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Metodo Hobart: quando la danza è un codice di comunicazione emozionale

Metodo Hobart: quando la danza è un codice di comunicazione emozionale

L’intelligenza del corpo è molto più potente di quella razionale. C’è un ordigno in costante crescita e maturazione, nella nostra fisicità, che la ragione – psichica – non percepisce, non riesce neanche a contemplare. È l’intelligenza poliritmica del nostro corpo, quella che fa battere il cuore, che ricostituisce i fluidi, che dispone i nessi impliciti tra le funzioni involontarie dell’organismo. Il cardine della nostra sopravvivenza non sta nel nostro cervello, ma in tutto il resto. La gestione delle nostre emozioni, la persistenza dei ricordi, il fulgore creativo, sono atti disciplinati dalla complessità organica del corpo, verso la quale l’elaborazione psichica cerebrale non è che un effetto marginale. L’approfondimento del sé corporale è la base per un qualsiasi percorso di benessere e di appercezione.

Un tale criterio di coscienza di sé, del proprio potenziale corporeo, è forse uno dei dati imprescindibili che la consapevolezza una danzatrice o un danzatore deve raggiungere. Un fondamento percettivo da cui si ergono tutte le possibili diffrazioni gestuali di una performance.

Gillian Hobart ha tenuto ben salda questa consapevolezza, tanto da edificare un metodo personale di educazione corporea per mezzo della danza, attuato nei contesti più lontani dal ballo puro.

È nata a Londra, città nella quale ha iniziato un percorso di formazione che l’ha portata a studiare con Letty Littlewood, con Vera Volkova, George Goncharov, Olga Preobrajenska ed Egorova. Negli anni Sessanta si è trasferita in America, dove ha incontrato una delle sue più importanti maestre e collaboratrici, Mary Antony, assistente di Hanya Holm. Negli anni ’70 Gillian Hobart arriva in Italia, a Roma, e insegna all’Accademia Nazionale di Danza. Dal 1978 inizia a lavorare in autonomia, con una sua scuola, sperimentando nuovi metodi – su tutti il sistema anti-accademico di Rudolf Laban – ed entrando in contatto con il ballerino classico Amedeo Amodio (con cui lavorerà nel contesto del Festival dei due Mondi di Spoleto e con cui instaurerà un sodalizio artistico lungo decenni), con Sylvano Bussotti e il movimento Fluxus. Portando avanti gli insegnamenti di Mary Anthony e Carl Rogers, Gillian Hobart ha cominciato a costituire una consapevolezza artistica che vede la danza sempre più come veicolo di empatia, come codice linguistico ed emozionale, e meno come “balletto” a schema fisso.

Le sue riflessioni sono contenute in un libro intitolato Body and Mind in Modern Dance, tradotto in italiano come Danzare con l’Anima.

È negli anni ’90 che insieme a Claudio Gasparotto inizia un percorso di confronto tra la danza e i diversamente abili. Trasferitasi da Roma a Bracciano inizia a collaborare con un’associazione locale che promuoveva attività ricreative ed educative per disabili. In questo contesto, la sua interpretazione del movimento come linguaggio, trova una possibilità di confronto diretto. Inizia a lavorare e danzare con i diversamente abili, trova punti di contatto, segue modulazioni di ricerca corporea e di valorizzazione delle spinte emotive rappresentate dal movimento.

«Il fraseggio di Gillian è una folgorazione. Il suo rapporto con il singolo movimento è come quello di un poeta per le rime» dice Gasparotto che insieme a Gillian ha codificato una teorizzazione di quello che veniva definendosi sempre più come metodo. «Il metodo è nato nel contesto della disabilità ma è emerso quanto questo abbia una portata educativa che va oltre la danza pura. Si è formato un team di educatori con diverse professionalità. Il metodo ha iniziato ad essere utilizzato tanto con gli anziani quanto con i bambini, con i giovani aggressivi e con tanti altri tipi di umanità».

Il metodo è nato nel contesto della disabilità ma è emerso quanto questo abbia una portata educativa oltre la danza pura. Con il tempo si è formato un team di educatori con diverse professionalità, che lavorano per il perfezionamento e l’adattamento del metodo, che nel frattempo ha iniziato ad essere utilizzato anche con gli anziani, con i bambini, con i giovani aggressivi. Un sistema di correlativi tra esseri umani, sempre più conformato come percorso educativo assoluto e sempre più distante dal modulo particolare della danza-terapia.

«Non dobbiamo parlare di terapia» afferma Claudio Gasparotto «ciò che caratterizza il metodo è il contatto, la relazione, il rispetto». È quindi un percorso educativo atto a favorire l’apertura delle persone, in produzione e recezione di un messaggio, di un codice. «Gillian non fornisce risposte ma attraverso il suo esemplare metodo pone le domande fondamentali per trasformare il caos in ordine, per formulare un’idea attraverso l’espressività corporea, il movimento danzato»

Il motto di Gillian Hobart è: Se la parola è divina, il corpo è miracolo. La forma di relazione tra le persone, sciolta dal raziocinio, da schemi fissi di percezione sociale, è il fondamento per un’accettazione di sé in quanto esseri umani, del proprio corpo in quanto sistema di comunicazione, apparato di produzione emozionale.

Il 22 aprile 2017, Gillian Hobart sarà a Bettolle, alle 16:00 presso la sala polifunzionale in Via Grassi. L’evento è organizzato da AUSER con la collaborazione di Alter.nativa. Saranno presenti i componenti del Team Movimento Centrale Danza & Teatro: Annachiara Cipriani, Milena Giorgetti, Manuela Graziani, Isabella Piva, Monica Tomasetti, nonché Claudio Gasparotto, responsabile artistico del gruppo. All’incontro sarà presente anche Dorin Mihai che da due anni segue le attività del metodo e documenta fotograficamente e videograficamente le performance e lo sviluppo dei percorsi instaurati da questo particolare approccio.

Credits Foto © Dorin Mihai

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