Prima tappa della rubrica di itinerari lungo il Sentiero della Bonifica in Valdichiana Toscana
Alla stazione di Chiusi i viaggiatori con bici al seguito non sono una rarità. I primi cartelli per il Sentiero della Bonifica si trovano a pochi metri dai binari. Alle 7:30 una luce morbida inizia a scaldare l’asfalto di piazza Dante.
La strada sterrata lungo il Canale Maestro della Chiana, circa 62 chilometri in totale, unisce Arezzo a Chiusi Scalo. I vari treni che ogni giorno fanno la spola tra le due località danno un paio di grandi vantaggi: partire dall’una o dall’altra estremità non cambierà nulla in fatto di comodità e i meno allenati potranno decidere in corso d’opera se affrontare anche il ritorno sul sellino oppure no. Il trasporto biciclette è possibile a certe condizioni su alcuni treni internazionali e Intercity, oltre che sui regionali (se collegamenti senza cambi ed esclusi quasi tutti i convogli veloci).
Uscendo dalla stazione bisogna dirigersi a destra, su via Buonarroti e via Manzoni, per raggiungere l’imbocco del sentiero, una curva in salita che subito si stira in un rettilineo. Il rombo dei veicoli in transito sul viadotto della provinciale si miscela con un odore chimico e le manovre dei muletti al lavoro nello stabilimento industriale a fianco del percorso. La presenza dell’uomo si ridimensiona drasticamente quando la campagna comincia di netto, dopo un ponticello sul torrente Montelungo. Proprio il suo argine destro fu scelto per fissare lo spartiacque fra la Chiana toscana – che finiva in Arno – e la Chiana romana che scolava verso il Tevere.
Fu deciso in un concordato tra Granducato e Stato Pontificio datato 1780. Pietro Leopoldo e Papa Pio VI risolsero così il problema di dove scaricare parte delle acque della palude: quelle chiare furono fatte defluire verso il fiume della Città Eterna, mentre le acque torbide del Tresa e del Maranzano, entrambi torrenti canalizzati, furono condotte al Lago di Chiusi. Da decenni lo Stato della Chiesa temeva che, con la bonifica nel Granducato già in stadio avanzato, la Chiana romana potesse ingrossarsi troppo, aumentando il rischio di piene nel Tevere. Questa preoccupazione aveva dettato la realizzazione di argini che deviavano fossi e rivi a Sud di Chiusi nella Chiana toscana. I sedimenti trascinati dalle loro acque contribuirono ad innalzare la superficie e completare il risanamento della vallata meridionale.
I soffioni punteggiano l’erba in mezzo e ai bordi del tracciato. Dei grugniti distanti spezzano i cinguettii; subentra una voce maschile che, in filodiffusione da un vivaio, convoca qualcuno in ufficio. L’isolamento per ora è un’illusione. Lo sterrato si interseca con l’asfalto all’altezza delle Torri di Beccati Questo e Beccati Quello o Quest’altro. In comune, oltre ai nomi fiabeschi, hanno una storia secolare. La prima, di origine duecentesca, fu ricostruita dai senesi a inizio Quattrocento. La sua bizzarra collocazione all’interno dell’argine del canale del Tresa è il risultato di una serie di interventi idraulici compiuti nel tempo in questa zona. Ciò che si vede è pressappoco un terzo dell’intera struttura, le cui fondamenta poggiano su un terreno di cui pian piano la palude ha preso possesso. Dei ciuffetti verdi cresciuti negli interstizi fra pietra e pietra formano macchie scure sulle pareti restaurate di recente. Usata come dogana per i trasporti fluviali sulla Chiana, Beccati Questo era anche una sorta di monumento trionfale per celebrare una vittoria guelfa contro la fazione dei Ghibellini. Stessa funzione ebbe la Torre di Beccati Quello, che i perugini edificarono in risposta ai rivali toscani, dirimpetto ma più in alto. Soltanto la sommità fuoriesce dalla cortina di alberi che la circonda.
Il rumore delle gomme sui sassi mette in allarme gli uccelli bianchi appollaiati su Beccati Questo. Lo stormo si sposta in ordine sparso sul campo che divide le due torri. Probabilmente il cornicione che presidiavano sarà riconquistato presto. Sono volatili grandi, eleganti, dai movimenti un po’ sonnolenti; somigliano agli aironi e si allontanano dai ciclisti quando li separa da loro suppergiù una decina di metri. Come se l’uomo fosse una comparsa seccante a cui negli anni hanno fatto l’abitudine, una scocciatura che non sempre vale lo sforzo della fuga. A volte sembra che precedano deliberatamente la bici sul sentiero, che continua in un rettilineo costeggiato da una coppia di canali. Qualcosa si tuffa nell’acqua a sinistra senza tanti schizzi.
Prima di vedere le sponde del Lago di Chiusi ci si imbatte in alcuni tavoli di legno da picnic e in un bar ristorante sulla destra. Le barche tirate in secco paiono piuttosto malconce, con la vernice scrostata e lo scafo sporco di ruggine; si presentano meglio le altre, galleggianti e ormeggiate. Scavalcata con lo sguardo la traiettoria di nuoto di quattro anatre, uno dei due pontili della riva si allunga con una fila di boe verso il centro del lago. Un cartello segnala varie aree dove è autorizzato il carpfishing. È facile immaginarsi questo luogo affollato di turisti e pescatori nella bella stagione. Le imbarcazioni non si contano e un parcheggio molto ampio si apre nei pressi di un secondo locale. Tra i due ristoranti c’è un camping con qualche roulotte. Mai rilassarsi troppo però. La tradizione orale toscana dice il vero sull’indole estremamente territoriale dei cosiddetti oci, le grosse oche dal collo lungo che qui perlustrano il perimetro del lago. Slanciate e velocissime, queste bestiole fanno fatica a tollerare gli intrusi, passando in una manciata di secondi dallo starnazzio dissuasivo di avvertimento a vere e proprie cariche a becco sguainato. La prevenzione è la mossa migliore: stare alla larga dovrebbe bastare a non scatenare l’aggressività dei pennuti.
Lasciando il lago si attraversa un tratto di boschetto di alberi affusolati che fanno ombra. È una frescura fugace. Una muraglia di canne si sostituisce alla vegetazione, l’acqua torna a delimitare il sentiero fino all’incrocio con la Sp di Francavilla e Passo alla Querce. Il confine fra le province di Siena e Perugia sega la strada. Al Lago di Montepulciano mancano sette chilometri e mezzo.
Fotogallery
2 comments