C’è addirittura una corrente di pensiero, negli ambiti della critica musicale, che considera tutto l’attuale panorama della popular music ancora totalmente permeato dalle strutture e dalle canoniche stilistiche dei fraseggi emersi dalla cultura afroamericana nel primo novecento. Per quanto azzardata, l’idea, ha un fondo di verità inattaccabile. Le blue note sono ancora il principale espediente emozionale nelle canzoni contemporanee, il cavo ancestrale che segue la storia della musica degli ultimi cento anni. Anche nella nostra Valdichiana il genere ha una sua particolare potenza, acquisisce significati multilaterali, diventa una valvola interessante di espressione, anche per i ragazzi che lo suonano oggi. Torrita di Siena quest’anno sarà la “Capitale Europea del Blues”, ma ormai da più di vent’anni è un’istituzione, in Italia, per la valorizzazione di questa modulazione così antica, ma ancora così efficace per descrivere ed esprimere le tensioni delle nostre esistenze.
Nella Torrita del Blues nascono, crescono e soprattutto suonano, The Big Blue House, un progetto musicale molto maturo, sebbene sia appena uscito il loro disco d’esordio, e che verrà presentato proprio Sabato 12 Marzo al Velvet Underground di Castiglion Fiorentino. La voce e la chitarra di Danilo Staglianò, il basso elettrico di Luca Bernetti, le tastiere di Sandro Scarselli e la batteria di Andrea Berti, si congiungono in un lavoro veramente ben curato intitolato “DO IT”, le cui due prime tracce possono già essere ascoltate su SoundCloud (https://soundcloud.com/thebigbluehouseofficial).
Perché secondo voi si fa Blues nel 2016? Seguendo addirittura le forme old school del genere, senza troppe sfumature soul o r&b. Cosa rappresenta per voi questa espressione musicale oggi?
“Il Blues nel 2016 sta subendo una “riscoperta” molto interessante, sia culturale che musicale. Questa riscoperta è culturale perché si sente la necessità di un’analisi del passato per poter costruire un futuro dignitoso, e di conseguenza, riguardo al Blues, ciò si ripercuote sul discorso musicale. Per noi il Blues rappresenta il massimo dell’espressività; è la radice di ogni genere musicale, tra cui il rock con cui noi tutti siamo cresciuti. È un ‘espressione semplice e alla portata di tutti, ma allo stesso tempo molto complessa per le varie sfumature che il genere può assumere. È la forma musicale che più di tutte ci consente di raccontare cosa stiamo provando, le storie che abbiamo vissuto e stiamo vivendo, per quanto queste possano apparire scontate o insignificanti. Abbiamo sofferto, abbiamo gioito e questo genere ci è sempre stato accanto a confortarci o a gioire con noi.”
Qual è stato il percorso che avete fatto dalla vostra formazione alla pubblicazione di questo disco?
“Il nostro viaggio parte nel 2012 quando Danilo e Andrea si lasciano travolgere dalle pentatoniche, soprattutto da quelle che escono dalla chitarra di Steve Ray Vaughan. Non è stato facile l’approccio al Blues, ma allo stesso tempo è risultato naturale e incisivo. Il percorso della The Big Blue House ha origine nell’Aprile 2015 in formazione trio, con Sandro a svolgere il ruolo di pianista e bassista synth, durato fino ad Ottobre 2015, nel mese in cui entra a far parte della band Luca. Da allora il viaggio ha finalmente avuto una destinazione da raggiungere.”
Quanto è stato importante per voi il contesto musicale nel quale siete emersi? Avete partecipato a Effetto Blues, il concorso organizzato dall’istituzione del Torrita Blues, un’importantissima manifestazione per i fan delle pentatoniche minori; cosa ha significato questo per voi?
“Il contesto musicale è stato senza dubbio importante anche se nelle nostre zone vengono suonati per lo più altri genere musicali. Effetto Blues è stata un’esperienza molto interessante; il valore più importante è stato probabilmente quello di metterci in contatto con altre band provenienti da tutta Italia che si cimentano in questo genere. Da questo concorso poi, è scaturita la nostra presenza a Camigliano Blues 2015, in apertura alla Mimmo Mollica Band, un noto armonicista nel panorama italiano.”
