Bene. Le cose sono andate più o meno così. Durante l’antigenerale il mio piede si è accidentalmente scontrato con uno dei neon della scenografia-istallazione, riportando una frattura metatarsale. “Ce n’est pas grave” mi dicono i registi. D’altronde è così. Ogni attore ha il suo mantra; alcuni si mettono sempre lo stesso paio di mutande, altri fanno volutamente degli errori durante la prova generale per scaramanzia, altri ancora seguono ossessivamente i soliti riti, le stesse frasi ripetute prima dell’ingresso in scena. Io mi faccio male per l’anti generale. Ormai è un’abitudine.
Bene. La giornata di ieri è iniziata quindi con una serie non ben quantificabile di imprecazioni ma che si è risolta con un po’ di riposo.
Questo significa che mi sono presentato in Piazza Grande solo in tardissima serata, alle 23, dopo l’opera “I Falsari” di Pierre Thilloy, su testo di André Gide. Il rimpianto più grosso è il non aver potuto vedere gli altri spettacoli, perché troppo impegnato a preparare il mio. Io adoro Gide e adoro la musica elettronica che si mescola agli archi, quindi mi sono perso uno spettacolo che mi sarebbe sicuramente piaciuto. Peccato.
Comunque; Tutto molto bello. Lo spettacolo ha trovato le sue formule e le sue reazioni, ha scandito i ritmi delle sue particelle, dei suoi elementi e del loro mescolarsi.
Quello che mi preoccupa è il tempo. Questo luglio schifoso è tremendamente umido; e le tavole di legno cerato sulle quali recitiamo, se umide, diventano un pericolo reale.
Ma tutto andrà bene.