Il nostro quotidiano si occupa principalmente della Valdichiana senese, ma i rapporti con Cortona e la Valdichiana aretina sono molti, e sono destinati ad aumentare. Oltretutto, non capita spesso che i rappresentanti della politica o delle amministrazioni siano i relatori più brillanti durante un convegno che parla di sviluppo locale.
Non potevo quindi lasciarmi sfuggire l’occasione di continuare il dibattito inaugurato dal convegno di Arezzo attraverso un’intervista diretta: un invito a cui l’assessore Ricci ha gentilmente risposto, sottoponendosi a domande più approfondite sullo sviluppo della Valdichiana e sulle politiche di area. Volevo verificare se, oltre alle slide, ci fosse di più. E questi sono i risultati. (Spoiler alert: c’è molto di più!)
Albano Ricci, assessore del Comune di Cortona: deleghe alla cultura, al turismo, all’agricoltura, alle attività produttive e alle politiche giovanili. Tante deleghe, molto importanti. Come si integrano tra loro?
“Innanzitutto devo dire che si tratta di un onore e di un onere, una felice intuizione del Sindaco Basanieri. Da una parte l’unione di queste deleghe è dovuta alla riduzione del numero degli assessori per effetto della spending review, come se gli amministratori locali fossero il vero problema dei conti pubblici! In realtà il nostro è un duplice lavoro: dobbiamo effettuare le scelte amministrative e gestire le emergenze, oltre a fornire un contatto diretto e continuo con la popolazione del nostro territorio. Dall’altra parte, l’unione di queste deleghe è dovuto alla particolarità del nostro territorio: una zona agricola d’eccellenza con città di grande storia e tradizione. Paesaggio e cultura creano opportunità di sviluppo turistico. Se non avessimo sfruttato le eccellenze locali probabilmente non riusciremmo a reggere la crisi economica.”
Al convegno di AgrieTour, promosso da Banca Valdichiana, ha parlato di un “Rinascimento Verde” per la Valdichiana. Può spiegarci meglio di cosa si tratta?
“L’agricoltura può diventare il nuovo volano del progresso economico, perchè è capace di coniugare turismo, ambiente e lavoro, attirando l’interesse di nuovi investimenti finanziari. I nostri paesaggi non sono soltanto belli, sono il frutto di anni di cura dell’uomo e attenzione al territorio, attraverso il lavoro agricolo. Il nostro territorio ha già vissuto due rinascimenti: il primo con la civiltà etrusca, che ha lasciato tante ricchezze. Gli etruschi sono stati soltanto qui, non in altre parti del mondo, quindi è nostro dovere valorizzare questo patrimonio. Soltanto qui hanno lasciato testimonianze di una delle civiltà più importanti del passato, dove la donna aveva un’importanza che non ha eguali fino alle epoche più moderne. E poi il rinascimento toscano, l’umanesimo, che ha toccato anche le nostre zone grazie anche alla presenza di artisti importanti come Beato Angelico, Piero della Francesca, Michelangelo. Adesso ci sono tutti i presupposti per un nuovo rinascimento: grandi città, grandi capolavori, grande paesaggio agricolo. Proprio l’agricoltura può diventare il motore che innesca questo meccanismo, grazie al valore dell’autenticità. Questo è il Rinascimento Verde: è la terra che potrà dare una rinascita, non l’economia virtuale. In fin dei conti, il mondo si aspetta questo dall’Italia. Non una politica industriale che ribalti la scena internazionale. Siamo la patria del buon vivere, dei gusti artistici e creativi e di grandi eccellenze enogastronomiche. Dobbiamo essere bravi a sfruttare queste qualità.”
Mi è sembrato molto orgoglioso della sua origine contadina, un’identità fondamentale delle nostre terre. Eppure, il mondo contadino ha perso il suo rispetto, è stato spesso considerato come inferiore rispetto a quello cittadino. Quindi, mi chiedo: quali possono essere gli strumenti culturali ed economici per recuperare questo orgoglio identitario?
