Dopo la presentazione del Burundi da un punto di vista antropologico, vi proponiamo anche uno sguardo sul Burundi oggi, da un punto di vista sociale e politico, in previsione dell’evento che si terrà domenica 28 giugno presso il centro visite “La Casetta” al Lago di Montepulciano.
La situazione politica e sociale del Burundi negli ultimi tre mesi è tutt’altro che facile, ed è andata solamente aggravandosi: dallo scorso Aprile, infatti, il paese africano sta vivendo tensioni continue, da quando il presidente Pierre Nkurunziza ha annunciato di candidarsi per un terzo mandato, considerato incostituzionale, perché non rispetta gli accordi di Arusha stipulati tra Hutu e Tutsi nel 2000, fatti con il proposito di porre fine alla sanguinosa guerra civile durata sette anni e con gravissime conseguenze in termini di perdite umane – più di 300.000.
Questi accordi erano stati peraltro firmati da Nkurunziza stesso, quando era a capo di un gruppo di ribelli a maggioranza Hutu, e da Pierre Buyoya, che era il presidente del Burundi e facente parte dei Tutsi.
L’elezione di Nkurunziza, però, non ha portato all’equilibrio e alla pace tra le due etnie che ci si aspettava, perché quest’ultimo ha più volte mostrato, nel corso degli anni, un’insofferenza verso la componente di Tutsi nelle istituzioni governative, cercando più volte di eliminarle. Inoltre, i suoi sostenitori, soprattutto quelli più giovani, hanno più volte mostrato una preoccupante deriva squadrista, organizzandosi in gruppi armati, riportando la memoria agli orrori e ai massacri del passato.
Secondo la Costituzione del Burundi e i già citati accordi di Arusha, ogni presidente può essere eletto per massimo due mandati, ciascuno della durata di cinque anni, mentre Nkurunziza ha deciso di andare contro la Costituzione, candidandosi per un terzo mandato.
Il limite di mandati per un presidente non è una caratteristica solamente del governo burundese, anzi, caratterizza anche le costituzioni di altri paesi africani, in modo tale che non si degeneri verso una presidenza-dittatura di durata decennale, come successo più volte in Africa. E non è la prima volta che un presidente, giunto al termine di due mandati, tenti di modificare la Costituzione a suo personale vantaggio, come sta succedendo per esempio in Rwanda, dove il dibattito sull’eliminare questa norma è in corso, o come potenzialmente potrebbe succedere nel Congo nel 2016.
Chi difende l’attuale presidente burundese, leader del partito Consiglio Nazionale per la Difesa della Democrazia, sostiene che il primo mandato – quello dal 2005 – non sarebbe da considerarsi un mandato regolare, ma un mandato straordinario che aveva lo scopo di guidare il paese verso la democrazia al termine del conflitto. Per cui, stando alla loro difesa, Nkurunziza si starebbe solamente e regolarmente candidando per la seconda volta.
Nella storia del piccolo paese africano ci sono stati molti problemi di carattere etnico, come detto poco sopra, ma in questo caso, come si può notare, la questione è unicamente e solamente politica, dato che le proteste successive a questa decisione sono arrivate sia dagli Hutu che dai Tutsi, indistintamente.
Da mesi si protesta per fermare Nkurunziza, per ora e purtroppo senza molti risultati, e non sono mancate vittime, tra cui il leader dell’opposizione Zedi Feruzi, e un colpo di stato fallito. Inoltre, almeno 100.000 burundesi sono fuggiti dal paese, cercando rifugio nella vicina Tanzania.
L’emergenza, oltre che essere politica, sta diventando anche una grave emergenza umanitaria, e la comunità internazionale ha iniziato a muoversi – o a prendere coscienza della gravità della situazione – in maniera piuttosto tardiva, chiedendo a Nkurunziza di ritirare la sua candidatura: il governo, però, ha rispedito ai mittenti l’invito a ritirare la candidatura, affermando che il governo “non negozierà e non discuterà le questioni che tendono a minare le sue istituzioni”. La Francia, dal Maggio scorso, ha interrotto qualsiasi collaborazione con il Burundi, e altri paesi hanno sospeso i finanziamenti alle elezioni politiche del paese. Di conseguenza, il governo burundese ha iniziato a chiedere il finanziamento per le elezioni direttamente ai cittadini.
Le elezioni si terranno il prossimo 29 giugno, in un clima di crescenti proteste e tensioni.
A Bujumbura gli scontri tra manifestanti e forze armate continuano, con nuove vittime, e la paura e il terrore stanno schiacciando la popolazione. Non solo, anche il settore dell’informazione è vittima di violenze: dopo il fallito colpo di stato, numerose radio locali e indipendenti, come Radio Bonesha, Radio Radio Publique Africaine o Radio Isanganiro, sono state vittime di atti vandalici e non hanno più ripreso le trasmissioni da allora.
Anche l’incolumità dei giornalisti è in grave pericolo, visto che le minacce di morte, sms e telefonate minatorie sono all’ordine del giorno. Secondo l’Agenzia Fides, gli unici a fare propaganda politica sono solo i partiti vicini al governo, mentre l’opposizione sceglie il silenzio, per non alimentare ulteriormente il clima di tensioni e scontri. L’unica speranza è che da qui al 29 giugno la situazione non peggiori ulteriormente, aggravando la condizione della popolazione, unica vera e grande vittima di questa vicenda politica e voluta per gli interessi personali di una sola persona.