LO STATO DELL’ARTE: COLLETTIVO FABRICA
Iniziamo una serie di faccia a faccia con alcuni operatori culturali della Valdichiana. Per capire meglio lo stato dell’arte di questa terra, intercettare cosa si muove, raccontare la fatica di chi contribuisce alla crescita culturale delle proprie comunità. Ci servirà per scoprire storie, volti, aneddoti e iniziare a lanciare un’idea, quella di creare una rete e provare a fare sistema sul tema della produzione culturale.
“Al liceo sognavamo di trasformare il Parco Fucoli in una enorme discoteca. Ci siamo riusciti”
Intervista a Giacomo Serini, direttore artistico della Festa della Musica.
Giacomo Serini, 32 anni, è direttore artistico, insieme a Carlo Beligni, del Collettivo Fabrica, l’associazione che realizza dal 2007 la ‘Festa della Musica’ di Chianciano. I due si occupano del coordinamento, della produzione, dei rapporti con le istituzioni e del foundraising.
Nel 2013 avete contato 140 volontari, più di 100 artisti, 12.000 presenze in cinque giorni. Far crescere un festival con questi numeri, di questi tempi, sembra un mezzo miracolo. Come avete fatto?
Abbiamo iniziato quasi per caso, nel 2007, col dare una mano all’associazione “Si fa la musica” che aveva dato vita alla Festa della musica a Chianciano. Alla fine, ci siamo fatti prendere la mano, e dal 2008 abbiamo preso le redini del festival, facendolo crescere fino ai livelli di questi anni. Il lavoro che c’è dietro è tantissimo. Durante i 5 giorni del festival, siamo in tanti a portare avanti la baracca, ma la progettazione e la programmazione iniziano da almeno 5 mesi prima dell’evento.
Perché avete deciso di portare la Festa della musica al Parco Fucoli, luogo simbolo di Chianciano?
Ai tempi del liceo, uno dei miei sogni era far diventare l’arena del Parco Fucoli una mega-discoteca. Anche dopo la costruzione del “bruco”, fantasticando tra di noi, ci siamo sempre detti: ti immagini che spettacolo sarebbe fare la Festa della musica lì dentro? Alla fine, abbiamo deciso di riprenderci il parco, sostenere un affitto da 10 mila euro, aprirlo ai giovani e a chi, probabilmente, l’aveva visto solo nelle vecchie cartoline degli anni ’80.
Scommessa vinta?
Direi! Per parlare solo di cifre, il primo anno della Festa al Parco Fucoli, il 2012, è stato il primo anno in cui siamo riusciti a non andare sotto.
Quanto conta l’innovazione per chi organizza un festival ogni anno?
Tantissimo. Ogni anno cerchiamo di proporre sempre qualcosa di diverso. Vorremmo essere un contenitore-catalizzatore delle cose buone che si muovono nel nostro territorio. Dal 2011 offriamo una vetrina agli “artisti a Km-zero” nella serata di apertura del festival, abbiamo lanciato la silent disco con le cuffie, ospitiamo spettacoli teatrali al pomeriggio, una cucina self service di qualità, una libreria molto personalizzata, facciamo attenzione alle tematiche ambientali collaborando con Legambiente. Cambiamo sempre, cercando di migliorare. A volte ci riusciamo, altre volte no. L’importante è non fermarsi.
Rivendicate con orgoglio di essere uno degli ultimi Festival gratuiti d’Italia. Quanta fatica vi costa?
Molta, è una scelta sofferta e molto discussa tra di noi. Alla fine, abbiamo voluto lasciare il festival gratuito. Si tratta di una scelta politica. Ci piace pensare al festival come un piccolo volano per l’economia locale. Quando abbiamo iniziato ad essere riconosciuti sul territorio, e ad intercettare finanziamenti, è arrivata la mazzata della crisi. In 3 anni abbiamo perso 15mila euro all’anno di sponsorizzazioni. Alla fine, gli unici che riescono ancora a darci una mano in termini economici sono il Comune di Chianciano e la Banca Cras.
