(articolo a cura di Igor Abbas, Massimiliano Minotti e Alessio Banini)
“Alzò il calice e…”
Molti degli abitanti di Sarteano e dintorni hanno sentito parlare della leggenda della perfida regina Dorilla, un’antica regina dei barbari signora di queste terre. La storia dello strascico della Regina si riferisce proprio alla sua figura e a quella di uno strano fenomeno naturalistico che si trova nei pressi della cittadina, per la strada che porta a Radicofani: uno scoscendimento brullo e privo di vegetazione che scende dal pendio. Secondo la leggenda sul fondo si trova un abisso che porta il nome di Buca del Diavolo, che corrisponderebbe alla bocca dell’Inferno: fu proprio il diavolo a trascinare Dorilla per i capelli lungo il pendio, creando l’arida scia che ancora oggi possiamo osservare.
Testimonianze e diffusione
Dorilla, come la maggior parte delle perfide regine delle fiabe, viene dipinta nelle storie popolari come una donna arrogante e cattiva, che si faceva odiare da tutti i sudditi per la sua condotta. A volte è dipinta come una regina, altre volte come una contessa: a prescindere da quale fosse la realtà storica, esercitava presumibilmente la sua potestà presso il Castello delle Moiane, nelle vicinanze dell’attuale Abbazia di Spineto. Aborriva la religione e perseguitava i ministri del culto che ritenevano riprovevoli le sue dissolutezze. Questi suoi comportamenti l’hanno portata a una punizione esemplare, la cui modalità differisce a seconda della versione tramandata.
Secondo quanto scritto da Fanello Fanelli, nel suo libro “Memorie storiche di Sarteano”, a punirla fu il Diavolo in persona:
“Un giorno volendo farla finita di tutti quei religiosi che in qualche modo la intralciavano nelle sue nefandezze e non poterlo fare da sola, invocò il Diavolo in suo aiuto, promettendogli l’anima in ricompensa del servizio che da lui si aspettava. Messer Belzebù senza por tempo in mezzo le si fece innanzi, ma invece di secondarla nei suoi piani malvagi, l’acciuffò pei capelli, e trascinata giù per la china del monte, fra lampi e tuoni con lei sprofondò. Presso le Moiane si può vedere anche al presente una lunga striscia di terra sulla quale non spunta mai erba. È quella secondo la popolare version, la via tracciata dal Demonio, e il montagnuolo, se deve attraversarla, affretta il passo e si fa il segno della croce”.
Della leggenda di Dorilla è stata rinvenuta, tra le carte sparse dell’Archivio Parrochiale della S.S.Trinità di Spineto, una stesura recante la data 27 Luglio 1953 non autografa, ma che presumibilmente è stata scritta da Anita Labardi e poi trascritta con varie correzioni dal parroco Don Gino Cervini che qui si riporta integralmente:
“Si narra dunque che una giovane e bellissima Contessa di nome Dorilla era rimasta per mancanza di eredi maschi Signora delle Moiane. Fornita di tutte le grazie fisiche, valorosa ed ardita, avrebbe potuto essere l’idolo dei propri vassalli se uno sconfinato orgoglio non avesse regolato tutte le sue azioni. Dame e Cavalieri la temevano, i suoi guerrieri spiavano umili il suo cenno ed i Vassalli tremavano al solo mirare la sua eccelsa bellezza. Solo l’Abate e tutti i monaci del Monastero di Spineta non si curavano della loro orgogliosa vicina, gelosi dei loro privilegi e forti della potenza temporale e spirituale. Così i rapporti durati fino allora fra il Castello e l’Abbazia furono completamente rotti. Ora avvenne che un giorno (per qualche narratore la vigilia del Santo Natale) Dorilla, prima di condurre i propri armati a non so quale impresa, desiderasse come era costume del tempo, che tutti ascoltassero la Santa Messa, ma il cappellano del Castello era assente e l’orgogliosa Dorilla non avrebbe per alcun motivo ricorso al Monastero per qualche Sacerdote.
