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Le ketubbot di Monte San Savino

Le ketubbot di Monte San Savino

La legge ebraica prevede che lo sposo, prima delle nozze, consegni alla sposa la ketubah (parola ebraica che significa “scrittura”, al plurale ketubbot), ossia la carta dotale della tradizione giudaica. Questa sorta di libro raccoglie le clausole del contratto matrimoniale. Tra le collezioni e i musei di tutto il mondo si contano sette bellissime ketubbot provenienti da Monte San Savino, dove già nel 1600 si insediò una fiorente comunità ebraica.

Quattordici sposi chianini, di cui una vedova in seconde nozze e il noto poeta Salomone Fiorentino (Monte San Savino 1743 – Firenze 1815), hanno scritto le loro promesse matrimoniali intorno al XVIII secolo. Pittoresche e, al contempo, semplici. Senza uniformità stilistica, se non per la decorazione principale composta da motivi floreali e versetti in ebraico, che contornano il testo a scopo ornativo. Tra le sette ne emerge una particolarmente elegante, uno splendido lavoro di arte barocca eseguito molto probabilmente per nozze davvero speciali dall’artista Abram Elia Fano.

La dottoressa Stefania Roncolato che ha condotto studi sulle ketubbot savinesi e pubblicato il libro “Le ketubbot di Monte San Savinoè riuscita a restituire parte della cultura di quella comunità ebraica che centinaia di anni fa si stabilì in Valdichiana. Non solo, perché da questi documenti così preziosi risalta la contaminazione tra elementi ebraici e cristiani tipici della nostra penisola, aprendo così nuovi orizzonti di sapere storico, artistico e culturale sul mondo ebraico.

Come spiega Roncato nel suo lavoro, l’importanza che riveste il matrimonio nella tradizione giudaica è implicita nel termine che definisce la cerimonia nuziale, ossia kiddushin: ciò che è sacro. L’unione coniugale, secondo la Torah (la dottrina religiosa che la Bibbia espone come impartita da Mosè), è parte fondamentale dello schema della creazione. Ogni uomo ha il dovere di procreare e formare una famiglia.

La legge ebraica prevede che lo sposo consegni alla sposa prima delle nozze la ketubah nella quale sono raccolte le clausole del contratto matrimoniale ebraico. Sempre secondo la legge un uomo non può vivere con sua moglie senza la ketubah. Il documento è l’atto unilaterale con cui il marito assume verso la moglie degli obblighi morali e patrimoniali: è una obbligazione produttiva di effetti giuridici, non un semplice impegno di natura morale.

L’uso di questa carta dotale divenne pratica generale ed essenziale del matrimonio nel corso del primo secolo avanti Cristo. I saggi si preoccuparono sia di rendere il divorzio più difficile e oneroso per il marito, che di proteggere gli interessi della moglie, tutelandola sia sotto il profilo economico, sia sotto quello umano e morale.

Le carte maritali possono anche rivelare aspetti importanti della vita degli ebrei di Monte San Savino, sopperendo alla scarsità di documentazione esistente. Ci lasciano intuire il gusto e la moda del tempo, ma anche di cogliere le influenze stilistiche esercitate dalla società circostante sulla piccola comunità toscana. Le pergamene nuziali introducono lo studioso attento nella società del tempo fornendo preziosi dettagli sullo status della famiglia ebraica, più o meno agiata, più o meno inserita nelle maglie del tessuto sociale.

È incredibile scoprire che le ketubbot di Monte San Savino siano arrivate alla collezione di Cecil Roth a Toronto, all’Istituto Ben-Zvi di Gerusalemme, al Brooklyn Museum di New York, o allo Skirball Museum di Los Angeles.

Immagine presa dal libro “Le ketubbot di Monte San Savino” di Stefania Roncolato

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