In questo periodo di pandemia ci si è spesso domandati il rapporto tra ambiente e COVID-19; ospitiamo a questo proposito un’analisi del Prof. Stefano Biagiotti, docente di Economia e Politiche dell’Ambiente all’Università Telematica Pegaso.
È evidente che esista una correlazione tra inquinamento e Covid-19, il blocco delle attività ha consentito una riduzione dell’inquinamento. Ciò è possibile dirlo grazie al sistema di monitoraggio dell’atmosfera, chiamato CAMS, che ha fornito i dati dai rilievi sulle concentrazioni degli inquinanti atmosferici. Anche le osservazioni satellitari, di ESA e NASA, consentono di rilevare bruschi cambiamenti di inquinamento atmosferico, in special modo in Cina e in Italia. In Italia del nord si è avuta una riduzione graduale del 10% del biossido di azoto (NO2), a settimana, dovuto alla diminuzione delle emissioni delle automobili. La chiusura delle attività, il cosiddetto lockdown, ha contribuito ad una riduzione degli inquinanti ma tale processo è stato influenzato anche delle condizioni meteorologiche. Ad oggi è difficile isolare gli effetti delle condizioni meteorologiche con quelli derivanti dai provvedimenti per il Covid-19.
Nel primo trimestre del 2020, a causa delle restrizioni alla mobilità su tutto il territorio nazionale, ci si attende una consistente riduzione delle emissioni di gas serra a livello nazionale; pur in assenza di dati consolidati, la stima è che nel primo trimestre del 2020 le emissioni sul territorio nazionale saranno inferiori del 5-7% rispetto a quelle dello stesso trimestre del 2019. Le riduzioni sono dovute principalmente al settore dei trasporti, a causa della riduzione del traffico privato in ambito urbano, e in misura minore dal settore del riscaldamento, per la chiusura parziale o totale degli edifici pubblici e delle attività commerciali e i minori consumi energetici dovuti al blocco delle attività produttive.
Tale riduzione comunque non contribuisce alla soluzione del problema dei cambiamenti climatici, che ha invece necessità di modifiche strutturali, tecnologiche e comportamentali che riducano al minimo le emissioni di gas serra nel medio e lungo periodo
Altri dati interessanti sono: i consumi di gas (fonte SNAM) del mese di marzo 2020 hanno registrato per il settore industriale e termoelettrico una riduzione pari a circa il 20%; per il domestico si è registrato, invece, un aumento del 7%; la richiesta di energia elettrica (fonte TERNA) a marzo ha registrato una diminuzione del 10% rispetto allo stesso mese dell’anno passato e una riduzione del 5% nel trimestre rispetto allo stesso trimestre dello scorso anno, ed infine la produzione termoelettrica ha subito una riduzione del 16% nel primo trimestre rispetto allo stesso trimestre del 2019.
È pur vero che i grafici nei rapporti dell’ISPRA, pubblicati nel mese di marzo/aprile 2020, indicano un trend nel periodo 1990-2018 di riduzione, dei gas climalteranti, dovuto principalmente al contributo delle fonti energetiche rinnovabili e ad una minor produzione di energia elettrica da centrali termoelettriche.
Quindi dire oggi che il periodo di “tutti a casa”, per il Covid-19, ha fatto bene all’ambiente è un’asserzione non fondata su base scientifica.
Sul fronte rifiuti la società Althesys, che elabora ogni anno il WAS Report, ha analizzato l’impatto del Covid-19 sul sistema dei rifiuti in Italia. Il blocco di larga parte dell’industria italiana, determinato dal lockdown, si traduce, innanzitutto, in una drastica riduzione dei rifiuti speciali da trattare. Althesys ha provato a fare una prima stima, partendo dai settori indicati dal DPCM del 25 marzo 2020 e distinguendo tra quelli soggetti a restrizioni diverse. Ipotizzando che nel complesso si perdano due mesi lavorativi tra fermo e ripartenza, si avrebbero tra i 4,2 e i 4,8 milioni di tonnellate di rifiuti speciali in meno solo nelle tre regioni più colpite: Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna. In una situazione drammaticamente opposta si sta trovando invece il segmento dei rifiuti sanitari che rischia di soffocare, per l’improvvisa e imprevedibile impennata dei volumi da gestire. Neppure il settore dei rifiuti urbani (e assimilati) ne è indenne. La produzione di rifiuti calerà, sia quella delle famiglie, sia (anzi soprattutto) quella del terziario, in primis commercio e ristorazione. La diminuzione dei consumi, con una riduzione del Pil italiano stimata tra il 6% e 8% su base annua, potrebbe tradursi in un calo dei RU fino a 2 milioni e mezzo di tonnellate. Dall’esperienza Covid-19 è emersa la fragilità del sistema italiano per la gestione dei rifiuti, in particolare la mancanza di termovalorizzatori distribuiti in modo omogeneo sul territorio, che consentirebbe di ridurre i rischi ambientali e sanitari.
L’esperienza Covid-19, e il conseguente stato di emergenza, dovrebbe, tra le tante cose, farci fermare a riflettere sulle tante criticità che sono emerse in Italia; politiche sanitarie diverse da Regione a Regione, poca chiarezza nelle informazioni, diversa sensibilità dei cittadini dal nord al sud nell’affrontare il distanziamento sociale, modalità diverse per la scuola a distanza.
Il Covid-19 dovrebbe averci insegnato ad affrontare con determinazione le debolezze del nostro Paese nell’ambiente, nelle carenze di infrastrutture, nell’eccessiva burocrazia, nelle decisioni politiche spesso rinviate e, a livello sociale, poca sensibilità e cultura ambientale.
Quando poi, terminata l’emergenza si cercherà di far ripartire l’economia, il rischio è che le politiche climatiche ed ambientali passino in secondo piano; per questo è necessario, ora più di prima, avere consapevolezza della strategicità di un’economia nuova, che tenga conto del benessere sociale declinato nelle componenti ambientali, sociali ed economiche.