Dominata dalla superbia, credendo che a lei tutto fosse permesso, ebbe l’idea di celebrare lei stessa il Santo Sacrificio, e vestita dei sacri paramenti, assistita da due damigelle, si accostò all’altare a celebrare. Guerrieri e tutti gli altri erano attoniti a tanta audacia e tremolanti di terrore, ma la Contessa sfidava superba l’ira di Dio. Quando giunse al momento della consacrazione, dal calice d’oro uscì un serpente che da piccolo che era, divenne grossissimo, avvolse con le sue spire la disgraziata Dorilla e la trascinò a precipizio per il burrone e spalancantosi un abisso sparì per sempre; non fu dato ai suoi armigeri, ai suoi gentiluomini ed alle damigelle di trovarne più traccia. Ancora adesso vi è una striscia sassosa dove non nasce mai un filo d’erba , che dalla collina dove sorgeva il Castello scende al burrone e che viene chiamato “ il pozzo del diavolo” nel quale non si vede il fondo. La striscia senza erba viene detta “lo strascico della Regina” perché è per quel terreno che il diavolo trascinò la sovrana Dorilla che erroneamente viene chiamata Regina. I montagnoli raccontano che, anche adesso, nelle belle serate di luna o durante le bufere invernali, in vetta alla collina si vede lo spettro di Dorilla, vestita di una armatura d’argento, con le bionde trecce svolazzanti, che con il corno alle labbra getta nell’aria un lugubre suono che si ripercuote negli abissi in lontananza. Se per richiamare le mandrie sparse nel bosco il pastore vi s’addentra e si fa sera, dovendo svolgere lo sguardo verso quel luogo, si fa il segno della croce e si affretta impaurito e tremante”.
Anche lo scrittore Idillio Dell’Era, narra che il fatto si svolse nella notte di Natale prima dell’anno Mille, ma dà un’immagine sgradevole della regina Dorilla, descrivendola come una strega: brutta, con i tratti maschili, i capelli rossi e la fronte segnata da una cicatrice nera (simbolo del patto con il demonio). Anche nella versione di Dell’Era la protagonista indossa i parametri sacri per celebrare la messa di Natale, ma all’atto dell’offertorio dal calice esce un serpente che la avvinghia tra le sue spire e la sprofonda nelle viscere della terra.
Secondo invece uno scritto dell’800 di Alessandro Marchionni, tutta la vicenda della regina Dorilla sarebbe derivata da una tresca amorosa tra costei e il prete confessore Ser Baldo. Tresca amorosa casta, tipica dell’amor cortese, tanto che la protagonista cambia anche il nome da Dorilla in Domitilla.
Ma la versione più diffusa in realtà riporta che la contessa Dorilla, in un atto di onnipotenza, facendosi forza della sua posizione ed asserendo di essere in ritardo per la sua amata caccia, si sostituì al parroco per dire messa e velocizzare il rito, portando al macabro epilogo raccontato nel Fondo di Domenico Bandini, studioso di storia locale :
“Negli alti tempi medioevali, era signora (Regina) del castello delle Moiane, una feudataria spregiudicata e prepotente, di nome Dorilla che, per la sua condotta eccessivamente libera, per i molti soprusi perpetrati sulla servitù della gleba, era in odio al popolo e in rapporti assai tesi anche con i monaci della vicina abbazia di Spineta. Un giorno aveva essa bandita una partita di caccia e vi aveva invitati Signori amici e Feudatari limitrofi con numerosi vassalli. Di buon Mattino tutti erano giunti ben equipaggiati al Castello con mute di cani e falconieri provetti, ma essendo domenica occorreva prima ascoltare la santa messa e poi spargersi per le selve e le crete della sottostante Val D’Orcia ai venatori diletti. Però la gente aspettava e il monaco che avrebbe dovuto celebrare la messa non giungeva!
A nulla valsero i ripetuti solleciti della Signora fatti a mezzo de’ Servi… Onde essa, innervosita e spregiudicata com’era, non esitò a indossare sacri paramenti e recarsi all’altare a celebrarvi il Santo Sacrificio. Timorosi e incerti gli astanti assistettero alla celebrazione sacrilega… Quand’ecco non appena l’insoluta peccatrice giunse a pronunciare le parole mistiche della consacrazione…
Dal Calice sviluppasi un serpentello che, fattosi immediatamente gigante, tra il terrore dei presenti avvince tra le sue poderose spire la donna sacrilega e la trascina fuori dalla Chiesa giù per l’orrido precipite monte con lei inabissandosi nel pozzo (tutt’ora detto “Pozzo del Diavolo”) aperto nel letto del rapido sottostante torrente, per quella via portandosi la sventurata tra i dannati all’inferno.
