Lo sguardo non è neutrale: i nostri occhi guardano il mondo, e guardandolo lo interpretano e lo vedono in maniera diversa da come potrebbero percepirlo altri occhi. I nostri occhi non guardano tutti allo stesso modo una realtà naturale oggettiva e uguale per tutti, ma vi colgono differenti sfumature e percezioni. Lo sguardo è influenzato dalla nostra cultura, che ci fa mettere in luce determinati aspetti o ci suscita particolari emozioni.
Dal momento che la nostra cultura influenza il nostro sguardo, anche l’arte della fotografia ne risulta influenzata. Per questo, quando sono stato invitato alla mostra fotografica di Bettolle dedicata alla campagna della Romania, ho subito pensato agli aspetti antropologici della questione: gli occhi dei fotografi rumeni vedono la campagna nella stessa maniera degli occhi dei fotografi italiani? Quali sono le differenze e le somiglianze tra le due culture, quali sono le relazioni tra la Valdichiana e la Romania?
“Romania: gente, luoghi e costumi” è la mostra fotografica di Sorin Onisor e Dorin Mihai, fotografi rumeni, che si è tenuta a Bettolle in occasione dell’annuale edizione della Valle del Gigante Bianco. Una lunga serie di scatti fotografici in cui gli artisti si sono proposti di raccontare la vita rurale della campagna, una realtà lontana da quella delle città della Romania. E infatti nelle immagini si vedono splendidi paesaggi, scene di vita popolare, mestieri antichi ma ancora tramandati, contadini al lavoro e retaggi di un tempo passato che vengono lentamente recuperati. Nelle foto sono ritratte campagne provenienti da diverse zone della Romania: province del nord e del sud, accomunate dalla vita rurale e dai paesaggi di campagna, che dopo l’urbanizzazione hanno subito un forte spopolamento.
La mostra fotografica è stata curata da Carmen, che da oltre vent’anni abita a Bettolle. Originaria di Brasov, nella regione della Transilvania, ha vissuto l’infanzia in un ambiente cittadino; tuttavia i nonni abitavano in campagna, e ricorda con chiarezza la casa di legno in cui a volte andava con la famiglia, fino al 1986. Carmen lavorava nell’ufficio per i bene culturali in Romania, è venuta in Italia quasi per caso: ha conosciuto suo marito, ha studiato marketing turistico, ha iniziato a lavorare in un agriturismo in provincia di Siena e si è commossa la prima volta che ha visto Firenze, con quelle meraviglie artistiche che si vedevano soltanto nei libri di storia. Carmen è in Italia dal 1993, e qui si sente a casa, ma solo da poco ha riscoperto una parte di sé che viene attirata dalla campagna del suo passato.
La riscoperta delle proprie radici è perfettamente inquadrata dagli splendidi scatti fotografici dei due artisti esposti nella mostra: Sorin e Dorin, che oltre a scattare foto nelle campagne del loro Paese, visitano di frequente anche la Toscana e la Valdichiana, organizzano workshop fotografici, incontrato gruppi di rumeni immigrati in Italia per scambiarsi opinioni e conoscenze. La fotografia, infatti, aiuta anche a trasmettere l’identità culturale del territorio di provenienza; riscoprire la vita rurale delle campagne rumene, può risultare un elemento importante per gli immigrati che hanno lasciato il loro Paese d’origine per costruirsi una nuova vita in un altro Paese, che a sua volta è portatore di una storia diversa e di una campagna diversa, con le sue immagini di vita rurale da tramandare e riscoprire.
Il racconto fotografico illustrato dalla mostra di Bettolle non si limita ai paesaggi della Romania, ma trova legami con l’Italia e con la Toscana. Sia perché gli artisti sono innamorati di questo territorio e ogni tanto tornano a visitarlo per scattare nuove foto, sia perché la ruralità delle campagne sembra avere degli elementi comuni, a prescindere dal Paese. Anche se gli sguardi dei fotografi sono influenzati dalle diverse culture, le campagne sono simili e gli elementi sono ricorrenti.
“In Romania stiamo percependo un movimento di ritorno alla campagna – mi spiega Carmen – con i nipoti che riscoprono le tradizioni dei nonni. Una maggiore attenzione ai prodotti enogastronomici di qualità, all’ospitalità, la ricerca di esperienze autentiche e di protagonisti dell’epoca contadina che abbiano ancora voglia di raccontare. I giovani si stanno avvicinando nuovamente alla campagna: la generazione nata dopo il 1989 si è trovata in un sistema non ancora formato, non aveva dove imparare. Oggi con occhi più maturi posso criticare molte delle cose che ci erano state offerte in quegli anni, però vedo anche tanto cambiamento.”
Carmen ha visto con i suoi occhi la campagna in Romania prima del 1989 e del crollo del blocco sovietico, poi ha visto con i suoi occhi la campagna toscana del 1993 e vive tuttora in Valdichiana. Il suo sguardo può cogliere sfumature che, forse, chi è sempre vissuto in queste zone non può pienamente cogliere. Se nella storia della campagna della Valdichiana regnava la mezzadria, in Romania c’era la collettivizzazione dei terreni agricoli, con il lavoro guidato dal partito; non c’era la grande proprietà privata dei latifondi, ma i contadini non possedevano la terra che lavoravano, tutti vivevano e lavorano assieme, non ricevevano un salario ma una quota dei beni prodotti.
“Forse anche qui la campagna è cambiata. – mi racconta Carmen – Io e mio marito viaggiavamo molto in campagna, lui lavora come restauratore, quindi ho tanti ricordi di persone che ci offrivano la loro ospitalità, ci aprivano la porta e ci davano un bicchiere di vino. Oggi c’è un po’ più di paura e di ostilità, forse sono spariti gli anziani di un tempo, eppure c’è ancora tanta voglia di parlare, di raccontare e di superare la solitudine. L’impressione che ho avuto in Toscana, soprattutto in Valdorcia, è che manchino un po’ di persone, come se il paesaggio fosse splendido ma poco abitato.”
Anche questi territori hanno subito l’abbandono delle campagne, pur se in anni precedenti rispetto a quanto è avvenuto in Romania; eppure, i punti di contatto sono molti. Dopo la mezzadria, molti contadini sono andati a fare gli operai in città, lasciando le campagne a contadini provenienti da zone più povere, abbandonando un mestiere che aveva una percezione negativa. Il rischio è che oggi si possa rimpiangere quel passato, si guardi con invidia le opportunità degli agriturismi e dei produttori di enogastronomia di qualità.
Romania e Italia sono entrambi paesi dell’Unione Europea: per quanto possano essere diversi i popoli e le culture, le somiglianze possono essere cercate e trovate al pari delle differenze. Il modo di ricordare la campagna è lo stesso: i bambini nati in città in Italia o in Romania non hanno esperienza di vita contadina, se i genitori sono immigrati dalle campagne è come se fossero immigrati da un’altra cultura, a prescindere dal Paese di provenienza, e come spesso accade per le seconde generazioni, si ha nostalgia delle proprie radici e si torna a scoprire la campagna abbandonata.
Come detto in apertura, lo sguardo non è neutrale: quando guardiamo i paesaggi, ma anche le persone, siamo continuamente influenzati dalla nostra cultura, dalle nostre emozioni, dalle nostre aspirazioni. Quando guardiamo gli altri, quando guardiamo il mondo che ci circonda, possiamo farlo con occhio critico: si possono guardare le differenze, ma anche le somiglianze.
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