I Mad Shepherd sono un gruppo alternative rock di Roma, formato da Stefano di Pietro (Voce), Salvatore Dragone (Chitarra), Francesco Leone (Basso e Seconda Voce) e Marco Fiorenza (Batteria). Un progetto musicale relativamente recente, ma che ha saputo dare prova di grande talento e volontà di emergere. Due EP registrati tra il 2009 e il 2012; un brano incluso nella compilation “Riot on sunset vol.22” della 272 Records (Los Angeles); scelti nella selezione degli speaker di Radio Rock (FM 106.6) per “Festivàl” e per la finale del Contest “Suona i Foo Fighters e sali sul palco del Rock in Idrho” organizzato da Sony Music. Ora sono entrati in studio nel luglio 2013 per la produzione del loro primo album, Monarch, in uscita nell’autunno 2014, e il cui singolo omonimo è già disponibile online.
Una tappa importante per il gruppo sarà lunedì 21 luglio al Rock in Roma: si troveranno infatti tra i gruppi di apertura al concerto degli Editors. Con l’occasione abbiamo incontrato il cantante Stefano di Pietro per alcune domande sui Mad Shepherd.
Buon pomeriggio. Cominciamo dall’inizio: come si è formato il gruppo?
Per la prima volta nel 2009, con una prima formazione in cui c’erano l’attuale chitarrista e bassista (salvatore e Francesco). Ci sono stati vari cambi, ma alla fine non hanno mai trovano una stabilità, soprattutto dal punto di vista del cantante. Poi, due anni e mezzo fa, sono arrivato io e abbiamo cambiato molto a livello compositivo: io scrivo tutti i testi e tutte le melodie, anche alcune parti strumentali; ma collaboriamo molto in fase compositiva, molto spesso il chitarrista arriva con un arrangiamento, un riff, un giro d’accordi, anche il bassista, e io metto insieme un po’ tutto e e poi scrivo il testo e la melodia.
Avete subito iniziato a incidere il disco?
Sì, abbiamo iniziato praticamente subito a mettere su il disco, abbiamo preso un paio di pezzi che loro avevano già da prima, montati e rimontati, inserendo una nuova melodia voce e poi abbiamo iniziato a scrivere insieme da zero. Abbiamo trovato il batterista, un amico che aveva studiato con me, e abbiamo iniziato a registrare il disco l’estate scorsa, in uno studio a Guidonia, Revolver. All’inizio dovevamo stare solo due settimane poi il progetto è piaciuto e hanno deciso di coprodurre il disco, lasciandoci stare in studio più di due mesi a lavorare su tutto, finendo più o meno a ottobre di registrare.
Sai già quando esce il disco?
Orientativamente ad ottobre.
Parlami di Monarch.
Diciamo che è una specie di concept album. Il nome dell’album è venuto dopo la selezione delle canzoni, basati su un contesto di critica: descrivono uno scenario in cui alcuni elementi della realtà sono problematici, per esempio la comunicazione, che manca nella società contemporanea, su tutti i livelli, sia tra potere e sottomesso, diciamo, sia nelle relazioni interpersonali.
Qual è l’idea che sta dietro a questo nome?
Monarch è una tecnica di controllo mentale utilizzata dalla Cia: attraverso dei comandi fatti sotto ipnosi è possibile addestrare delle persone e attivarle quando serve (ovviamente non è ufficiale, la Cia di certo non lascia trapelare informazioni, ma ci sono molte ipotesi su questa tecnica). Insomma, Monarch è un po’ la metafora di quello che succede realmente, tutto sembra volto al controllo dell’individuo. Il concetto è quello. Questo si riflette nei testi: a livello sentimentale, per esempio, in canzoni come So it Goes, o anche California, oppure a livello più politico come Blood Thief, e Sickman of Europe, dedicata agli scontri in Turchia.
Parlami di una canzone. Un testo in particolare che ti piace, nel quale ti rivedi?
Direi che ogni testo ha la sua storia, alcuni sono più leggeri, però all’apparenza. Per esempio, California è una ballad che parla di sesso, fondamentalmente: ha un lato dove, in un primo piano, parla di quel tipo di sesso che si fa chiusi in una casa per tre giorni, dove si costruisce un certo tipo di intimità e di relazione interpersonale. Al di sotto, in un secondo piano, c’è la relazione tra mondo esterno e mondo interno, ossia la capacità di poter costruire una realtà alternativa con una persona che sia diversa da quella di fuori. Mi piace in questo senso il ruolo dell’arte che, a differenza della ricerca – perché io vengo da lì, ho finito da poco un dottorato in filosofia del linguaggio –, ti permette di essere metaforico, quindi di non dire mai una cosa specifica, di lasciare aperte le porte.
