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Coronavirus, isolamento e violenza domestica

Coronavirus, isolamento e violenza domestica

Siamo abituati a pensare alla nostra casa come a un nido sicuro, al luogo in cui fare ritorno lasciando fuori dalle mura tutti i problemi e le difficoltà. La viviamo come qualcosa che ci protegge contro tutto e tutti. Ma in alcuni casi questa non è la realtà e stare nella propria casa significa vivere un incubo.

In questo interminabile periodo di quarantena l’emergenza sanitaria del Coronavirus si è unita a un altro dramma: la violenza domestica, che si concentra in particolare sulle donne. Covid-19, reclusione domestica e rapporto di coppia alimentano quello che secondo il rapporto dell’OMS rappresenta un problema di salute di proporzioni globali enormi.

A oggi in Italia il 31,5% delle donne di età compresa tra i 16 e i 70 anni (in unità sono 6 milioni 788 mila) ha subito, nel corso della propria vita, una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Solo nel 2017 si sono rivolte ai centri anti-violenza 43.467 donne (fonte Istat). L’ultimo report diffuso dalla Polizia di Stato “Questo non è amore“, con i dati aggiornati al 2019, parla di 88 vittime ogni giorno: una donna ogni 15 minuti. Sono numeri che disgustano. Cancrene annose della società, che in questa situazione di emergenza sanitaria si moltiplicano subdolamente.

Solo durante il lockdown 2867 donne si sono rivolte ai centri antiviolenza della rete D.i.Re. l’Associazione Nazionale “Donne in Rete contro la violenza” costituita nel 2008. L’incremento delle richieste di supporto, rispetto alla media mensile registrato con l’ultimo rilevamento statistico (2018) è stato del 74,5%. Inoltre, è stato registrato anche un calo delle prime richieste di aiuto da parte di donne “nuove”, ovvero quelle che non si erano mai rivolte prima a uno di questi centri.

«Un dato che conferma quanto la convivenza forzata abbia ulteriormente esacerbato situazioni di violenza che le donne stavano vivendo» nota Paola Sdao che, insieme a Sigrid Pisanu, cura la rilevazione statistica annuale della rete D.i.Re. «A preoccuparci sono le nuove richieste di aiuto, che rappresentano solo il 28% del totale, quando invece nel 2018 rappresentavano il 78% del totale delle donne accolte», segnala ancora Sdao. «E di queste solo il 3,5 per cento sono transitate attraverso il numero pubblico antiviolenza 1522».

Lucia Perilli, responsabile legale dell’Associazione Amica Donna impegnata nell’ascolto e nell’accoglienza di vittime che hanno subito maltrattamenti, conferma questa tendenza nella Valdichiana senese:

«Abbiamo avuto poche chiamate da parte di “nuove donne”, mentre c’è stato un aumento di richieste da chi già stavamo seguendo. Questo significa che le vittime sono sotto un ferreo controllo da parte dei violentatori. Nonostante la nostra associazione si sia mossa per incrementare le possibilità di contattarci, anche tramite messaggi istantanei dalle chat dei social, questo non ha prodotto i risultati auspicati: potrebbe essere la conferma del fatto che gli uomini sono molto pressanti e invadenti nel controllare la donna fra le mura di casa. Vorrei anche portare alla luce», continua Perilli «che in queste settimane di quarantena c’è stato non tanto un aumento delle pericolosità delle violenze, quanto una maggiore frequenza degli atti. Abbiamo avvertito tanta sofferenza. Inoltre, questa condizione già disumana si somma alle difficoltà economiche, che sono ancora più marcate nelle donne penalizzate in ambito lavorativo in quanto assunte part-time o a contratto, quando non al nero. Si tratta di un vero problema di sopravvivenza».

Donne che si sono rivolte al centro20
Donne che si sono rivolte al centro per la prima volta5
Donne che hanno richiesto ospitalità in strutture 2

RILEVAZIONE DAL 02 MARZO AL 17 APRILE 2020. Nello stesso periodo del 2019 le nuove richieste di aiuto sono state 10

Nel territorio senese è stata lanciata la campagna “Lei resta a casa” (già attivata a Firenze), per chiedere che sia il maltrattante a dover essere allontanato dall’abitazione e non la donna vittima di violenza.

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