È vero che i bambini non mentono mai? Che non sono in grado di provare sentimenti forti come il risentimento verso qualcuno? Che non provano desideri così forti da non volersi vendicare verso qualcuno o qualcosa che li ha fatti soffrire? Ma è altrettanto autentica la convinzione che i bambini siano sempre innocenti, che non vadano puniti mai in caso di un comportamento poco onesto? O forse “anche il bambino vuole essere punito per poter dar libero sfogo alla sua rabbia senza confessarne, neppure a se stesso, il motivo autentico”? E allora perché in Jagten (in italiano malamente tradotto con Il Sospetto, infatti non lo userò nel resto dell’articolo) vediamo una bambina risentita distruggere l’esistenza di un uomo?
Per chiarezza, è meglio far capire di che cosa tratta Jagten a livello di trama e di eventi chiave. Prima però, qualche piccolo dato sul film danese: diretto da Thomas Vinterberg, il protagonista è lo stratosferico Mads Mikkelsen (LeChiffre in 007 Casino Royale, Hannibal Lecter nella serie TV Hannibal) e ha partecipato al Festival di Cannes nel 2012, dove Mikkelsen ha vinto il premio come miglior interprete maschile.
Il film parla di una picco la comunità danese, dove Lukas (Mads Mikkelsen), un quarantenne separatosi dalla moglie in maniera turbolenta, con un figlio adolescente, perde il lavoro da insegnante e si ritrova a lavorare in un asilo, dov’è molto amato dai bambini e viene controllato con severità dalla direttrice, Grethe, una persona molto fredda e ligia al dovere. Lukas ha un buon rapporto con Klara, la figlia del suo migliore amico Theo e la vede spesso anche in orario extra-scolastico. La bambina si infatua di Lukas e fa di tutto per dimostrare il suo amore come se fosse una donna. L’uomo le spiega con fermezza ed educazione che la bambina sta facendo e dicendo cose da adulti e non da bambina e che non conosce il significato di quei gesti e quei sentimenti, perché è ancora troppo piccola. Sentendosi rifiutata e ferita, un pomeriggio la bambina dice a Grethe che Lukas le ha mostrato i genitali e sembra aver fatto di peggio, anche ad altri bambini. La direttrice della scuola materna scatena l’isteria generale, procedendo in maniera troppo impulsiva, allontanando subito Lukas, che non ha praticamente diritto di replica, scatenando così il panico e la frenesia mimetica tra i genitori dei bambini, fomentando dubbi e sospetti, appoggiandosi unicamente a quanto detto dalla bambina, rifiutando qualsiasi altra verità. La comunità si stringe attorno a Klara e alla sua famiglia, cercando di rovinare in tutti i modi la vita di Lukas, isolandolo e compiendo gesti violenti al punto tale da essere grotteschi e completamente gratuiti.
Le molteplici riflessioni scaturite a seguito della visione di Jagten hanno portato a pensare come la piccola comunità danese cerchi il suo capro espiatorio, per difendere l’immagine di sacra innocenza dei bambini e in particolare di Klara, veicolando tutto il proprio risentimento verso Lukas. È una piccola comunità che vuole difendere i suoi riti, come quello della caccia (in danese si dice proprio”jagten”), fondamentale per ciascun individuo di sesso maschile, che non può essere considerato accettato dagli altri, se non è degno di entrare nel circolo di caccia del paese. Ciò avviene attorno all’età di sedici anni, quando al neofita viene regalato, solitamente dal padre, un fucile da caccia. Il giovane può così unirsi agli altri piccoli gruppi di cacciatori e imparare a cacciare.
Perché è importante sottolineare il valore della caccia in questo film? Perché viene messa in evidenza più di una volta, durante la narrazione, almeno in due momenti chiave. La prima volta in cui viene introdotta, la caccia viene mostrata come un rito che consolida le amicizie maschili – così come sono un rito le serate solo per uomini, all’insegna dell’alcol e delle canzonette da osteria, come si vede all’inizio del film, come modo tipico dei paesi del Nord Europa per socializzare e abbattere la timidezza – e nel momento in cui scoppia lo scandalo all’asilo, Lukas si ritrova a cacciare in solitudine, rifiutato da tutti gli amici e soprattutto da Theo. Ed è sempre la caccia ad essere riportata alla luce verso la fine del film, dove il figlio di Lukas, Marcus, viene accettato nel circolo di caccia della comunità, a simboleggiare la fine di tutti i risentimenti verso Lukas. Anche se poi, gli ultimi istanti del film tradiranno quella pace ritrovata, perché al risentimento non c’è mai fine. Ed è una continua caccia alla nuova vittima sacrificale. Il circolo di caccia è tutt’altro che composto da uomini solidali, anzi, sono estremamente selettivi, com’è tipico della società moderna, che sembra voler fare dell’egualitarismo la sua caratteristica principale, mentre invece si rivela essere estremamente selettiva e competitiva.
