Negli ultimi decenni l’appiattimento nella coltivazione, dovuto alle richieste di un mercato sempre più standardizzato, ha portato alla dispersione di molti prodotti tipici antichi.
Uno degli esempi è rappresentato dalla Susina Mascina, di cui vi abbiamo già parlato nell’articolo dedicato, una tipica varietà di susina coltivata nel territorio di Montepulciano e della Valdichiana in generale.
Per approfondire il tema, abbiamo intervistato Matilde Vittori, laureata in Design of Sustainable Tourism System, che ha pubblicato uno studio incentrato sulla valorizzazione della Susina Mascina di Montepulciano attraverso percorsi che vadano in controtendenza con le logiche di quel mercato omologato e di bassa qualità.
Come nasce lo studio?
“La mia è una tesi di laurea in “Turismo sostenibile” in cui ho cercato un nesso che legasse prodotto tipico e sviluppo turistico di area. Ha influito molto la mia passione per i prodotti che offre la Valdichiana. Adoro il vino, sono sommelier, ma credo che non si debba fargli ruotare tutto attorno, perché altrimenti si perdono altre ricchezze del territorio, altri prodotti tipici. La mia volontà è quella di dare un volto nuovo alla Mascina, un frutto storicamente ben radicato a Montepulciano e in Valdichiana almeno dall’Ottocento, un po’ come è stato fatto con l’aglione. Il prodotto avrebbe bisogno di una ri-vitalizzazione, non un lancio da zero, perché la base culturale c’è già. Sono sicura che avrebbe un buon campo di sviluppo nel settore turistico. Potrebbe attrarre un pubblico che si muove su circuiti gastronomici che offrono prodotti biologici legati alla storia e alle peculiarità del territorio“.
A che punto è questa riscoperta della susina e il suo avvicinamento all’ambito turistico?
“Siamo all’inizio. Ci sono solo tre produttori che hanno certificata la produzione della Mascina e non fanno attività turistica connessa a questo prodotto”.
Allora come si crea un’attività turistica con la susina?
“È essenziale che acquisisca importanza dal punto di vista agricolo. Bisogna creare clamore sul prodotto in scia del più famoso vino nostrano. Per quanto sia turistico il vino è un bene di consumo quotidiano, che ha dato il via al fenomeno dell’enoturismo. Quindi perché non farlo anche con gli altri prodotti tipici della nostra zona? Applicare questo modello alle susine non è semplice. Il vino ha caratteristiche storiche e culinarie immense, che molto difficilmente saranno raggiungibili dalla coscia di monaca. L’idea è quella di inserire la Mascina – ma lo stesso vale per qualunque altro prodotto tipico – all’interno di uno schema turistico già preesistente. L’universo del vino nella nostra zona, secondo me, dovrebbe fare da locomotiva trainante a tutti gli altri prodotti tipici”.
Un percorso simile è stato già fatto con l’aglione?
“Esatto. E non siamo lontani da creare degustazioni di questo particolare porro o eventi legati a questo prodotto”.
Chi sono i soggetti che dovrebbero concorrere a questo progetto di valorizzazione?
“Ci vuole unione tra pubblico e privato. Le amministrazioni hanno un ruolo fondamentale e hanno già dimostrato di essere interessate a muoversi sul terreno della biodiversità e della tipicità. Gli enti che si occupano del turismo devono essere aperti e pronti a veicolare queste nuove forme di turismo e attività alternative. Un esempio di successo è Banfi, uno dei più grandi produttori di Brunello a Montalcino. Ha piantato 70 ettari di susine (che tuttavia non sono Mascine) e quando i turisti vanno a Castello Banfi degustano il vino, visitano le cantine e assaggiano le susine fresche. Vengono integrati prodotti del territorio sulla scia tracciata dalla fama del vino”.