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Dalla carne di coniglio alla farina di grillo: tabù alimentari e scelte etiche

Dalla carne di coniglio alla farina di grillo: tabù alimentari e scelte etiche

Le sagre sono spesso un luogo perfetto per gustare i prodotti tipici locali, e in Valdichiana non mancano di certo. Prendendo spunto dalla “Sagra del Coniglio Fritto e della Tagliata” ad Alberoro, ne approfitto per una riflessione sui concetti di tabù alimentari e di scelte etiche nella formazione del gusto.

La carne di coniglio è considerata una delle prelibatezze della nostra tradizione: uno dei piatti tipici cucinati dalle “massaie” e consumati nella civiltà contadina della Valdichiana, tuttora presente nei ristoranti del territorio e nei menù domenicali di tante famiglie. Non è l’unica carne tipica che possiamo associare alla Valdichiana: ci sono anche la chianina, l’ocio, la nana, il cinghiale. Tutte carni che fanno parte del “gusto” locale e che possiamo trovare cucinate e consumate in varie forme, non soltanto nelle sagre o nelle case degli abitanti.

Tuttavia, i cibi che fanno parte del gusto locale e tradizionale, non sono uguali per tutti, anche se a noi possono sembrare normali e consueti, perché siamo abituati alla loro presenza sulle nostre tavole. Ad esempio, nei Paesi anglosassoni si è soliti non consumare la carne di coniglio, perché viene considerato come un animale da compagnia e non da tavola. In maniera simile, l’idea di mangiare carne di cane nella nostra cultura provoca un profondo disgusto, pur essendo consumata in molti Paesi asiatici. Entrambe le carni sono commestibili: ma il disgusto nei loro confronti non è innato, bensì dipendente dal fatto di considerare gli animali come membri della nostra “famiglia”, come animali di compagnia.

A seconda dei contesti, gli alimenti considerati “gustosi” da alcune società e culture, possono essere considerati “disgustosi” e viceversa. Sono scelte alimentari che possono cambiare con il tempo all’interno di uno stesso contesto: pensiamo ad esempio al crescente rifiuto di consumare la carne di agnello per Pasqua, modificando una tradizione religiosa presente per molti secoli. Ma anche scelte che possono riguardare alimenti nuovi per quel contesto, a cui non siamo ancora abituati: pensiamo all’attuale dibattito sulla farina di grillo, che sta arrivando nei mercati europei. Molte persone nel nostro territorio sono riluttanti al consumo di alimenti derivati dagli insetti, anche se in altri Paesi viene considerato perfettamente normale: è sempre una questione di gusto e disgusto.

Tabù religiosi e scelte etiche alimentari

Potremmo dire che il rifiuto di mangiare carne di coniglio o di cane, o prodotti derivanti dagli insetti, faccia parte dei tabù alimentari? In realtà è molto più complesso di così. Un tabù riguarda una proibizione relativa a un comportamento che potremmo potenzialmente tenere, e che decidiamo di non fare: anche in campo alimentare. Noi umani siamo onnivori e potremmo mangiare tutto ciò che è commestibile. Ma nessuno lo fa: tutti scartano qualcosa, tutti fanno scelte etiche. I tabù alimentari riguardano soltanto i cibi commestibili.

I tabù alimentari più forti sono quelli derivati dalla tradizione religiosa: appartenere o meno a una confessione religiosa ci preclude una serie di cibi commestibili e indica quali comportamenti utilizzare in cucina. I più famosi riguardano il divieto della religione induista di consumare la carne di mucca, la proibizione per la carne di maiale da parte dell’islam, e così via.

Il cristianesimo ha una storia particolare da questo punto di vista: l’ebraismo e l’islam sono religioni con molti divieti alimentari, e prevedono anche una particolare tipologia rituale di abbattimento degli animali per consumare la carne. Il cristianesimo si è caratterizzata come religione “onnivora”, che permette di mangiare tutto, anche in virtù dell’opposizione con le principali rivali. Tuttavia, propone con forza una prescrizione alimentare basata sulla moderazione (mangia di tutto, ma con moderazione!), che è rimasta fino a epoca recente con la tradizione del mangiare “di magro” in molti periodi dell’anno.

Tabù alimentari, gusto e identità

Perché ci vietiamo dei cibi commestibili attraverso i tabù alimentari? Nella storia delle discipline antropologiche, le spiegazioni sono essenzialmente di tre tipologie, che si possono sovrapporre tra loro. La prima è la spiegazione materialistica: c’è un motivo razionale e pragmatico se alcuni cibi sono vietati oppure no. Ad esempio, laddove un territorio è particolarmente colpito dalla siccità, l’allevamento del maiale diventa insostenibile, perché ha bisogno di molta acqua; questo darebbe una spiegazione al tabù nei confronti del consumo di maiale da parte della tradizione islamica ed ebraica, provenienti da luoghi desertici o comunque con poca disponibilità di risorse idriche. Alla stessa maniera, l’invenzione dell’aratro avrebbe portato alla sacralizzazione dei bovini nella religione induista: grazie ai progressi dell’agricoltura, la mucca era diventata più utile da viva che da morta. Il rifiuto del consumo di insetti da parte di alcune culture sarebbe invece spiegabile con la loro mancanza di economicità: dato il basso valore proteico, sarebbe necessaria una quantità troppo grande per sfamarsi.

La seconda spiegazione è di tipo simbolico e coinvolge il concetto di purezza. Ogni cultura sceglie di quale alimento privarsi sulla base di ciò che viene considerato “impuro” e “anormale”. Ci rifiutiamo di mangiare gli animali che consideriamo più vicini a noi e a cui siamo più abituati, come se fossero parte di una famiglia allargata. Le proibizioni non riguardano soltanto questioni igieniche: servono a escludere dei cibi considerati ambigui, che mettono in dubbio la visione del mondo e le categorie con cui le società interpretano la loro sopravvivenza. Per esempio il maiale, che ha lo zoccolo biforcuto come gli ungulati ma non è un ruminante, esce fuori dalle catalogazioni rigorose del mondo animale e si colloca in una zona marginale, considerata impura e pericolosa. In questo senso, i tabù alimentari possono essere messi in relazione con i cibi considerati pericolosi, perché di difficile categorizzazione.

La terza spiegazione è invece di tipo relazionale: mangiamo ciò che gli altri proibiscono, per differenziarci da loro. La religione cristiana promuove l’assenza di tabù alimentari proprio per opporsi alle altre religioni rilevate e alle loro ferree prescrizioni alimentari. La scelta di determinati cibi da consumare diventa un modo per formare la propria identità, entrando a far parte di “tribù alimentari” che si differenziano dalle altre anche in base alla tipologia di cibi che vengono mangiati (o non mangiati). In questo senso, le differenze alimentari superano i classici tabù religiosi ed entrano a far parte delle più recenti scelte etiche che riguardano il vegetarianismo o il veganismo.

Ed è proprio questo il punto finale della riflessione partita da una semplice sagra del coniglio: attraverso le nostre scelte etiche entriamo a far parte di tribù alimentari, che diventano religiose anche senza religione. Mangiamo la carne di coniglio perché siamo abituati, e le nostre papille del gusto si attivano al solo ricordo di quel cibo; allo stesso modo, disprezziamo gli insetti perché non siamo abituati, e li associamo a società e culture molto diverse dalle nostre. Costruiamo il nostro senso del gusto sul disgusto per i cibi degli altri, e viceversa.

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