Senza considerare il limite finissimo che esiste – in senso positivo, ovviamente – tra intrattenimento, celebrazione ed opera d’arte, Montepulciano ha portato nella sua piazza un trionfo di figure poetiche, movimenti e coreografie spirituali durante la cerimonia del corteo dei Ceri, nella notte del 28 Agosto 2014.
Alle 21:15 la città si è spenta – come da tradizione, sì – ma come se fosse la prima volta. Cos’è che rende il rito così speciale e magico ogni volta? È il contesto, forse, la chimica che scaturisce dalle tensioni e dalla partecipazione di un intero paese ad un evento così reverente e mistico. Perché il “giovedì dei ceri” è prima di tutto un cerimoniale, una di quelle particolarissime scansioni e superamenti dei confini tra religione e paganesimo, che caratterizzano fin troppo denotativamente questo tipo di manifestazioni. A Montepulciano c’è qualcosa in più. Un tocco di silenziosa magniloquenza, che tanto contraddistingue il Bravìo dal resto degli eventi e delle rievocazioni del territorio, una scissione netta tra momenti contemplativi, momenti agonistici e momenti di festa.
L’alone di sacralità – pur non essendo il gesto parte di un qualsivoglia canone ecclesiale – che avvince il portatore del cero, accompagnato dal magistrato di contrada, il quale con passo lento si volge verso il Gonfaloniere e il Notaio per l’intercessione e l’assenso all’offerta del cero alla “Pieve di Santa Maria”, è netta e riconoscibile. La porta della Cattedrale di Santa Maria Assunta che si spalanca, dominando il centro del sagrato, riempito dai figuranti, dona alle platee la veduta solenne del trono di Taddeo di Bartolo, meraviglioso altare tripartito posto sull’altare maggiore del duomo, e la lettura da parte del Capitolo Ecclesiastico del Salmo 70, va oltre il credo e la confessione dei singoli, va oltre la percezione del divino, è anzi l’attestazione umana di una spiritualità superiore, una riprova del Bello come fondamento dell’esistenza individuale e collettiva.
La sbandierata non è che una figurazione odierna di qualcosa che è stato, così come i costumi del corteo storico. È un passato che rivive ma che non resta immobile nel ricordo, che non cede all’arrancare della vecchiaia e che si rinnova, attraverso le connotazioni del moderno. Così come il paganesimo astratto dell’uso comunitario che si fa della religione come catalizzazione collettiva. La sicura stretta di mano che il passato dà al futuro, la retroguardia che abbraccia l’avanguardia , la totale agnizione di una comunità nei caratteri dell’umanesimo puro.
E l’allaccio con la modernità è avvenuto nel migliore dei modi con lo spettacolo di danza verticale che ha seguito la sbandierata. La compagnia Il Posto ha portato sulla piazza l’ interpretazione dello spazio scenico che questa offriva.
Il particolare intento di Wanda Moretti, coreografa della compagnia, è proprio quella di adibire gli spettacoli al paesaggio ove questi vengono rappresentati, e non viceversa. Un modo per osannare la forza e la potenza dei luoghi come spazi artistici potenziali e far scaturire da questi tutto l’immaginario e le evocazioni possibili. Per questo – più o meno come avviene ad esempio per la via di Gracciano illuminata soltanto dai cerini sulle padellette ai bordi del vicolo, durante il corteo – nessuno, nemmeno chi ci lavora dentro, ha mai visto la facciata del Palazzo Comunale come l’ha vista durante l’esibizione delle “danzatrici verticali”, che hanno eseguito la loro performance sulla sua facciata.
Tutto è sembrato nuovo e meraviglioso. Un modo anche questo per rendere la “rievocazione storica” un’affermazione radicale del presente.