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L’uomo e la sua negazione: “Human” di Baliani/Costa al Mascagni di Chiusi

L’uomo e la sua negazione: “Human” di Baliani/Costa al Mascagni di Chiusi

Errante e infido è lo straniero, come il mare che avvolge le membra di Leandro, nella sua disperata traversata dell’Ellesponto raccontata da Ovidio nelle Heroides, verso Ero, la sacerdotessa di Afrodite che, sulla costa di Sesto, accendeva ogni sera una lucerna, per indicare la rotta al suo amato in mare. Un profugo per amore, la più nobile tra le urgenze, il cui furore è incomprensibile se non attraverso la poesia. Inizia con questa immagine Human, lo spettacolo portato sui legni del teatro Pietro Mascagni il 18 febbraio 2017.

Perno delle molteplici storie portate in scena, ora dai monologhi ora dalle rappresentazioni, è il tema dei migranti e delle stragi del Mediterraneo. Human è il titolo riportato con parola sbarrata, come a significare un dissidio tra umanità e sua negazione: lo stesso dissidio che risalta nei commenti medi, alle cronache quotidiane sul tema degli sbarchi sulle coste italiane. Umanità e sua negazione. Lella Costa, Marco Baliani, David Manzi, Noemi Medas, Elisa Pistis, Luigi Pusceddu mettono quindi in scena la contraddizione degli esseri umani che non si comportano più come tali, che abbuiano il lume del sentimento, dell’emozione, dei diritti universali ed eterni, in virtù di un ostracismo emotivo terribile, nei confronti dei migranti.

A rotazione, appaiono quadri scenici, ognuno equilibrato tra realismo e visionarietà, di caratteri riconoscibili e topoi della cronaca: la vecchia casalinga che ostenta una visione del mondo assolutistica e ingenua, il vago realismo dei pescatori intorno Lampedusa, i ricettatori dei vestiti arenati sulle spiagge, i ragazzi superficialmente interessati alle notizie degli sbarchi tra la frivolezza delle chiacchiere. E poi il mito, come tasso aulico e sacrale del racconto: Enea, Leandro, Antigone, calchi immaginifici da Caravaggio, nonché tralci di Shakespeare e Salvatore Quasimodo: cercando una cronaca sublimata dagli strumenti del teatro classico.

Le riserve che si possono avere nel giudizio dello spettacolo riguardano l’impostazione e il linguaggio non coerente, né chiaro: un modulo di trattazione scenica non aderente al paradigma percettivo presente, attuato secondo intenti ormai storicamente superati. Si legge nel programma di sala, che sembra quasi un manifesto: «vorremmo utilizzare le forme teatrali per indagare quanto sta accadendo in questi ultimi anni» e poi «se ci fermassimo qui sarebbe un altro esempio di teatro civile e questo non ci basta: non vogliamo che lo spettatore se ne vada solo più consapevole e virtuosamente indignato o commosso, vogliamo spiazzarlo, inquietarlo, turbarlo, assediarlo di domande». In realtà, quello che emerge da Human è proprio una forma di mero teatro civile, che si “limita” a commuovere e indignare. L’impianto mimetico pretende che il pubblico si riconosca in turpi e banalizzati stereotipi, che di certo ormai non scuotono neppure i chierichetti, attraverso un pure equilibrato compromesso tra teatro di narrazione (di cui Baliani e Costa sono due dei massimi rappresentanti) e rappresentazione drammatica. Le figure neutre dei due attori protagonisti sono efficaci – ma non innovativi – solo nella loro nudità, nei parallelismi narrativi tra tradizione dei canoni letterari e presente (Migranti – Ovidio – Sofocle – Shakespeare – Quasimodo). Il carisma apotropaico – auspicato – dell’acquisizione del male e la conseguente catarsi, non arrivano mai: lo spettacolo si discioglie su sé stesso, affidando quasi completamente la forza solutiva del discorso alla potentissima estetica scenografica e ai disegni delle luci, sempre ottimi e pertinenti, anche nei punti più ardimentosi. Insomma, il dissidio dell’essere umano si risolve in un “e come possiamo noi cantare?”, domande aperte, senza alcuna risposta esatta.

Il problema è che, ad esempio, nel “vecchio” disco Un’Intesa Perfetta degli Assalti Frontali, viene usato lo stesso modulo retorico, in un brano intitolato Rap Enea: «profugo per suo destino / oggi come oggi sarebbe un clandestino / Enea ma dove vai? Enea ma dove vai? / Senza il permesso di soggiorno per te sono guai», sì di certo in maniera meno aulica, ma sicuramente convogliante gli intenti enunciati dallo spettacolo diretto da Marco Baliani, in modo più diretto ed efficace. Così come di potenza maggiore, devastante, assolutamente impareggiabile, è il film di Gianfranco Rosi Fuocoammare, attualmente candidato come miglior documentario ai premi oscar 2017. Si potrebbero citare decine di opere, sicuramente più corroboranti, convincenti ed eloquenti, sullo stesso tema e con gli stessi mezzi, usati in maniera più incisiva (basti pensare anche allo scorso Festival Orizzonti di Chiusi, sul cui tema si era incentrata la quasi totalità della programmazione).

Human è uno spettacolo di per sé buono, ma che pretende essere denuncia di cose già denunciate, sublimazione di temi già sublimati, adottante metodologie di scuotimento etico già abbondantemente usurate. Human vuole essere naturalistico e civile ma allo stesso tempo giocare con la mimetica del reale attraverso parodizzazioni vacillanti, varchi retorici che spaziano dalla citazione al racconto per interposta persona, dalla cronaca alla lirica, mancando di continuità espressiva, fortificando la forma ed evitando la sostanza. Pretende di far valere una voce oratoria e sacrale contro il trash degli enunciati della politica e del giornalismo contemporanei. Qual è l’efficacia? Dov’è l’impegno reale? Che senso ha tutto questo, quando si utilizzano certe tracce argomentative nei confronti di un pubblico che, nonostante la sacralità dei temi, rumoreggia e russa, armeggia con gli smartphone, scatta fotografie con il flash a venti metri di distanza dal palco disturbando due terzi di sala, incalza in colpi di tosse a catena che neanche le epidemie di tisi nella Parigi del 1830?

Non può esistere un teatro civile di questo tipo, nell’imperversante privatizzazione del pensiero cui stiamo assistendo. Non esiste teatro civile che declami verità con una pretesa di voce plurale in una società individualistica, rifluita nell’egotismo dei consumi e della post-umanità. Per essere efficace, ormai, un messaggio civile veicolato attraverso un linguaggio artistico deve toccare le corde intime degli spettatori, spingere verso un peso addominale privato, un imo sottodiaframmatico. Cercare la confidenza più vulnerabile degli esseri umani. Ecco, in questo, Human ha fallito, pur regalando agli spettatori splendide immagini e toccanti narrazioni.

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