Tempi Moderni – Lavoro e Dintorni
Ultima Parte – Guardare oltre i confini italiani: cercare lavoro all’estero.
P.S. Ma non vi aspettate che il lavoro magicamente vi sia “dovuto”, solo perché ve ne andate all’estero. Si sa che l’erba del vicino è sempre più verde… Ma bisogna saperla coltivare e meritarsela.
Un’ultima considerazione circa questa mini-inchiesta, che sarà seguita da una parte più interessante e direi anche “interattiva”, passa per quella che sembra essere una delle prospettive più gettonate ultimamente, per via della crisi economica e della crescente disoccupazione giovanile qua in Italia: quella del trovare un lavoro all’estero.
Il fatto è che questa ricerca è, a volte giustamente, a volte ingiustamente, piena di disperazione e risentimento solo verso la situazione economica (oramai il senso critico sul versante sociale da parte di moltissima gente fa accapponare la pelle e sono gentile), ma anche da una fastidiosa prosopopea.
Intendiamoci, sono la prima a essere felice di avere opportunità di lavoro all’estero. Opportunità che spesso e volentieri sono qualitativamente migliori di quelle che ultimamente vengono proposte nel nostro Paese; infinitamente migliori di quel format, che non è neanche da considerarsi lavoro, ma sfruttamento, quale lo stage non retribuito. Apro una parentesi che sia chiara per tutti: lo stage non retribuito è la rovina per noi giovani. Le aziende non hanno soldi (anche se… A volte mi viene da obiettare), cercano giovani da sfruttare, e molto spesso la formazione o ciò che si impara equivale a poco più di zero. Se si accetta di non farsi pagare, come lo si può considerare lavoro? E in seconda battuta, come si può definire esperienza, qualcosa che non ti insegna niente, non ti fa crescere, e soprattutto, ti lascia in mezzo a una strada non appena finito il periodo di tirocinio? Perché chiunque vi dica che lo stage “purtroppo non è retribuito, ma ci possono essere possibilità di inserimento al termine del periodo di tirocinio” mente sapendo di mentire. Non hanno soldi per darvi un rimborso spese, neanche uno stipendio decoroso, figurarsi se possono permettersi di assumere qualcuno, al di là del formare qualcuno. È anche per questo che si va in cerca all’estero, perché almeno quelli, nella maggior parte dei casi, sono retribuiti decentemente.
E allora, che cosa c’entra l’arroganza, la supponenza di quelli che si sentono “un gradino sopra gli altri” perché vanno all’estero a cercare lavoro, rispetto ai “fessi” che rimangono a casa? Semplicemente, c’entra perché, incidentalmente, sono pure persone che pensano che il lavoro li attenderà non appena scenderanno dall’aereo, che sia loro “dovuto”, che ci sarà una posizione di prestigio sin da subito.
Non è esattamente così, e di individui che sono andati via, pensando di fare faville, per poi tornare con la coda tra le gambe in madrepatria, ne conosco a palate. Fate sempre i conti con la realtà, andare all’estero non vuol dire che in automatico avrete il lavoro dei vostri sogni, avrete una carriera brillante e scintillante. No, come in Italia, dove possibile, così come fuori dall’Italia, un lavoro va cercato attentamente, con lo scoglio in più di dover lavorare parlando una lingua diversa dall’italiano, bisogna anche fare qualche sacrificio e accettare che è comunque una strada in salita e non è affatto una discesa, che richiede impegno e pazienza… E presuppone (parola quasi mai contemplata) un eventuale fallimento. Ho visto gente disperarsi perché ha fatto la commessa o il barista a Londra, anziché fare la manager di successo, o qualsiasi altro lavoro dei sogni. Ho visto gente disperata tornare a casa, ma perché? Perché tanti sono anche vittime di quella pigrizia mentale di cui vi parlavo nella scorsa puntata e la pigrizia mentale si nota soprattutto quando ci si confronta con l’estero. Il clima là fuori è molto più competitivo, anche più esigente, in termini di formazione e conoscenza. Bisogna preparare la scalata verso l’auto-realizzazione con cura e la consapevolezza che quello che si sa non basta mai, e anzi, oso dire con molta tristezza, che è soprattutto l’università italiana a essere estremamente scollegata dal mondo del lavoro – di rado ci torna utile quello che ci hanno insegnato in università e di rado ci viene data idea di come funzioni il mondo del lavoro.
È vero, l’erba del vicino è sempre più verde… Ma va coltivata e guadagnata. È duro ammetterlo, ma è così. Andare all’estero è un salto nel buio impegnativo, ma va preparato. E non dà certezze. Fa crescere, ma non dà un risultato garantito o scontato. Ma non vi renderà neppure dei Premi Nobel (da sempre incompresi) tutto a un tratto. Pensateci bene.