“Spesso si capisce realmente il valore delle cose soltanto con la distanza. Abbiamo vissuto un periodo storico in cui la campagna aveva accezioni negative: era sinonimo di povertà, lavoro e fatica. Le persone volevano abbandonare questo mondo, ed era normale: alla ricerca di nuovi servizi, di migliori opportunità di lavoro, di nuovo benessere. L’attuale fase di crisi costringe a guardarsi intorno e a guardarsi indietro, alla ricerca di cos’è rimasto di quel mondo. Voglio chiarire che non credo al mito del “buon contadino”: si tratta di un’idea arcadica, ha anche delle inflessioni razziste. La civiltà contadina aveva degli aspetti negativi: i contadini non erano liberi, sotto il gioco del padrone e della mezzadria. Ho compreso tuttavia l’importanza dei valori positivi che provengono da quell’epoca. D’altronde si tratta della nostra identità, il radicamento sul territorio. Accanto a questi aspetti culturali deve viaggiare l’agricoltura, che deve sapersi innovare e modernizzare, deve aggiornarsi come tutti gli altri campi del sapere, non può rimanere alle tecniche e alle visioni di inizio secolo scorso.”
Parliamo di progetti di area. Lei crede che sia possibile fare sistema tra Valdichiana aretina, senese e romana?
“Per la Valdichiana romana è sicuramente più difficile, ma tra Valdichiana aretina e senese ci sono forti punti di contatto. Per la Valdichiana Toscana c’è una direzione della governance del territorio che viene anche dalla Regione Toscana. La politica va in questa direzione: un’unione sempre più stretta della Toscana del sud con le province di Arezzo, Siena e Grosseto. Basti pensare alla riforma delle aziende sanitarie locali, ad esempio. Con il superamento delle province sarà naturale ragionare per aree vaste, soprattutto per quelle zone che hanno tanto in comune come la Valdichiana senese e quella aretina. Per i progetti di area, già ora, possiamo partire da quelli più facili: il turismo, che è immediato. Per esempio con protocolli di intesa tra i vari comuni, per creare un ponte naturale, e sviluppare poi un’integrazione di altri servizi. I circuiti museali sono meno riottosi a unioni di questo tipo, rispetto ai consorzi o altri attori economici. Turismo e cultura sono un ottimo inizio, ma l’amministrazione deve essere capace di creare i bisogni e di investire sui progetti di area per i territori. L’alta velocità, con la stazione ferroviaria di Media Etruria, è uno di questi.”
A questo proposito, qual’è la sua opinione sull’alta velocità in Valdichiana?
“Non sarà una strada facile arrivare a una soluzione condivisa. Tuttavia questa vicenda è l’esempio della necessità di gettare il cuore oltre l’ostacolo e di pensare al benessere di tutti i territori. L’eccessivo campanilismo rischia di bloccare tutto: se non c’è accordo, si rischia di far saltare tutto il progetto e di fare preoccupanti passi indietro.”
Parliamo di turismo: quali sono le prossime iniziative che metterà in atto il comune di Cortona e più in generale la Valdichiana?
“L’obiettivo è quello di aumentare la permanenza dei turisti. Riuscire a far rimanere i turisti più di due giorni e avvicinarsi alla settimana, grazie alla grande offerta turistica. Fondamentali a questo scopo sono i protocolli con le altre amministrazioni e gli altri enti turistici per favorire una promozione culturale di area. Un primo passo per una governance turistica condivisa saranno i protocolli d’intesa con gli altri comuni limitrofi, da firmare entro fine anno. L’altro grande progetto è quella di promuovere il modello della Valdichiana come luogo turistico di eccellenza anche all’EXPO 2015, nel padiglione della Toscana. Cortona non può che essere il comune capofila della Valdichiana aretina, per via della sua storia, delle strutture attrezzate e attrattive a livello internazionale.”
Passiamo alle politiche giovanili, con una domanda impertinente: perchè un giovane dovrebbe rimanere in Valdichiana, piuttosto che emigrare all’estero?
