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Cresce la disoccupazione giovanile in Toscana

Cresce la disoccupazione giovanile in Toscana

La crisi ha una evidente connotazione generazionale: questi i dati toscani presentati e analizzati ieri da Nicola Sciclone dell’Irpet nell’ambito del convegno “Come dare un futuro ai giovani” che si è svolto nella sede della presidenza regionale. Fra il 2008 ed il 2012 in Toscana si sono registrati 18 mila lavoratori in meno, che sono però il saldo fra due opposti andamenti: 43 mila occupati in meno fra i 15-29enni e 25 mila occupati in più fra gli over 30. In aumento i tassi di disoccupazione giovanile, che tornano ai livelli del 1992-93, dopo una lunga stagione in cui tali tassi si erano notevolmente ridotti, anche grazie alle riforme che, a cavallo del nuovo millennio, avevano introdotto una maggiore flessibilità del mercato del lavoro. La deregolamentazione del mercato del lavoro aveva quindi sostenuto un modello di crescita estensivo, capace di creare occasioni di lavoro che però conoscono un rapido ridimensionamento appena arriva la recessione.

Noi e gli altri: la crisi ha colpito quasi tutti i paesi. Tuttavia la minore intensità della caduta del Pil, da un lato, e la minore dualità del mercato del lavoro ha fatto sì che altrove i giovani pagassero un prezzo minore. In ogni caso se, ad esempio, guardiamo al rapporto fra il tasso di occupazione giovanile rispetto al tasso di occupazione della popolazione adulta (oggi al 30 per cento), è facile osservare la distanza che l’Italia – e inevitabilmente anche la Toscana- scontano rispetto ai paesi, eccetto quelli dell’area mediterranea, che, più di noi, hanno una tradizione di incisive politiche attive del lavoro e un efficiente ed efficace sistema della formazione.

Ripartire dalla scuola: la qualità dell’istruzione e il modo in cui l’istruzione interagisce con il mondo del lavoro sono parte integrante delle politiche del lavoro. E’ questo un punto spesso sottovalutato, ma invece molto rilevante. Tutte le statistiche sui livelli e la qualità dell’istruzione collocano il nostro paese, e quindi anche la Toscana (ogni 100 giovani in età 18-24 anni poco più di 18 non conseguono il diploma di scuola secondaria), nelle posizioni meno elevate. Abbiamo uno skill gap rispetto ai paesi più evoluti, ma anche rispetto a quelli emergenti che pongono l’istruzione al primo posto nelle loro strategie di crescita economica e sociale.

La gravità della disoccupazione e la sfasatura fra domanda ed offerta richiedono interventi per favorire l’alternanza scuola lavoro: queste esperienze servono all’orientamento e rendono più facile il passaggio ad un lavoro definitivo. Il modello tedesco, a questo proposito, offre alcuni spunti interessanti di riflessione, basandosi su un sistema in cui non esiste la contrapposizione fra saperi accademici e generalisti, da un lato, e tecnici professionali, dall’altro, e in cui l’integrazione fra scuola e lavoro è promossa a tutti i livelli. In Toscana non partiamo da zero: i percorsi di istruzione e formazione IEFP, ITS, IFTS sono tutte esperienze che si richiamano a quel modello, ma vanno messe in filiera, potenziate, valorizzate, orientate alla cultura del risultato, sapendo naturalmente che nessun modello è esportabile tout court, ma al tempo stesso che sul rilancio della formazione tecnico e professionale si gioca una importante partita a favore dei giovani.

Un nuovo patto intergenerazionale. L’investimento sulla scuola è il classico esempio di intervento a resa differita nel tempo. E nel frattempo, come trovare le risorse per i giovani? In un mondo che non cresce, non resta che la redistribuzione. Tuttavia se la torta non aumenta, le fette diventano più piccole. Questa è la trappola che oggi scontiamo nel rapporto fra giovani ed adulti (o anziani). Sia che si prenda come esempio la riforma degli ammortizzatori sociali della Fornero, sia le più recenti proposte di una staffetta intergenerazionale, o molti altri esempi ancora, non esiste una soluzione di “ottimo paretiano”: cioè una soluzione in cui qualcuno (in questo caso i giovani) guadagna, senza che nessun altro perda (gli adulti/anziani).

In ogni caso, anche volendo uscire dallo stereotipo per cui chi difende i giovani è un innovatore, magari attento al merito, e chi difende i meno giovani invece un conservatore, i diritti e le tutele non sono distribuiti in modo equo (dalle pensioni alle condizioni di accesso al mercato del lavoro) da un punto di vista generazionale. Occorre quindi un nuovo patto fra generazioni, tanto più difficile a realizzarsi se non riparte la crescita, tanto meno difficile se riprenderemo a crescere.

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