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L’amore in tempo di guerra: “Insabbiati”

L’amore in tempo di guerra: “Insabbiati”

Una recensione allo spettacolo “Insabbiati” al Teatro degli Arrischianti

Valentina Bischi ci racconta una storia che sulle prime può essere scambiata per privata; in realtà è pubblica, totalizzante, astorica. È una vicenda che lascia assurgere i suoi protagonisti ad assoluti narrativi: dati empirici che diventano trascendentali, vertici umani che diventano orizzontali, caratteri localizzati, sincretici, che allargano il loro campo di coinvolgimento e corroborano la coscienza degli individui di oggi e ovunque nel mondo. Lo spettacolo arriva a Sarteano dopo essere passato per palchi di tutta Italia ed Europa.

La vicenda racconta dei principali avvenimenti dei nonni di Valentina Bischi, Ricciotti Menotti Garibaldi e Augusta Scarapazzi. Siamo nel 1940, il corno d’Africa è coperto dal possedimento dell’Africa orientale italiana, provincia dell’impero coloniale fascista, la quale ostacola gli accessi al mare delle colonie britanniche.  Ricciotti è un cineoperatore assunto all’istituto nazionale Luce, che viene inviato a documentare la provincia dell’impero italico fascista in Etiopia. Da Mogadiscio e da Addis Abeba invia lettere alla moglie e ai tre figli; queste divengono il perno narrativo su cui si sorregge lo spettacolo.

insabbiati sarteanoValentina, settant’anni dopo, recupera quelle lettere, quelle sensazioni, quegli stati d’animo e li riporta in uno spettacolo a una sola voce che si squaderna nella mimesi di due personaggi portanti; Augusta e il figlio primogenito, ancora adolescente. La famiglia vive in un piccolo appartamento romano, (tanto che sembra quello della Loren in Una giornata particolare di Ettore Scola) e aspetta il ritorno del padre di famiglia.

Da subito si nota lo scarto che Valentina Bischi instaura tra la tradizione del teatro di narrazione monologico e l’innovazione dello stesso. Ci sono sconfinamenti gotrowskiani della quarta parete, polifonie stratificate, cambi dinamici di ritmo e sensibilità, che rendono la linearità del racconto ondulante, irregolare. Alla sua voce si sovrappongono i suoni dei filmati dell’istituto Luce e il tappeto musicale, composto da una sola chitarra, che alimentano l’oscillazione fonetica e stilistica della rappresentazione. I movimenti e gli accenti melodici del parlato definiscono una corporatura poliedrica del racconto. Il classico teatro di narrazione monocorde, da centro palco, con la scena spoglia, sembra superato nel migliore dei modi: in “Insabbiati” infatti ogni singolo elemento presente sul palcoscenico si carica di forza simbolica; il cavo dei panni stesi, le mollette, il cesto dei vestiti.

Il punto di massima tensione lo troviamo a metà spettacolo e fornisce, forse, la chiave di lettura dell’intero testo; il narratore (Augusta e/o suo figlio), neutralizzato in una specie di spersonalizzazione onirica, si ritrova avvolto nel velo bianco appeso al cavo dei panni da asciugare. L’andamento vocale sembra suggerire un amplesso. Il rapporto si consuma tra Augusta e il suo ricordo, nella leggerezza del sogno. Il velo diventa il filo del ricordo stesso, la sua rappresentazione, durante l’assenza. Augusta figura il marito in Etiopia, trascende il corpo, e si getta tra le sue braccia. Quel cavo, quel filo, quel panno sono elementi caricati di rimandi evocativi ed ogni cosa prende peso.

Tutto si concentra sulle grandezze fisiche. Il peso, la distanza, lo spazio. “Ho dimenticato l’ultima volta in cui ti sei alzato dal letto ed io ho preso tutto lo spazio”, dice Valentina. Quanto spazio può occupare un’assenza? Quanto peso può avere un periodo storico, un non-essere? Quelle grandezze fisiche fondamentali nell’edificazione dei rapporti umani per quella generazione, per quella guerra, e che oggi sembrano totalmente superate. Quelle grandezze fisiche di cui oggi sentiamo il bisogno, dal momento che ogni cosa sembra acuire uno sdegno collettivo per pochi giorni, giusto il tempo di un post, giusto il tempo di un’immagine profilo con la bandiera francese dopo i fatti di Parigi, per poi sciogliersi in un calderone del rimosso, senza peso.

Questo spettacolo è necessario e ci riguarda, ci ricorda quanto fossero importanti gli abbracci in tempo di guerra, di quanto fosse importante la proiezione di una vita in tempo di pace, quanto fosse importante accorciare i tempi e le distanze dell’amore. Sono i ricordi e la tensione che a questi ci lega, a non dover essere insabbiati.

A margine dello spettacolo, Valentina Bischi ha cortesemente risposto alle mie domande: ecco il video dell’intervista in esclusiva per i lettori de La Valdichiana

ArrischiantiSm

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