Sarà stato il 2005, 2006 quando ho letto il primo libro di Tiziano Terzani, Un Altro Giro Di Giostra. Ricordo che se n’era andato nel 2004 e che di colpo tutta la stampa italiana si era accorta di lui, parlandone con un certo clamore. Come sempre, in Italia, da vivo non ti calcolano minimamente, da morto tutti ti conoscono, ti adorano e ti compiangono. Però lui in vita, da giornalista, era stato considerato come tale da Der Spiegel, un quotidiano tedesco, che gli aveva dato in mano le chiavi di un sogno, del suo sogno: essere corrispondente in Asia, e più precisamente, il primo contratto che ricevette fu quello di corrispondente nel Sud-Est asiatico.
Il mio percorso nel conoscere i libri di Terzani è andato a ritroso. Sono partita dagli ultimi libri, dedicati tutti alla ricerca del Sé e di una cura, la cura, non tanto la cura del cancro (di cui ha sofferto negli ultimi anni di vita), quanto una cura che esorcizzasse la paura della morte, che estinguesse il terrore di non essere più “sotto i riflettori”, terrore nato dalla mania di protagonismo della vita occidentale. Un Altro Giro di Giostra e La Fine è Il Mio Inizio mi hanno regalato momenti di riflessione, perché in fondo quasi dieci anni fa ero solo una ragazzina che non conosceva così tanto l’universo di pensieri e culture che animavano l’Asia, pensavo che quanto datomi dalla civiltà occidentale fosse sufficiente; quei libri mi hanno regalato lacrime, perché per la prima volta mi avevano fatto pensare alla morte – a quell’avvenimento che aspetta e sorprende, talvolta, ogni essere vivente. Per la prima volta mi hanno fatto pensare: “E quando succederà a me, cosa farò? Cosa dirò? Chi ci sarà con me? Mi spaventerò?”. Poi ho smesso di pensare ossessivamente ed egoisticamente alla mia dipartita, ma ho allargato la prospettiva e ho guardato in maniera più universale al Tutto, al mondo che mi circondava. Guardavo alla natura – e proprio in quegli anni ero andata in Sudafrica, in mezzo alla savana, e lì avevo assistito al grande ciclo della vita e della morte nel regno animale – e vedevo come la natura accettasse quest’alternanza, come l’inizio e la fine continuassero a danzare tra loro, armonicamente e senza grandi traumi. Con naturalezza. Era l’uomo occidentale che aveva fatto della morte uno spauracchio e che aveva spinto i suoi simili a vivere la vita rincorrendo un’illusione di eternità e di perenne protagonismo, che lo ha portato a un rapporto distruttivo in primis con i suoi simili – da allora ritengo che in Occidente si sia sempre più malati, non tanto nel corpo, quanto nella psiche e nell’anima, e che si debba fare qualcosa per guarire – ma soprattutto con la natura stessa, che nel pensiero comune va dominata, in quanto l’uomo è un essere superiore che deve dominare tutto ciò che, in apparenza, non ha un intelletto pari al nostro. È stato proprio da Tiziano Terzani e quei due libri che il mio modo di vedere certi avvenimenti è cambiato completamente. E continua la sua trasformazione e la sua crescita, perché quei libri sono stati in grado di scatenare in me una scintilla meravigliosa, la scintilla che non dovrebbe avere nome, età, limite. E quella scintilla si chiama curiosità.
Ma è stato anche un altro libro di Terzani a scuotere quelle fondamenta del mio bagaglio culturale, o meglio, quelle che pensavo fossero le fondamenta sicure del mio sapere. Ed è stato Un Indovino Mi Disse. L’avevo letto in un momento in cui avevo paura di esternare certi miei limiti alle persone che pensavo comprensive verso i miei confronti, verso di Me. Invece, vedevo come la fragilità e l’umiltà di ammettere un proprio limite venissero rifiutati, per viaggiare sullo stesso binario di convinzioni e di abitudini definite non solo incrollabili, ma anche “giuste”. Giuste rispetto a chi? A che cosa? Perché avere il desiderio di non viaggiare in aereo deve essere stupido e devi essere costretto a metterti sull’aereo per arrivare in Asia? Esistono ancora altri modi di muoversi, altri modi di viaggiare che ti fanno vedere il mondo con altre prospettive e altri occhi. Perché muovendo un passo dopo l’altro, anziché viaggiando a velocità irraggiungibili da noi umani, sopra le nuvole, possiamo goderci ogni centimetro di terra attorno a noi. Possiamo vedere tutto, essere sorpresi e meravigliati dall’imprevedibile.
