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Racconti di Veglia: la Grotta Lattaia di Cetona

Racconti di Veglia: la Grotta Lattaia di Cetona

(articolo a cura di Igor Abbas, Massimiliano Minotti e Alessio Banini)

“Mia nonna ci andava a pregare, a quei tempi molte donne ci andavano a chiedere la grazia di avere il latte”

La Grotta Lattaia di Cetona, all’interno del Parco Archeologico Naturalistico di Belverde, è conosciuta fin dall’antichità. Gli scavi archeologici hanno permesso di ritrovare oggetti votivi di una credenza magico-religiosa che è durata fino a pochi decenni fa, e di cui molti abitanti della zona possono portare testimonianze dirette: se le giovani durante il periodo di gravidanza e dell’allattamento avessero bevuto l’acqua che gocciolava dalle stalattiti del soffitto, avrebbero sicuramente avuto abbondanza di latte.

Una credenza antica, legata all’aumento della secrezione del latte, che dall’Uomo di Neanderthal arriva fino al Novecento, con giovani donne che si recavano alla Grotta Lattaia di Cetona per sfruttare le sue qualità magiche. Attraverso i ricordi delle persone che abbiamo intervistato, abbiamo trovato tracce di questa credenza risalenti al 1923:

“Mia mamma partorì mio fratello, però non le scendeva il latte. – ci racconta un’anziana signora – C’era un uomo che abitava vicino, che conosceva queste tombe nella montagna di Cetona, le disse che ce n’era una che faceva miracoli, ma era difficile trovarla perché ce n’erano tante. Allora dopo un po’ di giorni tornò a casa nostra e disse a mia mamma che aveva trovato una tomba, però era lontana e profonda, e che se voleva andarci doveva portare anche il marito e una corda tanto lunga, per non perdersi.”

Secondo il racconto, all’interno della Grotta Lattaia di Cetona si potevano trovare tanti cimeli preziosi e offerte, lasciate dalle donne che erano andate a chiedere la grazia del latte.

“Chi ci andava doveva lasciare un pensierino, un’offerta. Il corridoio era lungo e buio, ma quando arrivavi alla grotta c’era una luce. Dentro c’erano come delle mammelle da cui gocciolava il latte, però in terra era tutto asciutto. Mia mamma si mise lì sotto a bocca larga, a prendere quelle gocce. Ci andò un paio di volte e le bastò, tornò a casa e riprese il latte per mio fratello.”

Ma quanto c’è di vero in questa credenza, che affonda le sue radici nella sacralità femminile della preistoria, e che può assomigliare a quella di tante altre fonti magiche? Le testimonianze che abbiamo raccolto confermano la perseveranza di queste leggende popolari fino ad anni recenti, legate ai riti propiziatori della maternità e della fertilità.

Testimonianze e diffusione

La Grotta Lattaia, chiamata anche Buca Lattaia o Tomba Lattaia, è un’ampia cavità carsica che si apre sul fianco orientale del Monte Cetona. È inserita all’interno del Parco Archeologico Naturalistico e Archeodromo di Belverde, che da alcuni anni permette di effettuare visite guidate. Come conferma Maria Teresa Cuda, direttrice del Museo Civico per la Preistoria del Monte Cetona, il nome deriva proprio dalla credenza popolare che l’acqua di stillicidio avesse la proprietà di favorire la secrezione di latte (Hintial: il Sacro in terra d’Etruria, Edizioni dell’Assemblea, 2009).

La prima segnalazione delle capacità soprannaturali della Grotta Lattaia si deve a Giorgio Santi, Professore di Storia Naturale dell’Università di Pisa, che così scrisse nel 1798 a margine di un viaggio in terra senese:

“Ci si vantavano in Cetona le maraviglie di una grotta naturale situata a due miglia lontano sulla cima di un poggio, e conosciuta sotto il nome di Tomba Lattaja. Vollemo dunque ancor noi veder queste meraviglie. Trovammo da prima una Caverna assai spalancata, che serve di vestibulo ai penetrali meravigliosi. Si passa in questi per mezzo di una buca angustissima, descendente, tortuosa, umida, sdrucciolante, e sudicia, per cui io malagevolmente, e non senza pericolo di rompermi le ossa m’insinuai scortato da guida con torcia accesa. Cosa dentro altro non viddi, che Stalattiti calcarie grossolane attaccate, e sospese alla volta di una grotta, ove non penetra mai la luce del giorno, e sul pavimento Stalammiti più grossolane ancora, le quali talvolta vengono a riunirsi colle Stalattiti superiori. E perché queste Stalattiti pendenti son spesso tondeggianti, terminate in punte quasi capezzoli, per cui stilla a goccie a goccie l’acqua, in una parola alquanto simili a dell’enormi mammelle, si è a questa grotta applicato il nome di Tomba lattaja.”

