Pubblichiamo la terza e ultima parte dello scritto inviatoci dal lettore Simone Capitini – che ha fatto parte del Gruppo Sbandieratori e Tamburini – in cui ci racconta memorie e impressioni di questo grande evento.
Continua da “Quelli dell’Androne – Seconda parte”
Prima parte: “Quelli dell’Androne – Prima parte”
Ciò che viviamo, infatti, non è una delle tante domeniche di una qualunque città in festa, non è una passeggiata buona solo a gratificare il “senso dell’appoarire”, quello che facciamo gratifica al contrario un valore che forse rimane sconosciuto a molti: il “senso dell’appartenenza”. L’appartenenza a una città e alle sue tradizioni, l’appartenenza a una comunità e alle sue radici, quelle poliziane; ma soprattutto l’appartenenza a un gruppo di persone che più che amici si riscoprono fratelli, divisi nel colore e uniti nello stesso sogno. E non importa se ad emergere sono anche scontri o dissapori, perché il bello delle cose lo si può ritrovare solamente nell’esatto equilibrio che le rende uniche: il giusto e lo sbagliato, il bene e il male, l’amore e l’odio. Non è possibile, infatti, conoscere la pienezza dell’uno senza essersi mai imbattuti duramente nella durezza dell’altro.
Ma la cosa più straordinaria è sicuramente il modo con cui tutto ciò si manifesta; un modo inaspettato, forse banale e proprio per questo quasi sconcertante, ma da sempre si ripete uguale e ogni volta sempre vero: è il formarsi di quel fastidioso nodo che chiude la gola alla voce quando, stringendoti la mano, stai per dire “in bocca al lupo”.
E mentre rimani lì a misurare il tempo con la tensione per mano e l’angoscia dell’attesa di fianco, diventa inevitabile chiedersi se sia veramente indispensabile che tutto ciò debba ripetersi ogni volta, ogni ultima domenica di agosto.
Ma ora non c’è più bisogno di domandarlo, adesso è tutto chiaro. È per mantenere una promessa fatta tanti anni prima. Per non spezzare i sogni ancora in volo di chi, con gli occhi dell’ingenuità, guardava sfilare quelle figure che sembravano i supereroi dei cartoni animati e con il desiderio di diventarlo anche lui un giorno per gli altri. È perché quella promessa, rinnovata ogni anno, possa spargere i suoi semi così che in ogni angolo di strada possano nascere nuovi eroi.
È per tutto questo e molto altro ancora, ma soprattutto perché è grazie a tutto ciò che si diventa consapevoli che è molto più nobile non tradire il bambino per l’uomo.
Ed è proprio nel momento in cui quel nodo ti ha serrato definitivamente la gola dopo quell’ultima stretta di mano, seguita da un “in bocca al lupo” quasi gridato, proprio nel momento in cui ti avvii quasi esausto a ripeterti ancora per l’ultima volta ogni singolo movimento, comprendi l’ultima grande verità: che prima ancora della gara, prima della sfida, prima di quella sana ed elettrizzante scarica di adrenalina che solo il puro senso di competizione ti sa dare, c’è soprattutto una storia. Una storia vera, sincera ma soprattutto leale: una storia di amici, di rivali, di confronti e di contrasti, di delusioni scottanti e di traguardi duramente conquistati. Una storia che sta per essere raccontata nel breve arco di tempo offerto da una misera manciata di minuti e da recitare di fronte ad una Piazza, una Piazza che ti appartiene ma soprattutto alla quale senti profondamente di appartenere. Ecco perché ogni movimento deve esser perfetto, ecco perché tutto deve finire alla perfezione: in quel momento stai raccontando la tua storia.
Un minuto, un minuto ancora, manca poco. E mentre stai lì a misurare a gocce la tensione che provi, e come te tutti i tuoi compagni, ti porti dentro la furia del vento: un anno hai atteso con il fegato in mano il momento in cui ti saresti di nuovo confrontato con quelle emozioni, quelle sensazioni, quelle paure che ti bruciavano dentro da troppo tempo.
Un ordine dalla radiolina, un boato che esplode improvviso, il portone che si apre piano, un’onda di luce di fronte alla quale non puoi che abbassare con una timida reverenza lo sguardo e poi è questione di un attimo. Tu che diventi piccolo e tutto il mondo intorno.
Ma adesso non c’è più posto per scuse o compromessi, adesso non sono ammesse distrazioni, adesso non sono ammessi errori. Perché oggi non è una domenica qualunque: oggi è l’ultima domenica di agosto.
Adesso c’è posto per un solo e unico pensiero: “Forza e Onore, ora tocca a noi scatenare l’Inferno”.
Simone Capitini
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