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“Masterpiece” versus “Bestseller”

“Masterpiece” versus “Bestseller”

Prosegue con questo contributo un dibattito a distanza con la rubrica di Matteo Biagi, che pochi giorni fa si è occupata di Masterpiece, uno dei  programmi più attesi e interessanti della stagione televisiva italiana. Il controverso talent sugli scrittori e sul mondo della scrittura è al centro di roventi discussioni, tra chi lo considera come la morte definitiva della letteratura e chi lo innalza a miglior programma televisivo degli ultimi anni.

A mio parere l’esperimento televisivo mette in luce una problematica assai diffusa nel panorama nazionale, che ho riassunto con lo scontro mortale tra “Masterpiece” e “Bestseller”. Accendete la televisione, entrate in una libreria, fate un giro su internet e concentratevi soltanto sulla produzione italiana: vi renderete conto che non esistono vie di mezzo. Da una parte serie tv, romanzi e film senza alcun valore, narrazioni vuote e operazioni commerciali per lobotomizzare il pubblico, alla stregua di quello che ci racconta magistralmente Boris: sono i film italiani che sbancano i botteghini, i libri di ricette o i romanzi di qualche calciatore, l’ennesima serie televisiva su preti che fanno i carabinieri o sui carabinieri che fanno i preti.  Le uniche produzioni che nel nostro paese riescono ad accedere ai finanziamenti, al successo del pubblico e a una misteriosa mancanza di concorrenza. Dall’altra un mondo che si rinchiude nella letteratura d’autore, tra aspiranti hispter e poeti maledetti, che ci riempiono di roba illeggibile e dai contenuti indecifrabili, sempre le solite mattonate autoriali: sono i film che non attirano il pubblico, i libri che partecipano a concorsi letterari banditi da altri scrittori, i romanzi che scimmiottano il grande artista polacco morto sotto i colpi di un terrorista pansessuale pirata zoppo a colpi di adamantio.

Nel mezzo, non c’è nulla. Per anni la produzione narrativa è stata bloccata a questi due estremi, e nessuno di coloro che aspiri a un “Masterpiece” che sia anche un “Bestseller” riesce a uscire da questo marasma; oppresso a vita tra una letteratura per pochi che non vende una copia e un nulla artistico sovvenzionato da pubblico e produttori. La letteratura può essere popolare, e un Masterpiece può anche essere un Bestseller. Solo che ancora non l’abbiamo capito. Per questo, ritengo il programma di rai3 come un esperimento televisivo positivo.

La spocchia di scrittori, lettori ed editori risulta evidente nel programma di Rai3, così come nel panorama attuale. Mentre chi ha ancora a cuore la narrativa seleziona i libri con il lanternino in libreria o va a caccia delle migliori serie televisive americane o britanniche, il nostro paese rimane fermo. La citazione di Tito Faraci La narrazione italiana ha bisogno di essere pop”, dovrebbe essere scolpita a caratteri cubitali a coloro che si lamentano di quanti pochi lettori ci siano in Italia, ma che poi schifano chi si azzarda a leggere Harry Potter. Dovrebbe essere tatuata sulla pelle di editori che piangono miseria, ma che confondo i loro autori con i loro clienti.

masterpiece rai3

Detto questo, il programma si macchia a mio avviso di errori madornali, quali l’utilizzo dell’elevator pitch (uno scrittore non è un imprenditore!) e l’eccessiva attenzione alla forma piuttosto che al contenuto. Si parla soltanto degli scrittori e delle loro vite, poco dei loro libri. Non è un problema che siano dei “casi umani”: d’altronde la letteratura è vita, e i loro modelli di umanità non possono che essere al centro della loro narrazione, ma l’attenzione dovrebbe scendere più in profondità verso il contenuto, verso l’idea e gli spunti narrativi. Un buon libro può uscire fuori anche da colui che vive la vita più noiosa sulla faccia della Terra.

Una maggiore attenzione alle storie che questi scrittori vorrebbero raccontare, alle loro capacità di narrare le loro idee e non soltanto le loro vite, potrebbe essere il segreto per far decollare il programma. Anche questa eccessiva attenzione alla forma e il disprezzo per i contenuti, in fin dei conti, non è altro che un modo di disprezzare la letteratura popolare a discapito di quella autoriale.

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