La Grotta Lattaia venne esplorata dall’archeologo perugino Umberto Calzoni nel 1939, periodo a cui risalgono i primi scavi. Come ricorda Angelo Molaioli (Cetona: ricordi per il futuro, Edizioni Emmecipi, 2006), al suo interno vennero raccolte ingenti quantità di rottami di stoviglie, armi, oggetti ornamentali, utensili, ossa di animali e resti di scheletri appartenuti agli abitanti di un vero e proprio villaggio della civiltà del Bronzo, quasi quattromila anni fa.

La frequentazione a scopo di culto della Grotta Lattaia è documentata con certezza già a partire dal III secolo a.C., grazie al ritrovamento durante gli scavi di vasetti in miniatura ed elementi anatomici in terracotta rappresentati da piedi e mammelle. Sono inoltre stati rinvenuti frammenti di statue collegati ai riti della fecondità, rappresentanti donne che allattano o tengono fra le braccia un bambino. Oltre ai reperti di epoca tardo-etrusca, sono stati rinvenute monete, medagliette e statuette votive di epoca più recente, che testimoniano la persistenza dei culti.

Anche se non necessariamente a scopo di culto, tuttavia, la frequentazione della Grotta Lattaia di Cetona è addirittura più antica: gli scavi hanno messo in luce materiali preistorici che attestano una utilizzazione sporadica durante il Paleolitico. Gli uomini di Neanderthal probabilmente la usarono come rifugio occasionale, così come gli orsi della zona. A partire dal Neolitico alcune cavità del Monte Cetona vennero usate come luogo di sepoltura per i defunti, e nella successiva Età del Bronzo si attestano le prime tracce di raccolta delle acque a scopo rituale (La preistoria del Monte Cetona, Lucia Sarti e Fabio Martini, Edizioni All’Insegna del Giglio, 1990).

grotta lattaia cetona

La Grotta Lattaia di Cetona non è l’unica di questo genere: la sacralità dell’acqua connessa all’allattamento trova un’ampia diffusione di fonti lattaie, chiamate anche sorgenti galattofore o, in Toscana, Pocce Lattaie:

Quest’ultima denominazione, diffusa in tutta la Toscana, è riferita sia alla forma della stalattite che ricorda vagamente il seno, sia al liquido lattescente (per la grande quantità di carbonato di calcio) che scivola lungo la stessa e si deposita all’interno della concavità originata dalla caduta della stessa goccia che erode len­tamente la pietra sottostante. Alcune credenze popolari affermano, inoltre, che se la goccia non si limita a scendere lungo la stalattite ma scivolando forma una ser­pentina seguendo un percorso di rotazione intorno alla stessa, l’acqua risulta ef­ficace non solo per l’allattamento, ma anche per varie altre patologie.” (Antonio Sigillo, 2010)

Fonti o sorgenti simili possono essere trovate in Val d’Orcia, nel Comune di Pienza, dove le offerte votive testimoniavano una frequentazione fino agli anni ’60 delle cavità naturali in località Pianoia. A Reggello si trova invece la Fonte Lattaia di Sant’Agata, che secondo la tradizione favoriva la formazione del latte materno: anche in questo caso, si attestano frequentazioni fino agli anni ’60 da parte di partorienti e familiari per riempire bottiglie d’acqua, perché la consuetudine voleva che le mamme potessero andare a bere o lavarsi direttamente alla fonte solo se era passato un mese e mezzo dal parto.

Un altro esempio può essere trovato a Monterchi, in Valtiberina, dove il culto dell’acqua legato alla maternità è stato d’ispirazione a Piero della Francesca per il dipinto “La Madonna del Parto”. Anche in questo caso la leggenda popolare indica che le donne non più in grado di allattare avessero recuperato latte a sufficienza dopo aver bevuto le acque dotate di particolari proprietà. Altre sorgenti, grotte o fonti sono diffuse in provincia di Arezzo, in luoghi ritenuti sacri in epoca arcaica dalla popolazione, divenuti poi santuari o chiese in epoca cristiana.

Le leggende che ruotano attorno alle grotte sacre sono molteplici: per rimanere nelle vicinanze, possiamo citare le grotte della Madonna della Maestà di Ficulle. Secondo la leggenda, al loro interno venne ritrovata l’immagine di una Madonna con il bambino: portata nella Chiesa parrocchiale, sparì il giorno seguente e venne trovata nuovamente nelle grotte. La comunità ficullese decise di costruire un santuario nelle sue vicinanze, per venerare l’immagine della Madonna della Maestà, a cui nel corso del tempo sono stati attribuiti molti miracoli. Uno dei più tramandati a Ficulle è quello di una ragazza che non camminava e che, una volta ricevuta la grazia, lasciò nella chiesetta le stampelle di legno.

Caratteristiche ed analisi

L’ampia diffusione di fonti lattaie, come abbiamo appena visto, ha una tradizione molto antica. Credenze di origine pagane si intrecciano a superstizioni e sopravvivenze locali: laddove queste fonti rimangono radicate nella tradizione popolari, si possono trovare tracce e testimonianze anche in epoca molto recente.