E perché pensare che quell’area più misteriosa della nostra esistenza, fatta di indovini, maghi (non fattucchieri di quelli che troviamo in televisione) filosofie e religioni diverse sia inutile ai fini della nostra esistenza o superflua, o semplicemente qualcosa di stupido, quando abbiamo la scienza e la tecnologia a darci sicurezza e le risposte che cerchiamo? Ma soprattutto chi mi dice che il modo in cui ho vissuto fino adesso è il modo “migliore” rispetto al resto dei miei simili?
Credo che sia questo l’insegnamento più grande che mi ha dato Tiziano Terzani a livello più personale e intimo, di non dare niente di questo mondo per scontato, di non classificare un pensiero, una cultura come “peggiore o migliore rispetto a…”. Ma soprattutto, mi ha insegnato a guardare dentro di me e a percepirmi come parte di qualcosa di molto più grande, il che ha anche placato certe paranoie che hanno cercato di inculcarmi negli anni. Ho imparato a farmi guidare dalle emozioni, ma anche a mettere certi avvenimenti in “scala”, a non drammatizzarli più del dovuto, rispetto ai problemi veri e realmente drammatici. Ho imparato a limare la violenza dentro di me, a reagire di fronte alle difficoltà con grinta ed entusiasmo. Ora di fronte a molte difficoltà mi sento molto più in pace con me stessa e più sicura nell’affrontarle con la giusta disposizione d’animo. È da qualche anno che ho un rifiuto netto, ho un’irritazione verso i modi violenti di chi si indigna per un nonnulla, nei modi arroganti di chi ti deve far sentire sempre meno importante di lui, di chi si deve far importante ed è nevrotico nella sua mania di controllo di qualsiasi aspetto della sua vita. E non c’è niente di peggio che la calma per farli arrabbiare ancora di più. Ma si arrabbiano loro, mica io.
Come era solito dire, la pace è dentro di noi, se la vogliamo. La nostra ricerca deve partire da dentro di noi. Io ho iniziato questo percorso di ricerca interiore per diventare una persona e una giornalista migliore. Perché se riesco a mettere delle fondamenta buone dentro di me, anche verso gli altri, verso il mio lavoro e le mie passioni potrò essere una persona migliore.
Come giornalista, l’ho sempre reputato uno dei miei modelli e non l’ho mai negato. A volte mi guardo attorno – c’è chi pensa che diventerò una grande giornalista professionista come Quello e Quell’Altro giornalista in televisione. E magari Quello e Quell’Altro mi è capitato di incontrarli e vederli all’opera. E li ho visti anche scendere a compromessi, li ho visti ossequiosi verso individui non di mio gradimento, o mettere in pratica prassi da cui mi ero sempre difesa. E questo mi ha sempre reso piuttosto disillusa, oltre che indignata. Per questo, credo che questa frase di Terzani sia la mia guida e penso che lo sarà sempre in questo percorso:
Ho fatto questo mio mestiere proprio come una missione religiosa, se vuoi, non cedendo a trappole facili. La più facile, te ne volevo parlare da tempo, è il Potere. Perché il potere corrompe, il potere ti fagocita, il potere ti tira dentro di sé! Capisci? Se ti metti accanto a un candidato alla presidenza in una campagna elettorale, se vai a cena con lui e parli con lui diventi un suo scagnozzo, no? Un suo operatore. Non mi è mai piaciuto. Il mio istinto è sempre stato di starne lontano. Proprio starne lontano, mentre oggi vedo tanti giovani che godono, che fioriscono all’idea di essere vicini al Potere, di dare del “tu” al Potere, di andarci a letto col Potere, di andarci a cena col Potere, per trarne lustro, gloria, informazioni magari. Io questo non lo ho mai fatto. Lo puoi chiamare anche una forma di moralità. Ho sempre avuto questo senso di orgoglio che io al potere gli stavo di faccia, lo guardavo, e lo mandavo a fanculo. Aprivo la porta, ci mettevo il piede, entravo dentro, ma quando ero nella sua stanza, invece di compiacerlo controllavo che cosa non andava, facevo le domande. Questo è il giornalismo.