Niccolò Machiavelli è uno dei principali protagonisti del Rinascimento italiano. Fiorentino, fondatore della scienza politica moderna, ha scritto trattati di etica e di politica studiati in tutto il mondo. Soprattutto il famosissimo “De Principatibus (Il Principe)” che illustra i suoi pensieri e i suoi consigli su come organizzare uno stato e mantenere il consenso in maniera stabile e duratura.
Molto meno famoso, ma degno d’interesse, è la breve relazione del Machiavelli dal titolo “Del modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati”. Scritta nel 1503, la relazione si concentra sulla ribellione al dominio di Firenze da parte degli abitanti della Valdichiana (chiamati semplicemente “gli aretini”) e sulla risposta politica da parte dei fiorentini.
Machiavelli è molto critico nei confronti delle scelte effettuate da Firenze, che non ha raggiunto l’obiettivo finale di sedare la ribellione e ha provocato ulteriore odio da parte dei popoli della Valdichiana. A suo avviso sono stati fatti dei gravi errori di valutazione, poiché ai ribelli non sono stati proposti nè patti benevoli nè sono stati definitivamente distrutti, togliendo ogni possibilità futura di ribellarsi. A supporto della sua posizione, Machiavelli porta l’esempio dell’antica Roma e del suo modo di trattare i popoli ribelli nel Lazio:
“I Romani pensarono una volta, che i popoli ribellati si debbano o beneficare o spegnere, e che ogni altra via sia pericolosissima. A me non pare che voi agli Aretini abbiate fatto nessuna di queste cose, perché e’ non si chiama benefizio ogni dì fargli venire a Firenze, avere tolto loro gli onori, vendere loro le possessioni, sparlarne pubblicamente, avere tenuti loro i soldati in casa. Non si chiama assicurarsene lasciare le mura in piedi, lasciarvene abitare e’ cinque sesti di loro, non dare loro compagnia di abitatori che gli tenghino sotto, e non si governare in modo con loro, che negl’impedimenti e guerre che vi fossero fatte, voi non avessi a tenere più spesa in Arezzo, che all’incontro di quello nimico che vi assaltasse.”
Il modo di affrontare la ribellione dei Romani, per Machiavelli, è quello corretto: non potendo avere la meglio sui Falisci, li distrussero e costruirono una nuova città chiamata Civita Castellana. Firenze, invece, non ha raggiunto un accordo benevolo con Arezzo e la Valdichiana, nè ha distrutto completamente i ribelli: anzi ha imposto gravi tasse e ha spinto la popolazione a odiare ancor di più i loro governanti. Una scelta politica pericolosissima, che non ha risolto il problema, ma anzi l’ha esasperato.
L’intera relazione, per chi fosse interessato, può essere letta su Wikisource. Quello che mi sembra interessante sottolineare, comunque, è che in questo trattato precedente a “Il Principe”, Machiavelli comincia delineare la sua etica. Si comincia a descrivere la necessità di una figura politica che persegue i suoi scopi in modo determinato, usando il buon esempio della storia antica e con particolare attenzione all’etica umanistica piuttosto che alla teologia religiosa. Una figura, quella del Principe, capace di riunire la frammentazione italiana tra Stati divisi e lotte intestine per il potere, corporazioni e clientele. Un’Italia dominata dai compromessi, dalle debolezze dei governanti, incapace di suscitare il senso di appartenenza e di identità tipici di quella che sarebbe diventata la nazione in senso moderno.
Nella relazione sul modo di trattare i popoli della Valdichiana ribellati, inoltre, il Machiavelli pone l’accento su un tema che diventerà fondamentale nei suoi trattati successivi, ovvero sull’atteggiamento che un principe debba tenere nei confronti dei suoi sudditi. Meglio essere amati o temuti? Entrambe le cose, idealmente. Ma è praticamente impossibile per un principe, che è comunque un essere umano, riuscire ad essere contemporaneamente amato e temuto: nel dubbio, quindi, meglio essere temuti. Il principe deve suscitare timore, ma senza mai rendersi odioso, poiché l’odio costituisce il primo stimolo per la ribellione e la perdita del potere, come accaduto con i popoli della Valdichiana.
Il Principe di Machiavelli, quindi, non è perfetto, poiché la perfezione non è umana: è un governante che raggiunge il miglior risultato possibile, prima di tutto per il popolo e per lo Stato. Una figura umana, cinica e concreta, che mette al primo posto la ragion di stato rispetto alla sua stessa poltrona.
Chissà se gli attuali governanti di Roma e di Firenze oppure i politici locali hanno preso spunto dalle parole di Machiavelli e ne condividono l’etica!