Lo scorso anno avete lanciato una campagna di autofinanziamento su internet (crowdfunding) che ha dato ottimi risultati. È una strada che continuerete a seguire?
Siamo gente di paese, ma anche di mondo. Abbiamo conosciuto il meccanismo del crowdfunding quasi per caso e l’abbiamo sperimentato subito. Quello che abbiamo raccolto con le donazioni su internet non è decisivo rispetto al budget dell’evento, però è un segnale e un messaggio che vogliamo dare: da soli non si va da nessuna parte. Lavoriamo un po’ in controtendenza con un certo spirito del ‘tutti contro tutti’ che si respira a Chianciano: albergatori contro commercianti, commercianti contro l’amministrazione. Finché c’erano i soldi, ognuno faceva per sé. Ora le cose sembrano un po’ cambiate o comunque dovranno cambiare alla svelta. A livello sociale, la crisi ci ha fatto svegliare, ti impone di avere delle idee. In qualche modo, la crisi ci ha fatto bene.
Un momento difficile che pensavate di non superare?
A parte tutte le volte che guardo il bilancio preventivo? Direi nel 2011. Il pomeriggio del primo giorno di festival. Ci siamo scontrati per la prima volta con la commissione di pubblico spettacolo e c’è mancato davvero poco che vincesse lei. A due ore dall’apertura del festival, rischiavamo un bel nastro rosso e bianco sul palco e nell’area concerti. Fortunatamente non è andata così.
Tra i tanti artisti che avete avuto qual è stata la sorpresa più grande?
Il live più bello che mi ricordi è stato quello dei Peuple de l’Herbe nel 2010, ma forse sono di parte perché ho fatto carte false per portarli in Italia. Ricordo con divertimento anche il mago che accompagnava Meg nel suo tour 2008. A fine serata, riportammo Meg in albergo e lui rimase a fare baldoria con noi. La mattina ci svegliammo dentro al backstage e di lui rimanevano solo un paio di scarpe consumate. Evidentemente aveva fatto l’ultima magia e si era smaterializzato.
Un artista che avresti voluto “rubare” ad un altro festival. Woodstock esclusa.
Più che un’artista, avrei voluto rubare una serata intera: quella degli Asian Dub Foundation ad Live Rock Festival di Acquaviva. Era un venerdì, mi pare fosse il 2008. Per loro è stata una tragedia a livello economico, perché pioveva forte. Però vedere la gente che ballava scalza nel fango è stato uno degli spettacoli che mi hanno impressionato di più, da quando vado ai concerti. La musica c’era, il fango anche, quella sera mancava solo l’amore libero.
Se ti guardi in giro, in Valdichiana, come siamo messi a livello di offerta culturale?
Non siamo messi male. Ci sono diverse realtà diverse che danno il loro contributo. Penso a Mattatoio 5 di Montepulciano, il Cantiere Internazionale d’Arte, la nuova Fondazione Orizzonti d’Arte a Chiusi, i vari teatri, il Live rock di Acquaviva. Se però non si riesce ad essere attrattivi e non diamo ai giovani un motivo per restare, per esempio uno straccio di lavoro, non sarà facile mantenere il livello attuale. Vedo però delle belle esperienze anche a livello di amministrazioni comunali. Penso a Sarteano (e non lo dico perché sei qui), anche Chiusi per certi aspetti, sicuramente Montepulciano, che rimane un po’ il motore della zona. Per Chianciano il discorso è più complicato… va superare un po’ di settarismo. Comunque in Valdichiana è arrivato il momento di metterci in rete, tra operatori della cultura, guardarci in faccia e fare sistema, ma sul serio, però!
(si ringraziano Emiliano Migliorucci e Foto Sintesi Lab per le fotografie)