Foto di Michele Vino
Dal 12 al 18 Luglio 2019, Il Cantiere Internazionale d’Arte ravviva la Valdichiana e la Valdorcia con quarantasei spettacoli disseminati in varie suggestive location. Un programma multidisciplinare che sta convincendo il nutrito pubblico che riempie, in queste calde sere d’estate, le platee allestite dalla Fondazione Cantiere Internazionale d’Arte. Si conclude oggi la prima settimana di Festival. Ne abbiamo tratto una riflessione.
Se si cercasse una parola chiave, un lemma caleidoscopico, per indicare la traiettoria metodologica, che guidi le pratiche creative di questa edizione del Cantiere Internazionale d’Arte, questa sarebbe intersezione. Le intersezioni – ma anche gli scambi, le sovrapposizioni – sono di tipo geografico, disciplinare e relativo alle produzioni. È geografico perché sono molti i comuni coinvolti, così come moltissime sono le location, definite anche dal programma Luoghi-Incontro, attraverso il quale il Cantiere – congiuntamente alla Fondazione Monte dei Paschi di Siena – coinvolge le piazze, i musei, i mercati dei diversi centri. È disciplinare perché stiamo parlando di un festival, fondato da Hans Werner Henze, che si poneva come officina per giovani artisti, che proprio dallo scambio tra generi ed esperienze, faceva scaturire nuove espressione e crescita comune. È relativo alle produzioni perché coinvolge i virgulti creativi del territorio, le associazioni presenti, le istituzioni, i gruppi di lavoro già coesi, e li scontra con esperienze internazionali e professionali, per farli reagire insieme.
Quello di quest’anno è un habitat espanso, un’ulteriore estensione di dominio, un allargamento del perimetro d’azione che sta tracciando un vero e proprio processo educativo di area. Il Cantiere non è più preminentemente “di Montepulciano”; il Cantiere è ormai un’istituzione culturale in Valdichiana e Valdorcia, posto come garante di un reticolo culturale di scambio, di confronto, di approfondimento centrifugo, disseminante esperienze artistiche in tutto il sud della provincia di Siena. La cognizione culturale del territorio ha conosciuto tempi più brillanti. L’indirizzo smaccatamente politico – poiché l’arte è sempre politica – dell’iniziativa cantieristica acquista quindi, nel presente periodo storico, una marca di necessarietà.
Molte delle intersezioni tematiche – che partono dalle espressioni musicali e teatrali – sono state quest’anno rivolte alla storia della letteratura. Il testo è tornato a essere portante nei moduli degli spettacoli. In un’epoca in cui la parola viene esautorata – bistrattata, screditata – e sono le frequenze, invece, a essere investite di potere comunicativo, ecco che gli spettacoli del Cantiere tornano a pareggiare le livellature tra i due codici: musica e parola.
In Passion, il musical che ha aperto questa quarantaquattresima edizione, lo spunto testuale viene da un classico minore della nostra letteratura. Pilastro delle metriche romanzesche della scapigliatura, Fosca di Iginio Ugo Tarchetti è il basamento testuale per quello che secondo il programma di sala è un “musical”, ma che rappresenta un’intersezione – anche qui – tra vari generi compositivi. Passion è l’ultima, pluripremiata partitura dell’autore colossale Stephen Sondheim, il liricista americano che ha partorito – tra le altre cose – West Side Story e Sweeney Todd che per questa lavoro si è ispirato al film Passione d’amore di Ettore Scola, derivato dal romanzo di Tarchetti. Il cinema torna anche in L’Uomo Visibile, la serata che ha visto coinvolte proiezioni di pellicole dell’era del muto con musiche eseguite dal vivo e approfondimenti, nel contesto della Fortezza di Montepulciano, con Francesco Finocchiaro, Julie Brown, Richard Heyman e Elisabeth Trautwein-Heyman.