“Una domanda complicata, a cui voglio rispondere con un ragionamento sociologico. La Valdichiana è una zona felice, per certi versi, come una mamma da cui è difficile staccarsi, nel bene e nel male. Il nostro è un territorio meno abbandonato rispetto ad altri; non siamo così provinciali da essere desolati, come purtroppo è accaduto in alcune province italiane. Ma non è neppure un territorio così impersonale, caotico e difficile come quello delle metropoli. Poca densità abitativa si abbina a tanta realtà sociale: stiamo parlando di territori con miriadi di associazioni, sagre, fiere, mostre, teatri, sale, ogni frazione con la propria identità. Una voglia sociale molto forte e diffusa. Ci sono quindi i presupposti sociali per una qualità della vita alta, interessante per molti giovani. Inoltre può essere la scelta adeguata per nuove imprese e nuove possibilità, ma per riuscire devono incrociare le necessità di questo territorio, ovvero: la sostenibilità, il patrimonio agricolo, le eccellenze dell’artigianato e quelle della cultura. Tutti aspetti che si legano tra di loro. Chi ha grande talento in settori che hanno necessità di un grande sviluppo industriale è difficile che rimanga in questo territorio, ma è una mancanza che accomuna tutta l’Italia. Tuttavia, queste terre hanno anche i connotati giusti per qualità imprenditoriali. Chi produce olio, vino o cereali qui, sa che assieme a quei prodotti promuove tutta la nostra storia. Non vendi soltanto quel vino, ma anche il territorio e la storia.”
In qualità di amministratore locale e di “renziano”, non si può esimere dal rispondere a un’ultima domanda: qual’è la sua opinione sul Jobs Act?
“Parto da un tema fondamentale che è quello dell’articolo 18. In questo momento abbiamo bisogno di superare le ideologie. Abbiamo parlato finora di rete, di progetti di condivisione: un modello totalemnte opposto a quello delle ideologie contrapposte. Dobbiamo fare rete tra politica, amministrazione, finanza, impresa, sindacati. Trovare soluzioni condivise e adeguate al momento. Sarebbe scontato sostenere che i tempi sono cambiati, che certa politica di sinistra ha bloccato lo sviluppo del Paese. Eppure quel meccanismo di progresso della sinistra, che ha portato a tante rivendicazioni, tante lotte e tante conquiste, in un certo senso si è arenato. Ha trovato una forte inerzia, non è più capace di dare risposte attuali e concrete. Per questo ritengo la difesa a oltranza dell’articolo 18 come un vessillo ideologico, che difende soltanto pochi lavoratori. Certo, la sua modifica si tratta di una prova di forza da parte di Renzi, ma è un messaggio importante. Ci stiamo avventurando verso un’altra fase, in cui si danno risposte concrete oltre gli steccati ideologici. Nel Jobs Act, più in generale, sono contenute riforme importanti come il superamento delle troppe tipologie di contratto o il supporto alla maternità e al sistema di welfare. L’idea è quella di riuscire a semplificare il mondo del lavoro per creare nuove opportunità.
Credo molto in questo nuovo orizzonte, che è anche l’ingresso in una nuova forma di linguaggio. Che tipo di dialogo hanno oggi i giovani con le forme sindacali? Utilizzano la stessa lingua, lo stesso lessico? Mi sembra proprio di no, quindi la politica deve fare passi da gigante per permettere a questi mondi di dialogare. Da amministratore locale mi sento mortificato quando non posso dare risposte alle imprese, perchè la loro velocità e i loro bisogni vanno a un ritmo maggiore rispetto alle risposte che noi possiamo dare, e questo è il fallimento della politica. Non dico che dobbiamo per forza andare alla stessa velocità, ma almeno avvicinarsi molto di più. Facilitare la creazione di lavoro e di chi ha voglia di investire, questo è l’obiettivo. Quei giovani che non vogliono andare via dalla Valdichiana, di cui abbiamo parlato prima, lo sanno benissimo che questo territorio ha le giuste potenzialità. Ma dobbiamo essere capaci di rendere più facile il loro percorso.”
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