CORTONA – “Da Cortona gli emigranti sono partiti alla volta del mondo soprattutto tra le due guerre mondiali. Altri alla fine dell’Ottocento. Un’emigrazione non molto diversa da quella del resto della provincia di Arezzo o della Toscana “
Racconta l’assessore alla cultura e al turismo della città Albano Ricci, che ha accolto domenica 7 settembre, i rappresentati dei toscani nel mondo che si sono riuniti per due giorni proprio nella a Cortona.
La maggior parte è partita per l’Argentina. Molti altri si sono diretti in Francia: molti di meno in Belgio, almeno rispetto a quello che è accaduto altrove. Più particolare è stata l’emigrazione interna: Prato e Milano, quando nel secondo dopoguerra si sono svuotate le campagne e colline. Un flusso, pare, che prosegue anche oggi e che ha lasciato forti legami.
Ma è vista la Toscana da fuori? E’ una delle domande su cui si sono articolati i lavori della giornata di domenica mattina. Sicuramente è una regione amata, a volte vittima nell’immaginario collettivo di qualche falso clichè.
“Quello che colpisce un americano dell’Arkanas sono le colline e i cipressi” ha confidato Sarah Marder, americana che di Cortona e della Toscana si è innamorata e ha provato a raccontare la trasformazione della città negli ultimi quindici anni, dopo la notorietà internazionale di Cortona e l’arrivo di tanti turisti: 120 ore di girato in cinque anni e centocinquanta interviste a mezzadri e studenti, camerieri e giovani tornati dopo un breve periodo di fuga,a amministratori, abitanti di Cortona e celebrità che sono diventate un documentario di 80 minuti di prossima distribuzione, “The genius of a place”.
La Toscana vista da fuori è la regione dove studiare almeno un anno, scelta da molte università americane. Quella della Georgia ha eletto proprio Cortona come sede del proprio programma di studi. La Toscana vista da fuori è in fondo anche quella di chi toscano è, figlio o nipote di genitori o nonni emigrati oltre oceano o oltralpe. Almeno fino a quando in Toscana non mette piede. Quattro testimonianze che arrivano da altrettante ragazze che dal Sudamerica sono arrivate in Toscana con le borse Mario Olla, per conoscere la terra di origine e fare uno stage in azienda.
Maria Julia Diaz, pratese e argentina, racconta la sua Toscana con le ricette insegnate dalla nonna. E si commuove, ricordando quella nonna se n’è andata da appena tre mesi, quando lei era dall’altro capo del mondo senza poterla salutare. E’ stata la nonna a fornirle l’ispirazione per aprire un ristorantino, mezzo toscano, a Buenos Aires. Maria Julia è arrivata l’anno scorso e ha deciso di rimanere. Ora lavora in un agriturismo a San Casciano in Val di Pesa, in mezzo “a quelle dolci colline punteggiate di cipressi” tanto sognate.
La Toscana vista da fuori è fatta anche di presunte diffidenze.
“Credevo che in Italia ci fosse un pregiudizio per i sudamericani – racconta Augustina Bentghen, argentina anche lei – . Non so perchè. Qui naturalmente mi sono ricreduta”. I racconti della nonna riaffiorano anche nei ricordi di Natali Boivin, toscana argentina di Cordoba. ” Mi raccontava di borghi dalla vie strette e piccoli paesi. Poi ho capito che c’era molto di più”. Con le borse Mario Olla ha avuto la possibilità di lavorare in un’azienda di design. E’ tornata in Argentina per scrivere la tesi ma ora è di nuovo qui, decisa a trovare un lavoro in Toscana.
“Si tratta di un’esperienza unica, assolutamente da consigliare – conclude Maria Menon dall’Uruguay, in tasca una laurea in marketing – Conosco chi è tornato a casa e grazie a questo stage internazionale ha trovato subito lavoro nel proprio paese”.