Intanto, oscuratosi il cielo, sibilò la tempesta; Il guizzo dei lampi ruppe sinistro l’aria e la poca luce, mentre il fragore del tuono riempiva d’orrore quella scena di tregenda. Sul sentiero percorso dal demoniaco serpente dicono non nasca l’erba…
Reso sterile dal contatto infernale !… E talora nelle notti di Luna lo spettro bianco della “Regina” sacrilega appare sul monte selvaggio.”
Le varie tradizioni relative a questa storia sono state dipinte in un’opera contenuta all’interno della chiesa di Spineto, di autore e provenienza ignoti: nella raffigurazione si nota il calice da cui esce il serpente, l’elemento cardine della leggenda.
A oggi non sappiamo se Dorilla sia realmente esistita e quali parti delle leggende popolari sopra descritte abbiano un fondamento di verità. Indubbiamente la sua figura vive nelle tradizioni di Sarteano e della sua montagna. Tuttavia non è da escludere che una feudataria, sicuramente odiata per le sue angherie, debba essere esistita nel Castello delle Moiane e che lo sdegno del popolo oppresso, abbia generato questa paurosa leggenda del fantasma e del castigo causato da un serpente maligno.
Caratteristiche ed analisi
Potremmo identificare la figura della Regina Dorilla con quella della Contessa Willa, vedova del conte Pepone Manenti di Sarteano, che nel 1085 fece costruire una Chiesa e un monastero nei suoi possedimenti; tale luogo di culto venne concesso ai monaci vallombrosani di Coltibuono, diventando l’attuale Abbazia di Spineto. Dorilla probabilmente è un’errata dizione del nome Willa, che ricorre spesso nella casata magnatizia dei conti di Sarteano, Chianciano, Radicofani, Chiusi, indicati dagli storici con i cognomi Manenti, Farolfi e Peponi. Tra l’altro alcune delle zone delimitate nell’atto di concessione dell’Abbazia hanno dei toponimi che sono arrivati fino ai nostri giorni, come ad esempio la zona di Bocca Tonanna e il Castello delle Moiane; proprio questo castello, di cui oggi si intravedono solo pochi resti, doveva essere al centro dei fatti narrati.
La zona dello strascico, come detto prima, è ancora visibile nei pressi dell’Abbazia di Spineto: in questo tratto di terreno sassoso non cresce la vegetazione e la storia della contessa Dorilla funge da spiegazione a questo strano fenomeno naturalistico. Le varie versioni concordano sulla punizione attribuita alla protagonista per via delle sue azioni (crudeltà nei confronti dei sudditi, modi dissoluti, sacrilegio o blasfemia nei confronti della religione cattolica) e possono quindi facilmente essere accostate agli “Exempla” medievali, tramandati oralmente tra i ceti popolari per educare, avvertire o dare consigli di comportamento. Nell’Exemplum si racconta proprio un fatto o una diceria, che prende spunto da vicende reali o fantastiche, utilizzata per sostenere una tesi da dimostrare (in questo caso utilizzata in forma negativa, un comportamento da biasimare.)
Sono molti i temi di interesse che si intrecciano nella storia di Dorilla, che possono essere analizzati sulla base di tre diverse dicotomie complementari. Il primo è relativo al conflitto regnante/suddito: Dorilla viene raccontata come una sovrana che detiene un qualche tipo di autorità sul territorio di Sarteano, ma non riceve apprezzamento da parte del suo popolo. Non sappiamo se la descrizione delle sue caratteristiche negative sia l’effetto o la causa del mancato amore da parte dei sudditi: eppure, viene dipinta come una tiranna, una figura autorevole che antepone i suoi interessi personali a quelli del popolo.
La seconda dicotomia è quella maschio/femmina, che potrebbe spiegare il motivo per cui questa figura si è caricata di così tanti elementi negativi nel folclore locale. Per quanto gli esempi storici di sovrane femminili siano frequenti, esse potevano essere percepite come meno adatte alla gestione del potere politico, per via di un pregiudizio culturale ben radicato. In alcune versioni della storia, la punizione inflitta a Dorilla viene inflitta per via della sua vita licenziosa, perché incapace quindi di anteporre il bene pubblico al piacere personale: una tipica accusa rivolta ingiustamente al genere femminile, come se fossero naturalmente più inclini a seguire le proprie passioni rispetto alla controparte maschile.
