Much Ado About Nothing, Molto rumore per Nulla, è una delle opere – non si dica né commedia, né tragedia, usate quanto mai impropriamente, in questo caso – più complesse di William Shakespeare. Un testo che dispone un impianto commediografico (topoi dello scambio di persona, dell’intrigo farsesco, del fraintendimento) il quale è tradìto, durante lo svolgimento della trama, da accenni appartenenti invece al tono tragico, in cui l’aspetto drammatico copre la risibilità delle gags. Nonostante questa complessità, è una delle opere più riprodotte in teatro, che gode anche di un alto numero di rifacimenti cinematografici e di molteplici adattamenti operistici.
Laura Fatini ha scelto questo testo, per il tradizionale evento estivo cantieristico sarteanese, prodotto dalla Nuova Accademia degli Arrischianti, che dal 13 luglio, fino a domenica 23, verrà rappresentato nel suggestivo spazio di Villa Fanelli. Laura Fatini copre le funzioni di regia, accompagnata da Angela Dispenza, mentre Gabriele Valentini ha operato negli ambiti scenografici e dei costumi.
Nonostante le vecchie traduzioni di Shakespeare rappresentino uno sforzo di comprensibilità per il pubblico contemporaneo – specie per quello dei giovanissimi – Laura Fatini sceglie di non adottare le rinnovate rese italiane di Nadia Fusini, ma di restare fedele alla versione italiana di Molto Rumore per Nulla tradizionale, forse per mantenere alto il tono tragicomico dell’opera shakespeariana. Il risultato è una grande resa drammaturgica di un classico del teatro vittoriano.
Le adiacenze della Villa sono utilizzate come piano scenico: di conseguenza abbiamo dei quadri che si dilatano orizzontalmente su un palco grandangolare. I movimenti e gli sviluppi figurativi dei corpi attoriali, intervengono dalle estremità laterali e dal giardino retrostante la platea, rendendo il pubblico letteralmente circondato dalla finzione scenica. Tutto lo spazio possibile è utilizzato: dal balcone della villa, agli interni, fino al balcone leopoldino, che torreggia al centro della facciata eletta a scenografia.
Flavia Del Buono interpreta magistralmente – con uno switch di genere rilevantissimo dal punto di vista attoriale – il Don Pedro principe di Aragona, che giunge a Messina in un non ben specificato contesto storico, in visita del governatore Leonato, interpretato con perizia veterana da Francesco Storelli. I costumi, spumeggianti, collazionati dal lavorìo di sartoria di Roberta Rapetti, mettono infatti insieme più epoche storiche – dagli anni venti ai sessanta del Novecento – e oscillano dai toni più compostamente desaturati della coorte spagnola, a quelli più colorati dei messinesi: servono forse a sottolineare i rapporti in chiasmo – marca inequivocabile di matrice shakespeariana – tra Claudio ed Ero (interpretati dai bravi Enrico Sorbera e Silvia de Bellis) e Benedetto con Beatrice (configurati dai fedelissimi Arrischianti Pierangelo Margheriti e Giulia Rossi). Vanno a comporre poi la compagine degli attori “parlanti”, Andrea Storelli, Giordano Tiberi, Calogero Dimino, Giacomo Testa, Francesco Pipparelli, Maria Paola Bernardini, Brunella Mosci, Daniele Cesaretti, Giulia Roghi e Laura Scovacricchi.
Apporto fondamentale quello del gruppo Musikteatrengruppen Ragnarock diretto da Francis Pardeilhan: venticinque giovani attori danesi che hanno funto da rinforzo per le scene corali: trampoli, costumi effervescenti, palloncini, stelle filanti, in un trionfo di espressione fisica dei ragazzi danesi in summer camp a Sarteano.
In molto rumore per nulla si fornisce un’interpretazione del teatro, e in generale dell’arte della finzione, secondo la quale gli sviluppi dati dall’ordine drammaturgico non si definiscono secondo verità, ma secondo menzogne continue. La verità viene celata, le cose di cui si vaneggia non accadono, ma vengono semplicemente rappresentate. La menzogna è il fondamento di ogni rappresentazione, usava dire Enrico Crispolti: nelle commedie di Shakespeare, e in particolare in Much Ado Abouth Nothing, è la falsità che fornisce spunti narrativi. Un dato forse poco educativo ma che delega al magistero della fictio, al dispositivo delle velature, la funzione ricreativa delle nostre vite. Dalla falsità conseguono sì tragedie, drammi, problematiche, ma attraversati e sciolti questi nodi, ognuno di noi è più consapevole di sé stesso e del circostante. È dall’ingorgo tragico che scaturisce infatti la storia d’amore tra Benedetto e Beatrice, più restii dall’amarsi durante la sezione comica dell’opera. Un motivo in più per non sottovalutare mai le falsità, le menzogne e gli svelamenti del celato.