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Per un nuovo modello di sviluppo: l’inversione del paradigma urbano

Per un nuovo modello di sviluppo: l’inversione del paradigma urbano

Ospitiamo il contributo di Lorenzo Conoscenti, studente di architettura dell’Università di Firenze e ex studente dei licei poliziani. Questa riflessione prende spunto dal corso di sociologia per l’architettura per immaginare un nuovo modello di sviluppo urbano, anche per la nostra provincia.

L’emergenza COVID-19 ha posto in evidenza dei problemi cronici del nostro modello di sviluppo urbano e sociale. Gli indicatori parlano di disuguaglianze in forte aumento e di una crisi senza precedenti per il mondo globalizzato. D’altra parte nell’immaginare il futuro, ritengo che solo per un tempo limitato il nostro stile di vita verrà modificato. Ragionando per assurdo, anche nella più pessimistica ipotesi di una durata dell’emergenza di cinque anni per esempio, questi, letti nel tempo della storia e della società, non sono altro che un breve incidente di percorso. L’umanità tende a dimenticare, ad archiviare i suoi traumi e non sempre ad imparare. L’uomo del nostro tempo, pur desiderando la calma, corre per natura, vive di ritmi frenetici. Ed ecco che in breve si ritornerebbe alla normalità precedente.

Pur in questa consapevolezza, la mia giovane età e i miei studi volti alla progettazione architettonica e urbana e quindi necessariamente proiettati sul tempo futuro, mi impongono di immaginare un’alternativa alla “a-normalità” che ci ha sin qui condotto. Un modello nuovo di sviluppo territoriale e quindi sociale ed urbano, che faccia tesoro dei limiti evidenziati dall’emergenza e dal lock down e che sappia anche assolvere a esigenze ambientali pregresse, che prescindono la questione sanitaria attuale e che probabilmente riguardano un arco temporale ancora più lungo rispetto a quello dell’immediato futuro di convivenza con il virus. Peggio di una crisi esiste infatti solo sprecare l’opportunità di miglioramento che una crisi offre. Sarebbe quindi poco lungimirante ragionare di soluzioni a cinque anni, senza considerare il lungo termine e scenari più strutturanti.

Il lockdown ha segnato una netta vittoria delle campagne sulle affaticate e inadeguate città, ha messo in luce una nuova “comodità urbana” che non sta tanto nei tradizionali servizi dell’urbano, ma nella disponibilità di spazio aperto. La creazione di grandi aree verdi, di vere e proprie infrastrutture vegetali, corridoi, assi di penetrazione della campagna all’interno delle città è già da qualche anno un approccio ormai diffuso nella progettazione urbana e ben assolve alle necessità di distanziamento sociale e di fruizione dello spazio aperto nonostante situazioni di emergenza come quella attuale. Estendendo questo stesso ragionamento alla scala territoriale appare quindi auspicabile un’inversione dell’attuale paradigma urbano: le città non devono più estendersi all’infinito, ma piuttosto essere decongestionate, contenute, farsi limitare dalle campagne, tramutarsi in “punti” nel territorio, in un’ottica policentrica, a creare delle vere e proprie “costellazioni urbane”. Ciò implica il recupero e il ripopolamento di vaste aree rurali abbandonate o scarsamente abitate, di borghi dimenticati, nell’ottica di una nuova cura capillare del territorio, che può avvenire mediante l’infrastutturazione del territorio e la creazione di collegamenti rapidi tra centri minori e centri maggiori.

Pur immaginando infatti un implemento del telelavoro e quindi la possibilità di intraprendere attività agricole secondarie, che collaborino alla cura del territorio, da parte di questi nuovi abitanti 2.0 delle campagne, il collegamento alle città rimane fondamentale: le occasioni di mescolanza, di contaminazione culturale, sociale e lavorativa sono ciò che rende le città degli organismi essenziali al vivere dell’uomo da migliaia di anni. Immaginare però questo rapporto osmotico di scambio continuo tra città e territorio limitrofo e tra città e città attraverso il territorio, creerebbe un decongestionamento dei centri urbani, un recupero del patrimonio storico-rurale in abbandono, e un reciproco arricchimento in termini di competenze, saperi e tradizioni tra città e campagna. Ecco quindi che policentrismo, costellazioni urbane e pendolarismo diffuso appaiono come chiavi di interpretazione di una nuova dimensione territoriale nell’era post Covid-19, alla ricerca di un maggior benessere sociale, di un livellamento delle disuguaglianze, che la riscoperta del patrimonio dimenticato può ancora garantire, e di una riduzione dei rischi idrogeologico e sismico del nostro fragile territorio, mediante una ritrovata antica armonia tra uomo e natura.

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