I Promessi Sposi di Alessandro Manzoni sono invece stati il serbatoio testuale, dal quale Gabriele Valentini ha edotto il suo Rodrigo – appunti su un malamore. La drammaturgia è intersecata ai suoni e alle musiche di Davide Vannuccini e ai visual di Simone Pucci, giocate con proiezioni efficacissime nella facciata di Villa Fanelli, nel parco del Castello di Sarteano. Il resto delle luci è affidato agli attori stessi, che tengono torce i cui getti fotonici non mantengono linee fisse: sono orizzontali, ma anche verticali e obliqui. Modificando le direzioni dei coni di luce, la tecnica di scena diventa dominante, nell’economia generale della messa in scena. Quella che viene operato in Rodrigo è un’epochè, una sospensione del giudizio anti-romantica (e quindi anti-manzoniana), in cui il fulcro della vicenda dei Promessi Sposi viene deliberatamente focalizzata sulla figura del villain. Con accenni alla contemporaneità (dal #metoo agli osteggiamenti della diversità) e incursioni citazionistiche del romanzo originale, Gabriele Valentini elabora un’ottima interpretazione contemporanea della figura di Don Rodrigo, post-freudiana, in cui il sogno che l’antagonista dei Promessi Sposi fa nel capitolo XXXIII, durante la notte in cui egli stesso contagia la peste, viene esposto sulla scena come esplosione inconscia, ridda di un rimosso emotivo. Nel patchwork testuale è presente anche il Capitolo V – che di fatto funge da antifona, da profezia che si auto-adempie – in cui Fra Cristoforo (molto ben interpretato, qui, da Francesco Storelli) giunge al palazzotto del nobile e viene invitato al banchetto che si sta tenendo a corte. Tutto, nello spettacolo, viene tenuto insieme da un’atmosfera onirica, in un amnio fatto di torce e proiezioni astrali. Musica, proiezioni e luce, sono un’arma scenica potentissima, il cui calibro si misura – in questo caso – in volume.
Sempre di prominente presenza Arrischianti è lo spettacolo La Goccia e il Fuoco, nato da un’idea del Maestro Luciano Garosi, con la drammaturgia – e la regia – di Laura Fatini, con Maria Pina Ruiu e Giovanni Fabiani. Lo spettacolo è impostato come un dialogo a due voci: una è effettivamente una voce, quella di George Sand, interpretata da una superlativa Maria Pina Ruiu, e l’altra è quella di Fryderyk Chopin, il quale – ovviamente – non si esprime sulla scena a parole, ma attraverso i suoi brani (eseguiti, appunto, dal pianista Giovanni Fabiani). La storia d’amore tra i due si consumò dal 1838 al 1847, tra Parigi, Nohant e Palma di Maiorca.
George Sand la proto femminista, George Sand l’integerrima autrice di Lélia e de La Piccola Fadette, George Sand che si opponeva alle convenzioni soffocanti del suo tempo, di fronte al guazzabuglio dell’innamoramento pare afflitta e debilitata, oltraggiata dai dardi di amore. Un amore sconvolgente, ma immaturo, che si traccia più sulla carta che sulle lenzuola delle camere da letto. Niente bisogna risparmiarsi quando si hanno mani per scrivere e per suonare, afferma la Sand di Laura Fatini, che dal suo scrittoio ripercorre tutto il carteggio che tra i due c’è stato, lungo quei dieci anni di tormentata relazione. La goccia e il fuoco del titolo sono i due tropi attraverso i quali queste due figure storiche si configurano in scena, un fuoco che brucia, trancia, che si consuma velocemente, e dall’altra parte la goccia che lentamente spegne i fuochi, intride la carta fino a renderla illeggibile, distruggerla, sebbene sia stato il fuoco a bruciare fattivamente l’epistolario. Un amore che si consuma anche sulla tela, in un famoso dipinto di Delacroix, rimasto però solo abbozzato (siamo rimasti abbozzati persino su una tela, dice) e che – ironia del mercato – venne tagliato in due dal proprietario, pensando che i ritratti singoli divisi avessero un valore più alto.
Un Cantiere Internazionale d’Arte che quindi valorizza le intersezioni, le sovrapposizioni, le complementarità, che connette e cuce insieme, che educa e diverte. Una quarantaquattresima edizione che riluce d’amore, di passione e di follia.