Come spesso accade per le leggende popolari, si può pensare che alla base della credenza della Grotta Lattaia di Cetona ci sia un fondamento di verità. Siamo di fronte a un’esigenza che è stata sicuramente percepita come importante da parte delle nostre antenate: chi non aveva abbastanza latte materno per allattare il bambino poteva trovarsi in grosse difficoltà. Più che permettere alle donne a cui mancava il latte di ottenerlo magicamente, in assenza di analisi chimiche approfondite, la funzione delle grotte lattaie era probabilmente quella di sostenerle dal punto di vista nutrizionale (secondo l’Associazione Italiana Consulenti Professionali in Allattamento Materno, c’è una percentuale bassissima, addirittura inferiore al 5%, di reale mancanza di latte: si tratta di situazioni anatomiche rarissime).

Il riferimento religioso è altrettanto interessante della spiegazione scientifica. La sacralizzazione della fertilità femminile e della maternità è uno dei primi culti dell’umanità, che si dirama in una serie di credenze sacre relative alla “Grande Madre”. Si tratta di una divinità femminile primordiale, venerata già dal paleolitico nelle civiltà di cacciatori-raccoglitori e nel neolitico, nelle civiltà di agricoltori e allevatori. La Grande Madre o Dea Madre incarnava il principio femminile dei cicli naturali e cosmici, la nascita e la fertilità. Numerose statuette votive chiamate “Veneri paleolitiche” sono state trovate in Asia e in Europa, a testimonianza della grande diffusione. Il culto, legato al ciclo della nascita-morte-rinascita, era quindi alla base del ciclo naturale dell’agricoltura e all’alternarsi delle stagioni. Viene anche associata alle divinità lunari, ai cicli astronomici e a quei culti che fanno riferimento alle società matriarcali.

La sacralizzazione della maternità ha fortemente influenzato anche le divinità delle epoche successive, tanto che possiamo trovarne riferimenti nella mitologia greca, celtica, baltica e non solo. Le caratteristiche sacre della Grande Madre si moltiplicarono in divinità successive in varie civiltà, con culti dedicati alla fecondità materna, alla fertilità dei campi, all’amore sensuale o alla caccia.

Anche la religione cristiana, arrivata successivamente ai culti preesistenti, ha preso ispirazione: la madre è diventata la Madonna, raffigurata nell’atto di allattare Gesù bambino. Opere di questo tipo si trovano, oltre alla già citata Madonna del Parto di Monterchi, anche nelle immediate vicinanze della Grotta Lattaia di Cetona: il ciclo di affreschi del XIV secolo, nella chiesa di Santa Maria in Belverde, rappresenta proprio una Madonna che allatta il Bambino, un evidente richiamo ai culti precedenti, o perlomeno alle credenze popolari della zona.

Influenze nella cultura pop

Il culto della Grande Madre gode di una vastissima letteratura, e tanti riferimenti possono essere trovati nelle sue più varie diramazioni nel contesto attuale. In questa sede ci limitiamo quindi a riportare alcuni esempi che possono avvicinarsi maggiormente agli approfondimenti fin qui trattati, anche se non esattamente riconducibili al tema della grotta lattaia.

Partendo dai videogiochi non possiamo che citare Tomb Raider, in cui fin dal 1996 l’archeologa Lara Croft vive avventure mozzafiato in giro per il mondo. Tra le esperienze soprannaturali e le tante grotte esplorate nel corso della serie, citiamo la Sorgente Divina, le cui acque leggendarie sono in grado di donare la vita eterna.

Passando al cinema, ci soffermiamo su uno dei più famosi film d’avventura diretti da Steven Spielberg, ovvero Indiana Jones e l’Ultima Crociata. È proprio in un’antica grotta che l’archeologo trova il Santo Graal, capace di guarire le ferite di chi lo beve, dopo aver superato terribili prove.

Sempre in ambito cinematografico, citiamo la trilogia horror delle tre madri di Dario Argento, in cui le “antiche madri” sono rivisitate nella chiave più oscura. Nei film Suspiria (1977), Inferno (1980) e La terza madre (2007), la triade composta da Mater Suspiriorum, Mater Tenebrarum e Mater Lacrimarum diventano delle figure negative e terribili, a capo di sette stregonesche capaci di manipolare gli eventi su scala globale. La conclusione la affidiamo alla colonna sonora dei Goblin!


Disclaimer“Racconti di veglia” è una rubrica che vuole stimolare l’interesse sul folclore locale e sulle storie popolari della Valdichiana, con piccole analisi e collegamenti alla cultura di massa. L’intento è quello di tramandare la memoria orale delle “Veglie” contadine ai tempi della mezzadria, senza tralasciare uno sguardo alle più recenti “leggende urbane” e ai casi misteriosi degni di interesse. Le fonti vengono raccolte principalmente attraverso testimonianze dirette, memorie dei collaboratori, interviste e testi locali.

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