Storia della pesca antica nelle acque dei laghi della Valdichiana e del Trasimeno
La storia della pesca coincide con la storia dell’uomo e quella dell’uomo coincide con la storia dell’amo. I primi ami pare fossero di legno. Gli indiani d’America li ricavavano dagli artigli del falco e dal becco delle aquile, già naturalmente ricurvi. Con la scoperta di nuovi materiali, anche l’amo muto, comparvero così nel 4000 a. C. circa gli ami in rame, poi quelli in bronzo e infine gli ami in ferro.
Nella preistoria, la pesca, con la caccia e la raccolta spontanea è stata un’attività primordiale dell’uomo. Già nel paleolitico gli uomini si cibavano di pesci, come dimostrato dai resti di pasti ritrovati. Una prova è considerata una scultura su osso, proveniente dalla famosa caverna de la Madelaine in Dordogna (Francia) che rappresenta un uomo con un arpione sulla schiena. In quasi tutte le località dove sorgevano villaggi su palafitte sono stati trovati reperti che provano come circa 6000 – 3000 anni fa, anche l’arte della pesca fosse molto sviluppata. In molti luoghi i reperti hanno conservato un ottimo stato grazie al substrato geologico, cosi è stato possibile ritrovare non solo ami di corno di cervo, zanna di cinghiale o di bronzo, arpioni di osso, frecce, lance ma persino resti di reti da pesca ed è curioso constatare come i nodi usati fossero uguali a quelli attuali mentre per sostenere le reti in acqua si usavano galleggianti fatti di corteccia d’albero e per tenderla dei pesi di terracotta.
Di questo periodo, va ricordato che sulle rive del lago Trasimeno, presso la località “La Valle” di San Savino, di notevole interesse sono stati i rinvenimenti archeologici di un insediamento di pescatori riferibile all’Età del Bronzo recente-finale (1.350 -1.000 a.C.).
La pesca al tempo degli Etruschi e dei Romani
Tra le testimonianze e i reperti archeologici etruschi pervenuti su questa pratica si possono annoverare i pesi da rete in argilla o in pietra a forma discoidale con foro centrale, ami e aghi in bronzo usati per riparare le reti, un frammento di brocca d’impasto di Veio (VII sec. a. C.), dove è raffigurata un’imbarcazione con vela e remi dalla quale sporge un arpione che infilza un pesce; alcune scene di pesca compaiono nelle necropoli di importanti città della dodecapoli etrusca. Tra le più affascinanti, va citato il dipinto raffigurante una battuta di pesca tratteggiata nella Tomba della Caccia e della Pesca di Tarquinia, qui con vivace maestria, si ammira una scena di pesca con la lenza e con la fiocina.
Localmente, in epoca etrusco-romana era importante la pesca praticata nelle acque dolci di fiumi e corsi d’acqua a lento deflusso come il Clanis in Valdichiana e nel lago Trasimeno. L’attività veniva praticata con la lenza o la rete (filum), quest’ultima, realizzata in filo di lino, poteva essere a strascico (tragum), a lancio (iaculum) o a “posta fissa”. La pesca a “posta fissa” era sia attiva che passiva. Nella prima si ricorda da parte di alcuni che le reti venissero distese durante il giorno a semicerchio, sopratutto lungo le rive e in prossimità dei canneti, per poi spingervi i pesci rumoreggiando nell’acqua con pietre, bastoni o remi. Nella pesca passiva le reti erano invece calate durante la notte, legate le une alle altre e raccolte al mattino con le prede rimaste impigliate durante i loro movimenti erratici notturni.
Tra i siti e reperti archeologici, si ricorda in Valdichiana, il porto Etrusco di Brolio di Castiglion Fiorentino, del verosimile Porto Etrusco-Romano di Clusium a Chiusi Stazione e vari reperti ceramici etruschi ritrovati presso la darsena del Club Velico di Castiglione del Lago e alcune monete romane dell’imperatore Claudio presso l’Emissario di San Savino.
(continua…)
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