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“Inequivocabilmente nuovi”: un’intervista ai Bangcock

“Inequivocabilmente nuovi”: un’intervista ai Bangcock

Se si considera che in Italia ancora sia le dinamiche di mercato, sia il pubblico, sia la critica del web – che pare aver sostituito in autorevolezza quella degli addetti ai lavori – ragionano in termini di “genere”, secondo canoni fissi di categorie estetiche inamovibili, manco fossimo ai tempi di Quintiliano, l’avvento di una band come i Bangcock non può che essere salutato con piacere.

È un progetto musicale che emerge da un sottobosco locale in fermento: eccellono ognuno nel suo comparto strumentale. Simone Falluomini a.k.a. Fake, già membro della family Toscana Sud, rapper iperdinamico, incrocia la sua esperienza di metrica e flow con una compagine strumentale di tutto rispetto: Paolo Acquaviva, trombonista ‘laureato’, già capace di ottimizzare le molteplici potenzialità del suo strumento, con le ottime partecipazioni ai progetti FAD3D e P-Funking Band, Francesco Nedo Rossi, finissimo chitarrista militante negli Hammock e in altre compagini della scena locale, e poi Christian Luconi al basso virtuosistico, a tenere alto il registro ritmico insieme a Daniele de Bellis alla batteria. Un supergruppo degno dei migliori auspici, viste le ottime performance di “anteprima” in due dei più importanti festival del territorio (Rock For Life di Ponticelli e Festa della Musica di Chianciano Terme).

Aver avuto nelle orecchie per inenumerabili minuti Phrenology dei Roots, la compilation Jazzmatazz di GURU e il lato Bones dei Cypress Hill rende tutto più poetico, considerando che per il pubblico medio italiano la cosa più vicina al crossover sia stata il featuring tra Mondomarcio e i Finley. Molti dei principali rapper italiani propongono oggi nei loro live degli arrangiamenti dei loro beat (lo fanno, in modi diversi Ghemon, Dargen d’Amico, Salmo, Emis Killa), la proposta dei Bangcock esula da tutto questo filone. Si tratta di una cosa inequivocabilmente nuova, frutto di una ricercatezza sopraffina. Per capire meglio come sia stato possibile far nascere un fenomeno di questo tasso di qualità, l’ho chiesto direttamente a loro.

Ragazzi, Siete un supergruppo: protagonisti in altre formazioni. Il pubblico locale ha imparato a conoscervi come eccellenze nelle vostre rispettive funzioni strumentali. Come vi siete incontrati e cosa avete trovato come dato comune?

Una notte della scorsa Primavera, in uno dei peggiori bar della Toscana, un rapper, un rocker, un jazzista, un metallaro e un blues man si sono seduti allo stesso tavolo, il tavolo sbagliato al momento giusto. Sembra una barzelletta ma è molto di più, è la nascita dei Bangcock.

Ognuno di noi proviene da ambienti diversi e appartiene a generi musicali a prima vista lontani, credo che sia proprio la volontà di intraprendere un’esperienza musicale nuova e inesplorata a trascinare i nostri culi bianchi in sala prove. Data la varietà di generi che ognuno dei componenti predilige siamo consapevoli di poter sperimentare e osare, in un genere – il rap – abbastanza standardizzato, provando a creare qualcosa di mai sentito prima d’ora nel panorama musicale italiano.

Cosa cambia per te, Fake, rappare su una base rispetto a quando lo fai su una strumentale?

Fake: Prima della nascita dei Bangcock ho suonato quasi esclusivamente con i Dj alle mie spalle ma da sempre sognavo di poter condividere il palco con dei veri musicisti. La differenza sostanziale è che su un beat lo show è focalizzato sulla performance del singolo rapper che scorre sulla base: questa, essendo registrata, limita sensibilmente la variabilità e l’esplosività dell’esibizione suonata dal vivo.

Suonare e confrontarmi con degli artisti di questo livello è decisamente stimolante e mi permette di imparare e migliorare a mia volta. Diciamo che suonando con la base il flow è unicamente basato su di me, mentre un’esibizione con la band è un flusso musicale comune, elevato all’ennesima potenza.

Al giorno d’oggi molti rapper di alto livello registrano su basi strumentali e durante i tour si esibiscono con una band che ri-arrangia i pezzi originali, a mio avviso registrare un suono unico, interamente suonato, sia per le registrazioni che per i live può essere il nostro punto di forza.

Cosa succede in sala prove? Chi porta le idee e come vengono elaborate? Da cosa partite per scrivere un pezzo e come si inserisce ognuno lungo lo sviluppo di una composizione?

Nedo: il clima in sala prove è completamente differente rispetto alle mie passate esperienze, non c’è caos, riusciamo ad essere produttivi al massimo (o quasi) infatti siamo riusciti a tirar fuori 2 pezzi la prima volta che ci siamo trovati tutti insieme, tutto questo finché c’è Paolo! È il nostro maestro e coordinatore, credo che senza lui saremmo ancora a lavorare sul secondo pezzo e non avreste mai sentito parlare dei Bangcock… Per quanto riguarda la composizione il nostro punto forte è senz’altro Fake, arriva con un bel testo e con un’idea di base del pezzo e si comincia a tentare ognuno con il proprio stile, certo, non è un minestrone, proviamo stacchi, riff, groove e fraseggi e se il pezzo gira è fatto! Poi ovviamente i migliori stacchi, quelli che ti fanno pensare “ma questi sono bravi!“, sono in realtà grosse padelle che abbiamo poi fatto diventare parte del brano, si sa, sbagliare è creativo!

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Hardgroove degli rh factor, Damn di Kendrick Lamar, Coffee Shop Selection di Grammatik e Tourist di St. Germain.

Foto di Benedetta Balloni (Rock for Life) e PhotoSintesi Lab Project (Festa della Musica e Selvaggina in Tavola)

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