Infine, il conflitto più forte è quello dovuto all’opposizione tra potere temporale e potere spirituale, tipico del Medioevo. L’incidente scatenante che porta all’uscita del serpente/diavolo dal calice e alla punizione mortale per Dorilla è dato dalla superbia del potere temporale che si arroga il diritto di potersi sostituire all’autorità religiosa. Il potere del sovrano, quando si sostituisce a quello del clero, diventa quindi sacrilego e merita una punizione, perché l’equilibrio si può mantenere soltanto con la separazione dei poteri.
Questi elementi si fondono nelle leggende popolari attorno allo strascico della Regina. La figura di Dorilla diventa quindi quella di una sovrana malvagia, che si inserisce nel solco di una serie di personaggi della storia o della letteratura a cui sono stati attribuiti tratti simili. Basti pensare a Cleopatra, regina egiziana che nella tradizione romana viene caricata di aspetti negativi (ma che viene invece ripresa come saggia e coraggiosa nella tradizione bizantina e araba) oppure a Lady Macbeth, personaggio immaginario del dramma di Shakespeare, che spinge il marito a uccidere l’amico pur di ottenere il trono regale.
La figura storica che più si avvicina alle caratteristiche di Dorilla, tuttavia, è quella di Erzsébet Báthory, vissuta in Ungheria tra il XVI e il XVII secolo, conosciuta come Contessa Dracula o Contessa Sanguinaria. Sebbene la sua figura sia corredata di tantissimi studi, leggende popolari e una lunga tradizione nella cultura contemporanea, è stata una sovrana crudele che si è macchiata di numerosi omicidi e torture, oltre ad essere stata accusata di sadismo e magia nera. Elementi ricorrenti con quelli dello strascico della Regina di Sarteano, che portarono però a una punizione diversa: la Báthory fu murata viva in una stanza del suo castello, dove si lasciò morire di fame.
Influenze nella cultura pop
La figura della regina cattiva è molto presente nelle opere contemporanee. La tradizione Disney ci presenta molti esempi, tra cui spicca quella di Grimilde, la crudele antagonista di Biancaneve: nel film animato del 1937 la regina Grimilde viene punita per le sue malefatte, e trova la morte precipitando proprio da un dirupo:
Anche Malefica de “La Bella Addormentata” merita una menzione, per inserirci nel filone delle regine cattive che hanno attraversato gran parte delle produzioni Disney: nel film animato del 1959 la crudele antagonista si trasforma in drago durante l’ultimo scontro con il principe Filippo e, una volta colpita a morte, precipita da un dirupo.
Il tema della punizione per un comportamento sacrilego, altro elemento portante della leggenda di Dorilla, è ugualmente presente nelle opere contemporanee. Nel primo capitolo della serie di Indiana Jones (Raiders of the Lost Ark, 1981) i nazisti riescono a recuperare la mitica Arca dell’Alleanza: in seguito alla profanazione, vengono puniti con la morte per la loro arroganza.
Per finire, vi consigliamo l’ascolto di una canzone che sembra ricordare le vicende della contessa Dorilla. Si tratta del brano “Ghuleh/Zombie Queen” della band heavy metal svedese Ghost, che racconta di una regina rapita dal male che risorge per portare distruzione.
“Putrefazione
Un profumo che è maledetto
Sotto uno strato di polvere
Dall’oscurità
Risorge un succube
dalla ruggine terrosa
Haresis dea
Una volta era una maestà
Ora espone l’osso
Dall’oscurità
alzati come succube
e usurpa il trono”
Disclaimer: “Racconti di veglia” è una rubrica che vuole stimolare l’interesse sul folclore locale e sulle storie popolari della Valdichiana, con piccole analisi e collegamenti alla cultura di massa. L’intento è quello di tramandare la memoria orale delle “Veglie” contadine ai tempi della mezzadria, senza tralasciare uno sguardo alle più recenti “leggende urbane” e ai casi misteriosi degni di interesse. Le fonti vengono raccolte principalmente attraverso testimonianze dirette, memorie dei collaboratori, interviste e testi locali.