Questa competitività distruttiva è anche riscontrabile tra Lukas e Grethe, nello sguardo severo della direttrice dell’asilo. La sua freddezza passa dagli occhi, dal suo eccesso di rigore nello scandire la giornata dei bambini, talmente importanti che una discussione di un certo rilievo come quella tra Lukas e Grethe viene interrotta da un secco “È ora della frutta” della donna. Ma lei sente anche la competizione tra lei e l’uomo, in quanto lui molto amato dai bambini, ci gioca, ha un contatto sincero e naturale, si rotola a terra con loro. Grethe non ha alcun contatto affettuoso, non gioca, sta nel suo ufficio e guarda i bambini alle prese con le loro attività. Anche con il personale della struttura scolastica è molto fredda e distaccata e non apprezza il fatto che Lukas e Nadja, la cuoca dell’asilo, stringano amicizia, figurarsi avere una relazione – cosa che poi effettivamente accadrà più avanti nel film. La direttrice dell’asilo, smentendo quello che può essere il cliché della tolleranza verso gli stranieri e la ricerca dell’integrazione degli stranieri nei paesi nordici, tratta con ostilità la dipendente: una delle scene chiave in questo senso è quando Grethe avvisa Nadja degli atti di pedofilia compiuti da Lukas. Lei parla volutamente solo in danese, spiegandole così i presunti orrori compiuti e quando finisce il discorso, le chiede beffarda: “te lo devo dire in inglese?”. Una sorta di umiliazione davanti a tutti, per Nadja, che parla la lingua in maniera stentata. Grethe si rifiuta di parlare in inglese, usa una maestra come interprete, per di più, dimostrando una sorta di risentimento verso chi non è danese. La direttrice dell’asilo è ostinata e orgogliosa nell’affermare e ribadire la sua identità, ma sottintende anche un’affermazione della sua verità, ovvero che Lukas è un pedofilo e che ha molestato bambini e che non c’è spazio per alcuna discussione o negoziazione.
Durante la visione del film, l’idea del processo mi ha fatto pensare immediatamente a “Lo Straniero”, il meraviglioso romanzo di Albert Camus, che presenta alcune analogie e differenze con “Jagten”. Nel film, non si vede un processo vero e proprio, viene inquadrata solo una volta la polizia, peraltro in borghese, che viene a prendere Lukas per interrogarlo e per fare chiarezza sull’accaduto. Gli viene chiesto di trovarsi un avvocato, di difendersi tramite le istituzioni, ma Lukas rimane fedele all’idea che un innocente non abbia bisogno di un avvocato, perché tale gesto comporterebbe un’ammissione di colpevolezza. Non ha bisogno di un “generoso avvocato”, come Clamence ne “La Caduta”, che lo difenda, perché forse reputa che la sua presenza nuda e cruda ai riti della comunità, nonostante sia apertamente osteggiato da tutti, sia rivelazione della verità dei fatti. Un esempio lampante è verso la fine del film, quando Lukas partecipa alla messa dello Juleaften, la vigilia di Natale. Si siede su una panca, visibilmente ubriaco e distrutto, e nessuno si siede accanto a lui, mentre i bambini del coro cantano. La vita della comunità va avanti, tra un rito e l’altro, tra la caccia nei boschi e i canti di Natale in chiesa, ma la presenza di Lukas interrompe questi riti arbitrari, secondo gli altri necessari a far andare avanti la vita serena e pacifica di tutti, mentre l’uomo è stato lasciato solo ed è “straniero” in mezzo agli altri. E una delle frasi chiave che Lukas urla, dirigendosi verso Agnes e Theo, interrompendo la cerimonia, è simile al “Io sono solo e gli altri sono tutti insieme” di Merusault (in Camus, Lo Straniero). “Lo vedi che sono solo? E vuoto? Guarda nei miei occhi… Cosa c’è? Niente. Bello il vostro coro e la vostra Vigilia!”. Un’esplosione di risentimento appassionato che mi ha molto ricordato la fine de “Lo Straniero”.
I giudici, in “Jagten”, sono gli stessi membri della comunità, a partire da Grethe e Agnes, e la sentenza di colpevolezza verso Lukas si ritorce presto contro queste persone, nonostante la ritrovata tranquillità iniziale. “La sentenza con cui colpite i vostri simili, vi viene sempre rilanciata in faccia e vi provoca seri danni” (Camus, La Caduta) e questa sentenza, alla fine, inizia a stare stretta a parecchie persone attorno a Lukas, a partire da suo figlio, a Nadja, che per qualche tempo aveva dubitato dell’uomo, e poi a Theo, soprattutto a lui, che è il primo a correre da Lukas, dopo la discussione in chiesa, e a chiedergli scusa per quello che gli avevano fatto.
Io vi consiglio caldamente di vedere questo film, se non lo avete già fatto, perché lo trovo splendidamente disturbante – vi lascerà turbati, soprattutto perché, in certi casi e in misura minore (si spera) siamo tutti un po’ vittime di queste isterie verso una singola persona, giudicata solamente in base a un sospetto e non in base a un fatto realmente accaduto.