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“Pasapalabra”, a scuola di integrazione

“Pasapalabra”, a scuola di integrazione

Cosa può fare la scuola per l’integrazione, e come si può raccontare attraverso la cultura i cambiamenti sociali del mondo contemporaneo? Sono dei grandi temi, quelli affrontati nel cortometraggio “Pasapalabra” (trad. Passaparola) di Andrea Testini. Cinque minuti che fanno riflettere e che ci fanno capire che bastano pochi gesti per favorire l’integrazione e comprendersi a vicenda. Per migliorare il mondo, addirittura.

Ma andiamo con ordine: Andrea Testini, classe 1982, è un videomaker che vive a metà tra la Valdichiana e Barcellona. Originario di Montepulciano e Chianciano, dove ha vissuto e studiato prima di trasferirsi in Spagna a proseguire la formazione cinematografica, ha ricevuto numerosi riconoscimenti per “Pasapalabra”, soprattutto nei concorsi e nelle rassegne interessate ai temi dell’educazione e della solidarietà.

Mi sono subito interessato alla storia del cortometraggio, appena Andrea me l’ha raccontata: tematiche come l’integrazione, i modelli di apprendimento e di comunicazione, l’incontro tra le culture e le religioni, sono di importanza cruciale nella nostra epoca, anche quando non salgono agli onori della cronaca. Ho quindi incontrato l’autore per visionare l’intera opera (che ancora non può essere distribuita integralmente, perché per la partecipazione ai concorsi ha bisogno di rimanere inedita) e per farmi raccontare cosa l’ha spinto a narrare questo tipo di storia.

Foto Pasapalabra 10La trama di “Pasapalabra” è semplice, ma colpisce con forza fin dalla prima visione. In una scuola occidentale, dei bambini stanno giocando al “telefono senza fili”; l’ultimo della fila è Yassin, il bambino musulmano di origine marocchina preso in giro dalle bambine occidentali. La prima della fila, a cui compete il potere di stabilire la frase da ripetere alle orecchie degli altri compagni con il passaparola, sceglie “Sono un terrorista”, in modo da fargli fare brutta figura. Tutti i bambini ripetono la frase, alcuni divertiti, altri controvoglia. Solo il penultimo bambino decide di spezzare il circolo e di mentire, cambiando la frase: sussurra all’orecchio di Yassin “Sono bello”. Il bambino crede così che la prima della fila volesse dichiarare il suo amore, lo ripete ad alta voce alla classe e corre a darle un bacio sulla guancia. Una trama semplice, lo ripeto, ma di fortissimo impatto per tutti i significati che porta con sé.

“Pasapalabra” è un cortometraggio prodotto da Estudio de Cine di Barcellona; Andrea Testini ha curato la regia e la sceneggiatura, e quando la casa di produzione l’ha selezionato, ha messo a disposizione materiale audiovisivo professionale e spazi per il casting con attori già abituati alle macchine da presa. Le scene sono state girate in un collegio alla periferia di Barcellona, nel Giugno 2015; le musiche sono di Giulia Y Los Tellarini, famosi per le loro colonne sonore in alcuni film di Woody Allen.

Il cortometraggio ha già ricevuto premi, apprezzamenti e prestigiosi riconoscimenti; “Pasapalabra” è stato selezionato al MetropoL’his Festival di Barcellona nella categoria dedicata al cinema solidale dove ha vinto il secondo premio, all’Human Rights Film Festival di Barcellona, Parigi e New York, al CineFest di Los Angeles. Inoltre è stato inserito nelle rassegne Educa Solid Gandia, Valetudo Short Film Tour, Abycine Festival Internacional de Albacete, Ko&Digital Barcellona, Art Film Children’s Festival International Bogotá, Seminci Festival Internacional de Valladolid e la lista è in continuo aggiornamento.

Andrea, complimenti per i risultati che il tuo cortometraggio sta riscuotendo. Come ti è venuta l’idea della trama?

