Nei primi decenni del XVII secolo a Monte San Savino si insediò una piccola ma fiorente comunità ebraica. I primi documenti che ne attestano la presenza risalgono al 1626 e riguardano una concessione da parte del marchese del borgo chianino, Bertoldo Orsini, agli ebrei Elia Passigli e Angelo Pesaro. Nello specifico veniva accordata la licenza per l’apertura di un banco di prestito e di altre attività mercantili.
La presenza del nucleo ebraico in questo paese della Valdichiana, tuttavia, si interruppe bruscamente nel maggio 1799, quando le famiglie ebraiche furono travolte dai moti antifrancesi e antigiacobini del “Viva Maria” e costrette ad abbandonare la città. L’antico cimitero (in località Campaccio), il piccolo quartiere ebraico con la casa del rabbino e la sinagoga, sono tra le ultime testimonianze giunte fino a noi di quella comunità.
Oggi in via Salomon Fiorentino si trova l’edificio dell’antica sinagoga, le cui parti più antiche rimandano a un restauro che ne fu fatto intorno agli anni ’30 del Settecento, cui ne seguirono altri in tempi più recenti, soprattutto nell’800. Dopo l’allontanamento del 1799 l’edificio della sinagoga passò alla comunità israelitica di Siena, divenendo quindi proprietà demaniale, per poi passare in mano a privati e infine fu acquisita nel 1924 dal Comune di Monte San Savino. Nell’edificio, composto da due corpi, avevano sede la sinagoga, la scuola e, probabilmente, l’abitazione del rabbino o dei massari della comunità ebraica.
Il primo corpo al numero civico 13 è più basso dell’altro. Alcuni pensano che questa ambigua differenza di altezza sia dovuta al crollo subito a causa del tremendo uragano che si abbatté sulla Valdichiana in un agosto di fine Ottocento. Il secondo corpo al civico 14 ha un portale ad arco ribassato e finestre incorniciate, Al suo interno si notano, in alto, una finestra dipinta ben conservata e la nicchia con cornice già destinata a contenere l’aron ha-kodesh (l’armadio per la custodia delle leggi) e, in basso, i resti di tubature di coccio forse utilizzate per la miqvé (bagno rituale). Nell’adiacente casa privata c’è un sedile in pietra, che la tradizione popolare del Monte identifica come “il trono del rabbino”.
Oggi l’edificio viene utilizzato per ospitare eventi culturali, come il Giorno della Memoria o la Giornata Europea della Cultura Ebraica, ma insieme all’antico cimitero, ha rischiato di scomparire per l’incuria e le intemperie. È merito soprattutto di Jack Arbib, ingegnere aeronautico con la passione della poesia residente a Tel Aviv in Israele, se questi simboli spirituali e culturali sono stati rimessi a nuovo.
Arbib, come ha già spiegato su Moked il portale dell’ebraismo italiano, nel 2001 fu invitato per una vacanza a Monte San Savino da un vecchio compagno di Università che lo portò a vedere il cimitero, allora quasi impraticabile, “dove quasi nulla si vedeva delle antiche lapidi”. Fu lì che un pensiero gli attraversò la mente. In Libia, dove era nato e cresciuto, il cimitero abarico era stato completamente distrutto nel 1969. «Non avevamo tombe di famiglia a cui riferirci, mentre queste tombe non hanno nessuno che se ne prenda cura. ‘Figli senza padri e padri senza figli’ mi son detto quasi sopraffatto dalla commozione». Quando Jack visitò la cittadina in provincia di Arezzo l’edificio che in passato era stato una sinagoga veniva usato dal Comune come deposito di rifiuti e si trovava in avanzato stato di degrado. Collaborando con un architetto e con il Comune, Arbib riuscì ad avviare un progetto di restauro conservativo della sinagoga. Anche il cimitero fu recuperato e attualmente sono visibili 20 delle 120 lapidi originarie. Entrambi sono stati aperti al pubblico nel 2006 in occasione della Giornata del Fondo per l’ambiente italiano (Fai).
Si aggiunga che la Biblioteca comunale di Monte San Savino è l’unica struttura comunale in Italia ad avere una fornita sezione dedicata alla letteratura ebraica.
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