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Masterpiece – scrittori o attori?

Masterpiece – scrittori o attori?

Questo nuovo programma della Rai, il talent show della scrittura, Masterpiece è stato concepito per spettacolarizzare la forma d’intrattenimento che amo di più, che oggi come oggi purtroppo non ha quell’appeal da schermo che nel 2013 ci si attende. Insomma, si spettacolarizzano la morte, i drammi, gli omicidi, volete che un aspetto innocuo della vita come la scrittura, non venga reso un fenomeno da circo sull’etere? Non è un programma per insegnare a scrivere, non serve per vedere com’è un processo creativo in atto – e, mi dispiace dirlo, no, non è neanche nato per sfornare il nuovo capolavoro, secondo il titolo del programma. Ma neanche lontanamente.

Che poi, inizia a darmi fastidio questa concezione dell’istante per quanto riguarda la creatività, perché essa ha un tempo talmente personale e veramente intimo, che non può essere in nessun modo cronometrato. Siamo fondamentalmente in un momento in cui viene tutto “istantizzato”, sminuzzato in attimi fugaci: ecco allora il nuovo talento della scrittura che sforna il nuovo capolavoro per la Bompiani.

Dopo il canto, la cucina, il ballo di star dello spettacolo che si spacciano per improbabili ballerini, perché non puntare a portare sul piccolo schermo la scrittura? Non nascondiamoci dietro un dito, dietro il motto “L’Italia è un paese di scrittori” e ve lo spiego facendo un parallelo calzante: l’industria discografica era ed è in crisi nera, quindi le varie label intervenute pesantemente nei talent – no, non ditemi che non lo sapevate, e che i vincitori sono selezionati per il loro “talento innato”, anche perché di innato non c’è niente, ci sono solo potenzialità da fortificare e concretizzare nel tempo e non lo fai in un talent – nel tentativo di risollevare le proprie sorti. Un’altra industria in crisi è quella dell’editoria – e il comportamento è stato esattamente il medesimo.

Ora, mi viene da dire, dopo la prima puntata ero rimasta spiazzata, ma facciamo anche pure nella seconda; la terza non mi ha fatto né caldo né freddo. Non è rimasto nulla della carrellata di cliché da un punto di vista della scrittura – anche perché, che il fantasy venga denigrato da un autore – De Cataldo – di gialli, in effetti fa un po’ sorridere. Ma anche un po’ storcere il naso, perché questo è voler classificare a tutti i costi la letteratura come un reportage fatto e finito del reale, se spazio per il fantasy non c’è. E invece il fantasy è quel bel genere che, se scritto bene, ti fa sognare di mondi paralleli che non pensavi possibili. E peggio ancora, non mi è rimasto nulla di valido, ma mi sono rimasti in mente solo i casi umani della prima puntata; e qualcosa delle storie dei candidati un filo più normali delle puntate successive. Ecco, le vite degli autori in Masterpiece vengono troppo enfatizzate, messe in primo piano. La voce narrante racconta a tutti i costi le storie dei protagonisti e… Poi c’è autoreferenzialismo a palate nelle proposte degli aspiranti scrittori. Meglio riformulare: degli scrittori in attesa di pubblicazione. Forse era uno degli elementi che, anche solo chiedendo ad un autore affermato, si doveva imparare ad evitare sin da subito. Invece no, self-insertion come se piovesse. E degli scritti se ne parla?

Se ne parla poco o niente, i giudici sono a mio avviso inadeguati e De Carlo è autore di una scenetta discutibile, manco fosse il novello Gordon Ramsay della scrittura. Ora, siccome del processo creativo, della stesura di un romanzo, o magari della discussione-correzione costruttiva degli elaborati non ce n’è nemmeno l’ombra – ed è questo l’aspetto che rende tremendamente e puramente accessorio Masterpiece – almeno i giudici potevano sceglierli meglio. Prima di tutto, non avrebbero dovuto essere tre scrittori, ma uno scrittore e due editori, uno meglio se anche correttore di bozze o con un passato simile. Perché dico editori? Perché sono la rete giusta nella quale incappare: sono loro che hanno i contatti giusti e la stoffa giusta per farti crescere e migliorare, per farti arrivare alla pubblicazione che non sei uno scrittore istantaneo e magari dimenticato tra un sei mesi, e a questo scrittore magari è pure passata la voglia di scrivere. Un libro non è un risultato istantaneo, ma è frutto di una fatica che può durare anche anni. Sinceramente, da un punto di vista dell’apprendimento, uno come Andrea De Carlo che vuole fare la scena isterica della maestrina che strappa il compitino fatto male al bambino, ha un valore assolutamente nullo. Nullo. Anzi, scommetto che il bambino in noi non vede l’ora di far impazzire l’insegnante, facendolo andare di nuovo fuori dai gangheri. Non è istruttivo. Poi, mi preme dire che Gordon Ramsay ha ben donde di indiavolarsi con i suoi futuri executive chef dei suoi ristoranti: perché i ristoranti sono suoi e rischia di metterci lui la faccia, se sceglie un incompetente. In “Cucine Da Incubo”, poi, va pure in luoghi agghiaccianti da un punto di vista della qualità e dell’igiene – e se mangi male in un locale pessimo, dove non ci sono i basilari standard igienici, rischi di finire all’ospedale. Manca la critica e la voglia di far crescere in Masterpiece, conta solo la spettacolarizzazione di una vita e di qualche attimo di lettura di elaborati.

Prendiamo per esempio della terza puntata, l’estratto di Lorenzo Vargas: descrive in maniera improbabile e affettata una culturista che ha incontrato, cercando di dare una ancora più improbabile e claudicante svolta ironica sul finale del suo estratto. Non era un brutto tentativo, era particolarmente azzeccata la trovata di stravolgere tutto il castello costruito con l’ironia, ma ho capito che gli mancava la pratica, il giusto spunto per migliorare e risultare veramente interessante e scorrevole. Perché non si può fare un piccolo spazio dove viene ben sezionato l’elaborato di ogni candidato, con spunti e suggerimenti per migliorare? Si potrebbe anche fare un “dietro le quinte”, con qualche piccolo seminario o lezione di scrittura creativa tenuto da un esperto che partecipa alla puntata, con un’infarinatura di correzione di bozze – magari scambiandosi l’elaborato con uno degli altri concorrenti, per mettersi alla prova e cercare anche una sorta di solidarietà, ma anche un ottimo boost per spingersi a competere con gli altri. Interessante invece l’elevator pitch, dove in sessanta secondi, il concorrente deve convincere un editore – o uno scrittore, com’è successo nell’ultima puntata con Silvia Avallone – della bontà del proprio romanzo. Mi sembra solo un po’ sconclusionato nel contesto del programma, visto che è l’unico frangente dove si parla dello scritto del candidato, mentre il resto è tutto sbilanciato verso i drammi veri o presunti di questi improbabili concorrenti.

Insomma, Masterpiece non è il programma che cercavate, nel caso foste stati alla ricerca di un programma che parlasse di scrittura, di come si scrive un libro, sulle difficoltà in cui si incappa nello scrivere. Se volete il solito circo di casi umani che bazzicano nel piccolo schermo, vi potreste divertire.

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