Come ogni anno la Fiera dell’Agricoltura delle Tre Berte è stata un’importante occasione per fare il punto sullo stato di salute del comparto primario della Valdichiana e sulle sfide future che lo attendono. Un’interessante novità, presentata in anteprima durante l’apertura della fiera, è la volontà di introdurre, da parte del Comune di Montepulciano, la De.Co., la denominazione d’origine comunale. Il progetto, illustrato dal sindaco della città del Poliziano Andrea Rossi, insieme all’assessore per le attività produttive e agricole Michele Angiolini, e Stefano Biagiotti, presidente di Qualità e Sviluppo Rurale, ha l’obiettivo di offrire una certificazione a quei prodotti che esprimono un profondo legame con il territorio di provenienza. Uno strumento utile per salvaguardare quelle produzioni di nicchia, anche se molto spesso ignorato o poco usato dalle amministrazioni locali.
Il primo a lanciare l’idea di un marchio, che tutelasse le eccellenze di un comune, è stato lo scrittore ed enogastronomo Luigi Veronelli, nel 1959 con il libro “I vini d’Italia”, nel quale proponeva di istituire una denominazione d’origine gestita direttamente dalle amministrazioni locali. Ma bisogna aspettare trent’anni per vedere i primi risultati in campo legislativo. È con la legge n.142 dell’8 giugno 1990 che viene data ai comuni la possibilità di disciplinare la valorizzazione delle attività agroalimentari tradizionali. Un passo ulteriore viene compiuto nel 2000, quando l’Anci, l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani, presenta una proposta di legge di iniziativa popolare sul tema “Istituzione delle denominazioni comunali di origine per la tutela e la valorizzazione delle attività agro-alimentari tradizionali locali”. Nel 2002 la stessa Anci redige un “Regolamento Comunale per la valorizzazione delle attività agro-alimentari tradizionali locali. Istituzione della De.Co. Denominazione Comunale di Origine“. Inizia ufficialmente la storia delle De.Co.
Le De.Co. costituiscono dunque una sorta di disciplinare che inserisce all’interno di un elenco tutti quei prodotti dell’enogastronomia che esprimo un forte valore identitario col territorio di provenienza. Si tratta, da una parte, di uno strumento importante per la promozione e la sponsorizzazione di una specifica regione. Le De.Co. hanno dunque un peso considerevole per quanto riguarda l’indotto agricolo e turistico, e offrono al consumatore un’ulteriore certificazione sul prodotto che vanno ad acquistare. Ma soprattutto possono essere un’arma in più in mano alle piccole aziende agricole. Il comparto primario della Valdichiana è composto, prevalentemente, da realtà che contano pochi addetti, capaci di dar vita a delle vere e proprie rarità enogastronomiche, e depositarie di saperi antichi. Tuttavia, proprio per questa loro tipicità, riscontrano molte più difficoltà ad emergere nel mercato, anche perché molto spesso non sono tutelate dai classici marchi di qualità, come Dop e Igp.
Con l’introduzione della De.Co. si apre un nuovo capitolo per l’agroalimentare della Valdichiana. Attraverso questo sigillo si vuole tradurre, in un linguaggio istituzionale, i valori e i saperi che accompagnano da tempo immemorabile la lavorazione di determinate materie. Dunque non un semplice vessillo vuoto di cui fregiarsi, ne tanto meno la volontà di creare una semplice duplicazione di altri prodotti esistenti, ma la testimonianza che, senza l’unicità di determinate produzioni, la Valdichiana perderebbe un pezzo importante della sua tradizione. La susina di Montepulciano, conosciuta come “mascina” o “scoscia monaca”, l’aglione della Valdichiana o l’olio extravergine d’oliva prodotto sulle colline poliziane, sono dei perfetti esempi di quel legame indissolubile tra la cultura culinaria e territorio.