Collaborazioni importanti per il vostro nuovo album. Parlami dell’esperienza.
Walter Babbini. Tra gli altri ha lavorato all’ultimo disco di Zucchero, lavora a livelli molto alti, si è occupato di registrazione e produzione artistica. Valter Sacripanti, un professionista alla batteria, ha fatto tutti i pezzi perché il vecchio batterista ci ha lasciato in corso di registrazione, prima che arrivasse l’attuale. Infine, Howie Weinberg, ci siamo scambiati delle mail: ha fatto il mastering a Los Angeles e credo gli sia piaciuto il progetto perché ci ha permesso di farlo a prezzi abbordabili per un progetto indipendente. Lui è un pezzo grosso, ti dico solo che ha fatto il mastering di Nevermind dei Nirvana, da più di vent’anni è al top.
Il 21 luglio sarete in apertura del concerto degli Editors: cosa ne pensi?
Sicuramente è una bella responsabilità, suoneremo all’ingresso però comunque tutte le persone che entreranno per gli Editors sentiranno noi: è una bella possibilità, e noi non abbiamo paura. Quando hai queste possibilità, che sono rarissime, te la devi giocare al cento per cento; col tempo e con le prove acquisisci una certa sicurezza e ci devi credere. Sicuro ci sono tanti gruppi più bravi di noi, ma magari non ce la faranno perché non ci credono abbastanza. Per riuscire non serve solo la musica, ma anche l’impegno e la performance. Credo nella nostra musica e che non faremo una brutta figura.
Un’ultima domanda: Cosa significa giostrarsi all’interno del mondo musicale in Italia?
Diciamo che, se nel mondo lavorativo ogni 20 porte una forse si apre, nel mondo della musica ogni 800 porte una forse si apre, qundi devi rompere a tutti, scriveranno delle cose imbarazzanti, ti diranno delle cose senza senso però è così: scrivere a 200 locali, rompere a 200 etichette e alcune non ti risponderanno, alcune ti risponderanno male, ma poi riuscirai. A livello di pressioni di case discografiche, le più importanti non vogliono musica diversa da quella italiana in italia. Tendenzialmente ti dicono: se il tuo prodotto è in italiano lo valuto, altrimenti non lo considero.
Voi avete avuto difficoltà?
Sì, assolutamente. Le case italiane non sono interessate a un prodotto che non sia in italiano e, appunto, noi cantiamo in inglese. Solitamente, la qualità del prodotto deve rimanere semplice; e se hai un prodotto che viene forzatamente reso semplice, non vende nel resto del mondo perché viene considerato vecchio. È un discorso totalmente fallimentare, tant’è che la Sony a Roma ha chiuso e la Universal Italia fattura meno di quella svizzera: è una follia. Stiamo parlando di 50 milioni di persone contro 6 miliardi. Alla fine si riduce che qui ci sono due tendenze, diciamo, due possibilità di carriera tradizionali in italia: uno è l’interprete, cioè hai una bella voce, sviluppi tutta la tecnica del mondo e fai The voice, Amici e X Factor, è una tradizione che esiste anche fuori, oppure, fai il turnista e allora a quel punto devi essere molto bravo e competitivo sul mercato, però chiaramente lavori per qualcun altro. Il concetto di Band è molto più raro in Italia.
Cosa consigli per chi vuole uscire da questo contesto italiano?
Sicuramente ostinarsi a fare musica in inglese. Poi, ascoltare musica internazionale, perché ovviamente se uno si ascolta Battisti e poi fa musica in inglese, rimane un Battisti in inglese; bisogna avere delle influenze internazionali,così diventa più facile che il prodotto sia qualcosa di internazionale. Da noi succede un po’ un’anomalia: ci sono dei gruppi in italia, come i Ministri, che sono molto famosi, ma fanno solo tour italiani; una cosa del genere è assurda per un gruppo inglese. Voglio dire, tu sei famoso, ma poi fai solo Birmingham, Oxford, Cambridge. Loro vanno subito almeno nelle nazioni confinanti, in Olanda e Belgio, per esempio. Bada bene, non è un problema di lingua, non è un confine linguistico, è un problema di qualità della musica: se un italiano fa musica italiana, è musica italiana, che difficilmente raggiunge gli standard di qualità internazionali. Questo va cambiato.
I Mad Shepherd suoneranno in alcune date nei prossimi giorni:
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