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Simone Cristicchi: “Senza racconto non ci può essere memoria”

Simone Cristicchi: “Senza racconto non ci può essere memoria”

Sembra proprio che Simone Cristicchi si sia innamorato del nostro territorio: in poco più di un mese ha fatto tappa al teatro Poliziano con il suo spettacolo “Magazzino 18” e a Rapolano Terme con “Mio nonno è morto in guerra”.

Simone Cristicchi non solo gira per il nostro territorio con la sua tournèe, ma lo fa anche raccontandolo. Molti dei suoi spettacoli, infatti, sono nati dalle storie raccontate dai nostri avi, storie legate al manicomio di Siena, di Firenze e alle miniere dell’Amiata, pagine tristi o scomode della nostra storia che molti preferiscono lasciar scivolare nell’oblio.

Ma è solo attraverso il racconto che si può costruire il ricordo e arrivare alla memoria, quel ricordo e quella memoria che ci fanno vedere le cose in maniera diversa. E Simone Cristicchi questo lo sa e lo ha saputo mettere in opera nel suo “Magazzino 18”, uno spettacolo sfaccettato e controverso, uno spettacolo tanto contestato ma allo stesso tempo tanto amato.

In questo spettacolo l’artista si limita a portare in scena le storie che gli sono state raccontate, senza dare loro alcun colore, nessuna interpretazione idealistica, ma solo usando come filtro gli occhi della sua memoria e del suo ricordo.

“Magazzino 18” è un racconto di storie dimenticate nel tempo ma ancora vive, che vedono protagonisti gli italiani esuli di Istria e Dalmazia. Una storia oscura che per molto – troppo – tempo è rimasta volutamente nascosta, ma che ha ripercussioni ancora oggi sulla storia del nostro Paese e che per questo non può essere ignorata.

La Valdichiana ha incontrato Simone Cristicchi prima dello spettacolo al teatro Poliziano, lo scorso 27 Gennaio, insieme ai ragazzi dei Licei Poliziani. Disteso e tranquillo, durante l’incontro Cristicchi ha raccontato come è nata l’idea di portare in scena questo dramma e ha chiarito che “Magazzino 18” non vuole strizzare l’occhio a una o all’altra parte politica, ma vuole solo sottolineare quanto sia importante conoscere il passato per costruire la memoria e avere una visione d’insieme delle cose.

Come hai cominciato a lavorare sui temi legati ai lager o ai manicomi?

“Nel 2006 ho cominciato a raccogliere storie sul manicomio e tutte queste storie sono state raccolte quasi tutte in Toscana, tra Siena e Firenze. Mi sono ritrovato davanti un enorme patrimonio, un patrimonio fatto di memorie, che ci premettono di ricostruire un passato e fare dei raffronti con quella che è la realtà di oggi. Sono partito dal discorso dell’identità, ma non mi sono mai domandato se la cosa poteva funzionare o meno, mi sono sempre fidato molto del mio istinto e della mia curiosità”.

Qual è la storia che ricordi in maniera più forte?

“Uno dei ricordi più forti è stato quello del manicomio di Roma, dentro al quale si trovava la Fagotteria. Il malato di mente si spogliava di tutto: oggetti, vestiti, capelli e diritti civili; il tutto finiva nella Fagotteria e qui vi rimanevano per sempre. Anche all’interno del lager c’era una specie di Fagotteria, dove l’uomo veniva spogliato della propria individualità e del proprio passato”.

E il “Magazzino 18” che cos’è?

Copertina Libro "Magazzino 18"
Copertina Libro “Magazzino 18”

“Il Magazzino 18 si trova a Trieste, è un cimitero di oggetti e non è accessibile a tutti. Entrato in questo luogo mi sono trovato di fronte una grande tragedia ed ho rivisto tutti gli esseri umani che sono capitati in quel posto. A questo luogo ci sono arrivato grazie a mio nonno Rinaldo e al suo ricordo della Guerra di Russia nel 41-43. Mio nonno non voleva ricordare questo fatto della sua vita, perché per lui è stato un trascorso difficile che voleva rimuovere dalla sua memoria. Da qui siamo andati in giro per l’Italia ed ho incontrato gli anziani, ho raccolto molto materiale, alcune storie non molto belle. Molte di queste hanno meritato di diventare spettacoli di narrazioni per farle conoscere e da qui sono arrivato a raccogliere le memorie dei partigiani, di resistenza”.

È sempre aperto questo luogo?

“Il Magazzino è stato chiuso nel ’78 e gli oggetti all’interno sono stati dichiarati cose di nessuno. La mole degli oggetti arrivava al soffitto. Attualmente il Magazzino non si può considerare un museo perché non c’è niente di organizzato, sembra quasi di entrare nell’intimità delle case, ma può essere considerato un’immagine che testimonia il passaggio dell’esodo. In questo caso ecco che ritorna il manicomio e la perdita del passato e gli oggetti. Io mi chiedo sempre: quali saranno gli oggetti che racconteranno di me quando io non ci sarò più? Quelli che racconteranno meglio la mia identità?”.

Questo spettacolo sta riscuotendo grande successo, te lo aspettavi?

“Devo dire che lo spettacolo è andato oltre tutte le mie aspettative. Nessuno ha mai raccontato dell’esodo e delle foibe, e forse perché la generazione prima della mia non ha fatto bene i conti moralmente ed eticamente su questa cosa. Un romano che racconta fatti accaduti a Trieste, da estraneo potevo raccontare un argomento che riguardava una regione, un puro fatto storico e basta”.

La gente di Trieste come ha accolto lo spettacolo?

locandina spettacolo
locandina spettacolo

“La settimana precedente, a Trieste la polemica venne fuori perché si pensava che qualcosa avesse influito sulla scrittura di questo testo e quindi mi sono trovato in una città che si domandava come avessi raccontato questo argomento, se di destra o di sinistra. Ancora oggi ci sono persone a cui dà fastidio sentire parlare di persone scappate al Comunismo o di lati oscuri della Resistenza; io ho trattato di queste cose e qualcuno ha voluto vedere in questo spettacolo un certo ammiccamento al Fascismo. Alla fine hanno capito che è uno spettacolo teatrale che non fa sconti a nessuno né tanto meno ammicca a nessuno e, diciamo, mi metto dalla parte di chi ha dovuto pagare un prezzo altissimo e che sono gli esuli”.

“… Una sedia accatastata assieme a molte altre porta un nome, un numero e la scritta “Servizio Esodo”… Quasi 350mila persone lasciarono le loro terre natali, destinate ad essere jugoslave e a proseguire la loro esistenza in Italia…”

Una mole di storie familiari, storie personali che come una matrioska contengono altre storie. Storie che trovano un unico comun denominatore: Magazzino 18, il cimitero delle memoria.

Foto Alessia Zuccarello

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