AT: “Volevo affrontare temi di attualità: immigrazione e integrazione, l’incontro tra le culture. Ci sono stati i casi recenti della Siria che mi hanno fatto pensare. Si parla spesso del problema di integrazione del popolo musulmano che risiede in Europa, delle difficoltà vissute dalle seconde generazioni, ed era un argomento che volevo affrontare nel cortometraggio. Mi sono anche ispirato agli episodi di terrorismo recenti, quella è stata la scintilla per parlare di integrazione, educazione e comunicazione. Ho cercato di dare un punto di vista personale su quella che dovrebbe essere la maniera di affrontare il problema. Credo che per migliorare l’integrazione serva più educazione nelle scuole, conoscere e accettare l’altro senza mortificare le culture diverse dalla nostra, senza generalizzare o demonizzare come spesso viene fatto dai media o dalla politica.”

In questa storia ho visto anche una forte critica verso il potere dei media e dei politici. La bambina all’inizio della fila ha il potere di scegliere il messaggio, tutti gli altri bambini sono gli utenti che lo condividono più o meno volentieri, rischiando di far subire gli effetti di questo potere ai soggetti più indifesi. Ma ognuno di noi ha la possibilità di ribellarsi a questa catena, di spezzare il circolo, di evitare la diffusione della disinformazione. Che ne pensi?

AT: “Effettivamente è una lettura che ci può stare. Io l’ho sempre vista come una metafora, il dieci per cento della popolazione che ha il coraggio di non accettare la lettura dominante, di spezzare il ciclo. Non si può credere che i musulmani siano tutti terroristi, come non si può accettare una guerra, decisa in gran parte per gli interessi di alcuni potenti. Le persone non dovrebbero accettare passivamente il pregiudizio. Il passaparola è su tutto, funziona così: le persone sono passive nei confronti della lettura dominante, finché non si spezza il ciclo grazie a chi ha un minimo di pensiero critico.”

pasapalabra 1Hai scelto di continuare la tua carriera da videomaker in Spagna, anche se hai vissuto per anni a Montepulciano e Chianciano. Perché questa scelta?

AT: “Uno dei motivi per cui mi sono trasferito a Barcellona è perché c’è terreno fertile per poter portare avanti progetti culturali, d’altronde è una grande città. Eppure la cultura che abbiamo qui nella nostra zona, in Toscana e in Italia in generale, molti se la sognano. Sia come tradizione che di formazione, siamo messi bene, il livello è molto alto. Però mancano le opportunità date dalle nuove tecnologie, dal coraggio di sperimentare o dai maggiori fondi presenti nelle grandi città. Da noi non ci sono strutture di formazione specializzate nel settore audiovisivo, ma qui è normale, siamo in campagna. Eppure credo che neanche Roma, Milano e Firenze siano in questo momento al livello di Barcellona: in Spagna hanno fatto grandi passi avanti nei centri educativi a livello tecnologico.”

Quali sono i tuoi progetti futuri dopo questo cortometraggio?

AT: “Mi piacerebbe portare “Pasapalabra” anche in Italia, magari a qualche festival e raccogliere i frutti di tanto lavoro. Sarebbe bello proiettarlo anche in Valdichiana, il prodotto merita diffusione. Anche nei Paesi anglofoni sta andando bene e stiamo pensando di fare i sottotitoli in francese e in italiano. Sto anche lavorando ad altri progetti, sempre a tema sociale, che affrontano argomenti importanti per la cultura attuale: per esempio il documentario “Le città invisibili”, basato sul romanzo di Calvino, sui malati e i senzatetto nelle grandi città è un lavoro che sta circolando già da un paio d’anni in tutto il mondo. Ma il sogno per il futuro sarebbe poter girare un film qui nella mia terra.”

Mi sembra di capire, quindi, che per te il ruolo dell’industria culturale sia molto importante nella società, giusto?

AT: “Certo che sì. La cultura è imprescindibile. Non puoi tagliare fondi alla cultura come non puoi tagliarli alla sanità, sono fondamentali, allo stesso livello. Nel caso specifico dell’integrazione, anche il cinema può contribuire a sensibilizzare l’opinione pubblica, insegnare a vedere il mondo con nuovi occhi. Per far sì che questo accada, bisogna iniziare dalle scuole. L’arte e la cultura possono diventare uno strumento politico.”

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