È notorio come la variante linguistica diatopica toscana sia troppo prossima all’italiano standard, a differenza di molti altri dialetti italiani che vantano una tradizione teatrale. È altresì risaputo come questo abbia influito sulla determinazione di un uso espressivo a fini mimetici – nella maggior parte dei casi per una caratterizzazione esclusivamente comica – negli ambiti del teatro e del cinema nazionali. Il toscano è comunque un dialetto attivo, parlato, che nella sua forte carica idiomatica contiene un potenziale ritmico smisurato: il suo uso teatrale consapevole, quando non è esasperato dalla becera stigmatizzazione che la tradizione gli ha inflitto, si apre verso vette di poeticità fonetica uniche nel loro genere. La compagnia Gli Omini, su questo cardine concettuale, ha costruito un intero repertorio, radicandosi dapprima nel territorio pistoiese-fiorentino, per poi espandersi, ammorbando piacevolmente i piccoli centri di mezza italia con la sua particolare e caustica metodologia narrativa.
L’undici dicembre 2016 è andato in scena al Teatro degli Arrischianti di Sarteano, “La Famiglia Campione” di e con Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi, Luca Zacchini e Giulia Zacchini, una produzione de “Gli Omini residenza artistica Associazione Teatrale Pistoiese”, con il sostegno della Regione Toscana. Una deliziosa testimonianza di dati umani, debordante pregi, che incorpora una formula di resa drammaturgica decisamente riconoscibile come “alta”, dalle lodevoli vocazioni antropologiche, ma che attinge felicemente dal grande serbatoio del “popolare”, irriducibile, sempreverde, puro e genuino come le massime dei nonni, e che del dialetto fa un uso analitico, costruttivo, edificante. È la storia quanto mai assurda e basilarmente stravagante di una famiglia ampia, composta da dieci personaggi (tre nonni, tre genitori e quattro figli) che si ritrovano a vagare in un corridoio domestico, di fianco alla parete del bagno, nel quale una figlia, Bianca, è chiusa da una settimana.
«La Famiglia Campione» mi dice Francesco Rotelli poco prima di entrare in scena «rientra idealmente in un progetto più ampio che portiamo avanti da dieci anni a questa parte, e che si chiama Memoria del Tempo Presente, composto da quelle che chiamiamo indagini, ovvero periodi di permanenza in piccole città, piccoli paesi o quartieri, nei quali incontriamo persone, parliamo con loro, osserviamo la gente del posto; dall’osservazione estrapoliamo poi i contenuti teatrali» un vero e proprio “servizio” sociale, quindi, che dall’analisi etnografica, antropologica, dei territori assurge ad uno dei precipui obiettivi umanistici del teatro, e cioè la rappresentazione delle coscienze locali territoriali. «Abbiamo prodotto vari spettacoli, derivanti dal metodo dell’indagine. Spettacoli che si diversificavano a seconda del luogo nel quale venivano rappresentati». Una ricerca socio-umanistica che si concretizza in uno spettacolo di instant-theatre, messo in piedi in pochi giorni sulla base dei dati recepiti dai luoghi.
«Nel 2012 nasce “capolino” con il quale abbiamo approfondito drammaturgicamente, sempre attraverso il metodo dell’indagine, i comportamenti interni alle famiglie allargate in giro per la Toscana» Continua Francesco Rotelli «Collaborando con gruppi di giovani in 5 comuni della provincia di Firenze. In ognuno di questi abbiamo portato avanti laboratori e indagini. Ad un certo punto è emerso un canovaccio che poi è divenuto “La Famiglia Campione”». Un teatro pervasivo, quindi, che mette le comunità al centro della narrazione. «Le persone si sentono coinvolte, partecipi dell’opera anche da spettatori; noi cerchiamo sempre con loro una dimensione confidenziale, e quando si trovano in teatro a vedere loro stessi, i loro vicini di casa, la gente riconoscibile del paese» un metodo che non rischia né manierismi, né eccesso di particolarismi nella formazione dei tipi umani «Quando lo spettacolo trova una sua forma definitiva i personaggi sono specchi deformati che alla fine sono sintesi di più caratteri».
Gli Omini fanno ridere senza essere mai banali, lasciando decantare il riso del pubblico, patinando con un velatino d’amarezza gli squisiti quadri scenici proposti. Tra le tematiche spiccano le incomunicabilità generazionali, il confronto tra “vinti”, la solitudine; nuclei seri, affrontati in maniera decisamente originale, tra echi malapartiani e spunti comici, tra illogicità drammatica e teatro-verità. Una prova degli attori sopraffina: ognuno degli interpreti copre i ruoli di ben tre personaggi diversi, favorendo gli switch tra i caratteri attraverso cambi inequivocabili di posture, toni vocali e capacità emotive, in una moltiplicazione interpretativa lodevole che si configura in esilaranti vezzi, profili riconoscibili. La bravura dei tre protagonisti è esposta anche attraverso i perfetti e divertentissimi loop che invece di rallentare il racconto, forniscono respiro alla scena, tramenano la linearità dello svolgimento dello spettacolo, equilibrando il raziocinio con l’assurdo. I bravissimi Francesco Rotelli, Francesca Sarteanesi e Luca Zacchini, proliferano capacità espressive, dimostrano una perfetta coscienza di palco, un flusso univoco di battute, un ritmo perseverante e mordace nella sua risibilità. Il teatro degli Arrischianti non ha potuto che ridere continuativamente, e accompagnare la chiusura del sipario con un lungo e appagato applauso.
La compagnia Gli Omini è un altro dei tanti poli creativi toscani che meritano attenzione e sostegno. Il teatro degli Arrischianti, altro importante centro nevralgico del nostro territorio, ha dato loro spazio, confermando la sua vocazione reticolare nella selezione dell’offerta in cartellone, il suo interesse per le realtà affini. Un reticolo, quello delle piccole residenze teatrali, che se sostenuto da un pubblico consapevole e da istituzioni intelligenti, può di certo arrivare a competere con le grandi produzioni nazionali, spesso dimentiche della passione, del sudore e dell’urgenza creativa che muovono le piccole realtà radicate nei rispettivi territori.