaviva, a mettere in piedi un festival che è ormai in punto di riferimento tra i festival gratuiti italiano? Come li avete convinti a lavorare così tanto?
Le alchimie si manifestano e basta, è inutile spiegarle con parole. Si sono combinati tanti e imprevedibili elementi. Che non è solo il Live Rock Festival (e sarebbe già un’impresa epica), ma è anche tutto il contesto circostante che ha preso esempio da noi: abbiamo convinto una piccola frazione a lavorare per un evento collettivo, ma abbiamo anche dimostrato che ogni piccolo centro può raccogliere le energie del volontariato per costruire progetti ambiziosi. In tanti, giovani e meno giovani, si sono ispirati alla nostra esperienza e si sono messi ad organizzare, talvolta anche con risultati lodevoli. I risultati diventano esempi e alimentano la voglia di uscire di casa e mettersi alla prova. Per sentirsi vivi.
Fare un festival significa lavorare con l’industria musicale. Come siamo messi in Italia?
Quando Rolling Stones ci pose una domanda analoga, rispondemmo che l’Italia, paese di Verdi e di Rossini, è ai livelli minimi di coscienza musicale. L’educazione musicale dovrebbe essere una priorità nelle nostre scuole pubbliche, così anche l’industria musicale sarebbe animata dalla sensibilità artistica più che da un diffuso e approssimativo opportunismo, e magari anche l’informazione farebbe meglio il proprio mestiere piuttosto che indugiare sull’ultimo gorgheggio di quel tal Mengoni. C’è tanto di buono nell’ambito più underground, ma anche nei circuiti più genuini incombono i vizi peggiori del mainstream: nessuno di noi è impermeabile alle più basse tentazioni.
Avete aggredito la pigrizia di chi ascolta la solita musica insistendo sulla contaminazione di generi diversi, anche nella stessa Line-up, e su artisti poco noti, magari stranieri. È una scelta che paga? Non spaventate i conservatori?
La verità è che i conservatori spaventano noi. E più ancora ci spaventa il conservatore che è dentro ognuno di noi. Essere rassicurati dalla solita musica sarebbe semplice e anche conveniente, ma la bellezza va inseguita con curiosità, senza accontentarsi delle soluzioni comode. Meglio sbagliare per una scelta audace piuttosto che accontentarsi di una soluzione pavida.
Una domanda meno buona, qualcuno dice c’è siete come l’Inter, preferite un nome straniero, ad un artista italiano dello stesso livello e puntate poco sul vivaio, sui giovani talenti del territorio. Che rispondi?
I poliziani Baustelle hanno suonato da noi 15 anni fa, ben prima di diventare i Baustelle; l’ultimo 3D Contest, concorso nazionale per giovani musicisti, l’hanno vinto sul nostro palco i Vandemars, gente dell’Amiata; quest’anno abbiamo avuto i toscani Platonick Dive, la P-Funking band di Città della Pieve e il Raf Ferrari 4tet sospinto da un valente batterista di Piancastagnaio. Siamo comunque aperti ai suggerimenti di chi riesce ad indicarci artisti italiani in grado di esprimere lo stesso livello dei nomi stranieri che ospitiamo. Si dovrà però riconoscere che il sound di Acquaviva è un po’ diverso dalla solita musica (appunto): non siamo noi a poter dire se è migliore, ma senz’altro è un suono diverso. E la diversità è un valore di per sé.
Qual è l’artista che ti ha deluso di più, a livello umano?
Fortunatamente sono pochi quelli che deludono sul piano umano: i più intrattabili sono spesso gli italiani medi, quelli che iniziano ad a vere un nome, ma che sono ancora piccoli per sentirsi tanto grandi.
Organizzi un festival, ma ne frequenti altri. Avessi potuto “rubare” un artista ad un altro festival chi avresti a scelto?
I Radiohead sono come i leggendari gran premi della montagna al Tour de France: hors catégorie. The Black Keys forse non vale perché non li ho visti ad un festival. Bruce Springsteen suona tre ore e non lascerebbe spazio ad altre band. Forse mi accontenterei degli Arctic Monkeys.
Credo che uno abbia la consapevolezza di aver fatto nascere una cosa vera, quando a un certo punto questa non ti appartiene più, e cammina da sola. Quando lascerai ballare il live rock da solo?
Una cosa è vera quando è un bene comune. E il Live Rock Festival è un patrimonio collettivo da diversi anni; appartiene ad ogni singolo volontario organizzatore e ad ogni singolo spettatore: tutti quelli che sono passati da qui ne costituiscono l’azionariato popolare, avendo lasciato il loro contribuito, non importa se di critiche o di vitalità. Non si può prevedere quanto ancora andrà avanti questa avventura, ma indipendentemente dalla mia presenza o da quella di qualche altro veterano, il Live Rock Festival non ballerà mai da solo, almeno finché un gruppo di giovani scalmanati avrà l’energia per guidare la danza.
Il LIVE ROCK FESTIVAL, giunto nel 2013 alla 17° edizione, è ormai uno tra festival gratuiti più apprezzati e autorevoli d’Italia. 5 serate, oltre 100 gli artisti che ogni anno si alternano sul palco di Acquaviva, Montepulciano (SI). Rock e avanguardia, elettronica e world music, reggae e tradizione popolare, blues e jazz: il percorso musicale della rassegna privilegia le produzioni originali, i progetti internazionali, le nuove tecnologie e le radici etniche.