Quali sono i vostri ascolti? Anche fuori dal Blues, oltre agli ovvi Vaughan, Gallagher, Clapton, ci sono influenze particolari nella ricerca del vostro suono?
“Oltre al Blues abbiamo ascolti musicali diversi fra noi: Danilo predilige l’ascolto di cantautorato italiano, reggae, hard-rock; Luca altri generi quali il funky, l’acid jazz e il rock; Sandro principalmente metal e hard rock ed Andrea punk/alternative. Per quanto riguarda il Blues i nostri ascolti principali sono rivolti ai nomi già citati nella domanda, anche se Buddy Guy ha svolto un ruolo importante per noi. insieme a lui la scoperta di Gary Moore, Joe Bonamassa, John Mayer – e questi sono solo alcuni nomi – hanno reso possibile l’utilizzo di fraseggi e suono molto ispiratori per noi. Il nostro sound è nato naturalmente, non c’è stata una cura esagerata. Il basso è molto presente per avere una presa “moderna” e di “stomaco” su ogni brano; la batteria ha un sound rock, che si accoppia alla grande con il basso, mentre il pianoforte e l’organo tendono ad addolcire la chitarra graffiante, creando una miscela per noi interessante.”
Passiamo a parlare del disco. Come si sono svolte le sessioni di registrazione? Dove avete registrato? Vi siete avvalsi di aiuti esterni o avete fatto tutti in proprio in pieno stile DIY?
“Le registrazioni si sono svolte con non poche sessioni di recording. Siamo partiti suonando live e tirando fuori incisioni di basso e batteria, per poi aggiungere chitarre ritmiche, seguite dalle solistiche, e parti di piano e organo, con lo stesso schema. La voce è stata l’ultima ad apparire nelle incisioni. Tutto il lavoro, a partire dalle incisioni al mastering, è stato svolto allo Stabbiolo Music di Sarteano, con la supervisione di Alessandro Cristofori. Abbiamo però sfruttato il più possibile la farina del nostro sacco. Eravamo preparati sui brani e ci siamo messi a lavorare sodo, comunque non disdegnando in alcun modo consigli utilissimi da parte di un professionista quale è Alessandro. E’ stato un lavoro lungo ma soddisfacente.”
Avete prediletto l’inglese per motivi tradizionalisti, legati alla storia del Blues. Secondo voi il blues in italiano è possibile? Cosa ne pensate del blues cantato nella nostra lingua?
Su questa domanda il gruppo ha opinioni contrastanti.
“Ad esempio Luca e Andrea pensano che sia possibile; il blues è anima. Per cui se un musicista ha una bella storia blues da raccontare ben venga un testo in italiano. Secondo Sandro, il blues cantato nella lingua italiana perderebbe quella malinconia e il mood che inevitabilmente gli accenti inglesi hanno, mentre Danilo preferisce non esprimersi in lingua italiana per quanto riguarda la musica che componiamo, questo perché risulterebbe troppo semplice e poco accattivante; al blues italiano preferisce quello in dialetto, come Pino Daniele, o Edoardo Bennato, e tantissimi altri…”
Adesso cosa possiamo aspettarci dalle vostre esibizioni live?
“Nelle nostre esibizioni presenteremo l’intero CD accompagnato da cover dei grandi del Blues, a partire da Muddy Waters, Buddy Guy, Steve Ray Vaughan, e tanti altri. Il gruppo sta crescendo ed è per questo che potrete aspettarvi sonorità più ricercate ed un sound molto più compatto; in poche parole monta più passione ed energia. Cercheremo di dare al pubblico quello che il Blues ha dato a noi; emozioni e sopratutto divertimento. Vi aspettiamo numerosi per la nostra prima data Sabato 12 Marzo al Velvet Underground a Castiglion Fiorentino!”
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